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martedì 05/08/2025 • 06:00

Lavoro PREVIDENZA

Licenziato a un passo dalla pensione: cosa fare per non farsi tagliare l’assegno

Essere espulsi dal mercato del lavoro a pochi anni dal pensionamento può compromettere anni di carriera e retribuzioni elevate, se non si adottano per tempo le giuste strategie previdenziali: analizziamo i rimedi giuridici e le scelte operative per evitare tagli sull'assegno e limiti reddituali penalizzanti.

di Noemi Secci - Consulente del lavoro - Direttore tecnico-scientifico di PrevidAge

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  • Tempo di lettura 11 min.
  • Ascolta la news 5:03
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Per un lavoratore di lungo corso, la perdita dell'impiego negli ultimi anni prima della pensione può generare un danno duraturo. Le retribuzioni accumulate nel corso della carriera spesso consentono di ottenere una prestazione previdenziale di importo significativo; tuttavia, se il percorso verso il pensionamento si interrompe bruscamente, il rischio è quello di compromettere l'assegno finale.

La buona notizia è che, se l'azienda collabora o se il lavoratore si muove per tempo, è possibile limitare i danni e, in certi casi, azzerarli del tutto.

Strumenti aziendali per l'accompagnamento alla pensione

Le imprese strutturate possono attivare misure di prepensionamento che consentano una transizione ordinata verso la pensione, quali, in particolare:

  • l'isopensione (art. 4 L. 92/2012): si tratta di un'indennità, a carico dell'azienda, pari all'importo della pensione maturata, che può essere riconosciuta con un anticipo massimo fino a 7 anni rispetto alla data di maturazione della pensione anticipata o di vecchiaia ordinaria (art. 24 c. 6 e art. 10 DL 201/2011); è previsto anche il versamento dei contributi correlati, calcolati sulla media degli ultimi 4 anni di retribuzione;
  • l'assegno straordinario dei fondi bilaterali di solidarietà (D.lgs. 148/2015): si tratta di un'indennità, a carico dell'azienda, pari all'importo della pensione maturata, con l'aggiunta della contribuzione futura; tale indennità può, da una parte, risentire dell'applicazione di penalizzazioni percentuali, in base al settore di appartenenza, dall'altra può però beneficiare di eventuali integrazioni riconosciute dal datore di lavoro; l'assegno straordinario può essere riconosciuto con un anticipo massimo di 5 anni rispetto alla data di maturazione della pensione); è previsto anche il versamento dei contributi correlati, calcolati sulla base dell'ultima retribuzione.

In entrambi i casi, la penalizzazione pensionistica per il lavoratore è davvero limitata, in quanto i contributi sono accreditati regolarmente, calcolati sugli ultimi stipendi e non vi sono scoperture sino all'accesso alla pensione vera e propria.

Che cosa accade se l'azienda non attiva nulla

In assenza di strumenti aziendali, l'unico supporto previsto a tutela del licenziato è la NASpI, l'indennità di disoccupazione disciplinata dal D.lgs. 22/2015.

Questa misura ha però due limiti fondamentali:

  • un importo massimo limitato, per il 2025 pari a 1.562,82 euro lordi al mese, spesso inferiore al fabbisogno reale di un lavoratore a fine carriera; inoltre, si subisce una riduzione progressiva dell'indennità di disoccupazione a partire dall'ottavo mese di fruizione, per chi ha più di 55 anni; 
  • pur essendo il periodo di disoccupazione indennizzata coperto da contributi, gli accrediti figurativi effettuati dall'Inps sono calcolati, per il 2025, su una retribuzione virtuale massima (circolare INPS n. 94/2015) di 2.187,95 euro/mese, che quindi può risultare inferiore alla retribuzione precedente.

La perdita reddituale è dunque evidente e il rendimento contributivo rallenta: fortunatamente, almeno per la quota retributiva della pensione, la NASpI può essere neutralizzata.

NASpI e pensione: come funziona la neutralizzazione

Nello specifico, grazie a un meccanismo previsto dall'art. 12 D.lgs. 22/2015, i periodi di NASpI non abbassano la media degli stipendi utili ai fini del calcolo della pensione:

  • se la bassa contribuzione figurativa comporta un taglio dell'assegno, l'INPS applica d'ufficio la neutralizzazione.
  • il calcolo esclude tali periodi dal computo della media retributiva, evitando danni sull'importo finale.

La quota della pensione calcolata con sistema contributivo, invece, continua a crescere, seppur più lentamente, in base ai versamenti - in questo caso accreditati figurativamente - maturati e rivalutati: di conseguenza, anche se in prospettiva può emergere un danno anche sulla parte contributiva della pensione, non essendo tale quota suscettibile di una reale diminuzione, non si applica alcuna neutralizzazione.

Ape sociale

Una volta terminata la Naspi, se il lavoratore ha compiuto 63 anni e 5 mesi e ha almeno 30 anni di contributi (29 se donna con un figlio, 28 con più figli), può essere accompagnato sino alla pensione di vecchiaia da un'indennità a carico dello Stato, l'Ape sociale (art. 1 c. 179 e ss. L. 228/2012). Tuttavia, tale indennità ha un importo massimo di 1500 euro mensili e non comporta l'accredito di contributi, nemmeno figurativi. Inoltre, al momento è confermata solo per chi raggiunge i requisiti sino al 2025.

Contributi volontari per evitare vuoti

Se dopo la NASpI non si ottiene un nuovo impiego, si apre un vuoto contributivo. In questo caso, è possibile versare contributi volontari, ma bisogna considerare che il costo è elevato: si basa infatti sulla media degli ultimi 12 mesi di stipendio.

Tuttavia, la contribuzione volontaria può risultare strategicamente utile per:

  • evitare interruzioni contributive;
  • raggiungere i requisiti minimi per la pensione;
  • mantenere alto l'importo dell'assegno.

In alcune trattative di uscita, il costo dei versamenti volontari può essere di fatto coperto dall'azienda, come incentivo all'esodo.

Contributi da riscatto per pensionarsi prima: attenti ai costi ma anche al risparmio

Alcuni lavoratori potrebbero aver diritto a coprire dei periodi pregressi senza contributi attraverso il riscatto, ad esempio relativo agli anni di laurea: anche questa è un'operazione che può comportare costi importanti e va valutata attentamente. Il riscatto della laurea agevolato (art. 20 c.6 DL 4/2019), se relativo a periodi anteriori al 1996, pur comportando un significativo risparmio può determinare elevate penalizzazioni sulla pensione, che a seguito dell'opzione dovrebbe essere calcolata con sistema interamente contributivo.

Nuovo lavoro? Valutare bene il reddito

Terminata la NASpI, per evitare un vuoto contributivo e gli oneri legati ai versamenti volontari o al riscatto, una buona soluzione potrebbe essere quella di accettare un nuovo impiego.

Tuttavia, qualora la retribuzione proposta risulti più bassa, occorre particolare attenzione, soprattutto se si hanno contributi ante 1996 e, quindi, se vi sono quote della pensione calcolate con sistema retributivo: lo stipendio inferiore, difatti, può abbassare la media pensionabile e, di conseguenza, l'importo della pensione.

Quale strategia alternativa, oltre all'astensione dal lavoro, applicabile ovviamente se si dispone di altri redditi e se la contribuzione non è necessaria per il diritto alla futura pensione (ad esempio perché si sono già maturati i 20 anni per la vecchiaia, quindi si deve solo attendere l'età pensionabile), si potrebbe proporre lo svolgimento di un'attività che comporti la contribuzione in una gestione previdenziale diversa da quella della quale si vuole mantenere la media alta dei redditi. Ad esempio, in qualità di co.co.co. o amministratore o libero professionista (Gestione Separata INPS), oppure di imprenditore (gestione Commercianti o Artigiani).

In questo modo, la quota retributiva resta “congelata” ai livelli più alti raggiunti durante la carriera.

Neutralizzare gli ultimi 5 anni meno favorevoli

Un'altra soluzione in tal senso è data dalla possibilità di neutralizzare sino alle ultime 5 annualità prima della pensione, qualora riducano l'assegno e se non necessarie per il diritto al pensionamento.

È quanto confermato di recente dalla Cassazione con sentenza n. 30803/2024, richiamando il principio già affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 428/1992: non sono soltanto i periodi di NASpI, dunque, a poter essere resi neutri, ma qualsiasi periodo entro i 5 anni dalla decorrenza della pensione, se suscettibile di diminuire l'assegno (art. 3 c. 8 L. 297/1982).

Attenzione: se il lavoratore raggiunge il diritto alla pensione anticipata ordinaria (art. 24 c. 10 DL 201/2011), o una qualsiasi pensione anticipata o di anzianità non calcolata con sistema interamente retributivo, e tutti gli anni di contributi sono necessari per il diritto al trattamento, la neutralizzazione non può essere richiesta subito.

Andrà invece domandata all'INPS con una ricostituzione della pensione al compimento dei 67 anni (età utile alla vecchiaia ordinaria di cui all'art. 24 c.6 DL 201/2011), poiché in tal caso sono sufficienti 20 anni di contribuzione.

Attenzione alla “trappola” delle pensioni anticipate sperimentali

Terminata la NASpI, scartati riscatto, contribuzione volontaria e nuovo lavoro, se sussistono le condizioni si potrebbe essere tentati di optare per una forma di pensionamento anticipato sperimentale, cioè previste dalla legge per un limitato periodo di tempo. Scegliere però questi trattamenti può comportare penalizzazioni significative:

  • la pensione anticipata flessibile Quota 103 (art. 14.1 c.1 DL 4/2019), ad esempio, richiede 62 anni di età e 41 anni di contributi ma applica il ricalcolo interamente contributivo e impone un tetto massimo di 4 volte il trattamento minimo fino a 67 anni, vietando sino ad allora qualsiasi lavoro subordinato o autonomo;
  • la pensione anticipata contributiva (art. 24 c. 11 DL 201/2011) richiede 64 anni di età e solo 20 anni di contributi, ma prevede una soglia minima di pensione pari a 3 volte l'assegno sociale (leggermente inferiore per le donne con figli) e un limite all'assegno di 5 volte il minimo fino ai 67 anni; se si possiedono contributi ante 1996, può essere ottenuta optando per il computo in gestione Separata (art. 3 DM 282/1996), ma questo comporta il ricalcolo interamente contributivo del trattamento

Entrambe le opzioni, quindi, possono portare a un assegno drasticamente ridotto, soprattutto per chi ha una carriera con forti quote retributive.

In conclusione, il licenziamento di un lavoratore vicino alla pensione è un evento critico ma non sempre irreparabile. Conoscere le tutele normative, valutare ogni opzione — dalla NASpI alla contribuzione volontaria, fino alla neutralizzazione dei periodi sfavorevoli — permette di preservare l'assegno pensionistico.

In queste situazioni, una consulenza previdenziale specializzata non è un lusso: è lo strumento essenziale per non trasformare una carriera brillante in una pensione deludente.

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