martedì 05/08/2025 • 06:00
In presenza di un'operazione conforme a normali logiche di mercato, in relazione al raggiungimento di un sostanziale obiettivo economico e in assenza di uno specifico vantaggio fiscale indebito per la società, l'A.F. non può sostituire l'operazione di acquisto di azioni proprie con altra operazione fiscalmente più onerosa (CGT II Lombardia 25 luglio 2025 n. 1814).
La disposizione dello Statuto
L'art. 10-bis c. 3-4 Statuto dei diritti del contribuente dispone che:
Il caso giurisprudenziale
Una società di capitali provvedeva ad acquistare azioni proprie, corrispondenti al 21% del capitale sociale, possedute dai soci per un corrispettivo complessivo di circa due milioni di euro. L'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento contestando alla società l'omessa effettuazione della ritenuta del 26% a titolo d'imposta (ex art. 27 c. 3 DPR 600/73) in relazione agli utili distribuiti ai soci fuoriusciti, sotto la denominazione di corrispettivi per la cessione di azioni alla società (acquisto di azioni proprie), configurandosi, secondo l'AE, un'ipotesi di abuso del diritto. In particolare, l'Ufficio rappresentava l'abusività del realizzato acquisto di azioni proprie posta in essere nell'ambito di un'operazione che comportava un effettivo disinvestimento dei soci, realizzato attingendo a risorse della stessa società partecipata e senza l'ingresso di soci terzi estranei alla compagine sociale esistente. Secondo la tesi erariale, per effetto della suddetta operazione, i soci recedenti si erano precostituiti le condizioni per evitare l'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta del 26% prevista sui redditi di capitale e che, quindi, tale vantaggio fiscale era da considerarsi indebito, in quanto conseguito in aggiramento delle disposizioni tributarie in materia di recesso tipico. In sostanza, l'oggetto del contendere veniva ad essere circoscritto alla qualificazione dell'operazione in questione come acquisto di azioni proprie in luogo di un mero recesso dalla società dei soci, con conseguente rilievo delle somme corrisposte ai soci, non quali redditi diversi (art. 67 DPR 917/86), non soggetti ad alcuna ritenuta in conformità a quanto previsto dall'art. 13 c. 2 Convenzione Italia – Belgio contro le doppie imposizioni, come eccepito dalla parte privata, bensì quali redditi di capitale, da assoggettare alla ritenuta del 26% a titolo d'imposta, come invece ritenuto dall'Ufficio.
Le ragioni extra-fiscali non marginali
La difesa delle parti private evidenziava la presenza nell'operazione di ragioni extra-fiscali non marginali consistendo il risultato che intendeva raggiungere la società … “nella conservazione delle azioni in capo all'acquirente con conseguente inibizione dell'ingresso di terzi e mantenimento dei rapporti di forza tra i soci preesistenti”, inserendosi la stessa “in un più ampio contesto di riorganizzazione dell'assetto societario sino ad allora partecipata da due distinti gruppi familiari, cui facevano capo due distinti gruppi societari, entrambi operanti nel settore delle trasmissioni industriali e marine e dei loro componenti accessori” e consentendo, quindi, attraverso il ricorso all'operazione di acquisto di azioni proprie, anche la facilitazione di un'eventuale prossimo passaggio generazionale e la possibilità di consentire l'ingresso di possibili futuri investitori.
Il “no” dei giudici all'abuso
La Corte tributaria lombarda ha chiarito che l'acquisto di azioni proprie genera in capo ai soci un reddito di capitale, qualora l'acquisto sia finalizzato all'annullamento delle stesse nell'ambito di una programmata operazione di riduzione del capitale; nel caso di specie, invece, incontestata la permanenza della disponibilità delle azioni proprie in testa alla società e, quindi, il mancato annullamento delle stesse per la realizzazione delle eventuali plurime finalità cui le azioni proprie possono essere destinate, le somme corrisposte ai soci per la realizzazione dell'operazione aveva generato, hanno affermato a chiare lettere gli interpreti, “incontrovertibilmente un reddito diverso”. I giudici hanno, quindi, ritenuto di escludere l'operazione in discussione dal campo applicativo dell'abuso del diritto in considerazione del fatto che, nella specie, l'acquisto di azioni proprie - con il conseguente mancato annullamento delle stesse quale fatto incontestato - risultava dotato di sostanza economica in quanto il mantenimento delle azioni proprie in portafoglio trovava giustificazione nella possibilità di utilizzare tali azioni per sollecitare l'ingresso di nuovi soci nel proprio azionariato al fine di reperire nuove risorse da investire e/o ai fini di una rivendita agli attuali altri soci e/o a terzi in un'ottica di realizzazione di possibili passaggi generazionali (tale approdo ermeneutico appare peraltro conforme all'Atto di indirizzo MEF 24 febbraio 2025).
Il principio affermato
In presenza di un'operazione conforme a normali logiche di mercato (acquisto di azioni proprie comportante la fuoriuscita di due soci rappresentanti uno specifico gruppo familiare) in relazione al raggiungimento di un sostanziale obiettivo economico (concentrazione del controllo delle partecipazioni cedute in capo alla società a tutela dell'altro gruppo familiare presente nella compagine sociale e possibilità di favorire l'eventuale acquisizione di ulteriori risorse finanziarie attraverso l'ingresso di nuovi soci graditi al gruppo familiare rimasto) e rilevata l'assenza di uno specifico vantaggio fiscale indebito per la società, l'Amministrazione finanziaria non può sostituire l'operazione di acquisto di azioni proprie con altra operazione fiscalmente più onerosa, essendo ciò in contrasto con la libertà di scelta del contribuente, sancita dallo Statuto, tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.
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