venerdì 01/08/2025 • 11:45
La Corte Costituzionale, con pronuncia 31 luglio 2025 n. 141, conferma la legittimità costituzionale delle disposizioni che, durante l’emergenza da Covid-19, hanno stabilito il “blocco” dei licenziamenti individuali per ragioni economiche dei lavoratori subordinati, senza ricomprendervi la categoria dei dirigenti.
redazione Memento
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 141 depositata il 31 luglio 2025, si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di cassazione e dalla Corte d'appello di Catania, delle disposizioni che, durante l'emergenza da Covid-19, hanno stabilito il divieto dei licenziamenti individuali per ragioni economiche dei lavoratori subordinati, senza ricomprendervi la categoria dei dirigenti.
Le previsioni in esame sono state ritenute non in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, essendo rinvenibili valide ragioni atte a giustificare sul piano costituzionale il trattamento differenziato riservato alla categoria dei dirigenti, per i quali, comunque, i licenziamenti collettivi nel periodo della pandemia sono stati assoggettati al “blocco”.
Le ragioni della Corte Costituzionale
La Corte ha anzitutto precisato che la valutazione cui è stata chiamata deve esclusivamente focalizzarsi sulla nozione legale di «dirigente», quale prestatore di lavoro subordinato che la legge distingue rispetto alle categorie dei quadri, impiegati e operai (art. 2095 c.c.).
La sentenza ha, quindi, sottolineato che, a livello di disciplina generale, per effetto della peculiare posizione di autonomia e discrezionalità, che il dirigente, vero e proprio alter ego dell'imprenditore, ricopre all'interno dell'azienda, e dei suoi poteri rappresentativi, egli possiede un particolare status che giustifica, nei suoi confronti, l'applicazione del regime della libera recedibilità, senza le garanzie previste dalla disciplina sui licenziamenti individuali. Quello stesso status, tuttavia, e sempre a livello di disciplina generale, non esclude che ai dirigenti sia applicabile il regime dei licenziamenti collettivi, al pari delle altre categorie di lavoratori.
L'asimmetria delle tutele è stata riproposta dal legislatore nella disciplina eccezionale introdotta durante il periodo emergenziale, ricalcando, per i dirigenti, i medesimi confini applicativi delle regole ordinarie sui licenziamenti (collettivi e individuali per motivi oggettivi): la misura del “blocco” è stata infatti calibrata a seconda che si tratti di recesso individuale (non vietato) ovvero collettivo (sottoposto al divieto).
Con questa scelta, il legislatore si è mosso in maniera non manifestamente irragionevole, nel rispetto delle condizioni di legittimità, eccezionalità, temporaneità e proporzionalità – che devono assistere le norme eccezionali varate durante il periodo dell'emergenza sanitaria. Il “blocco” dei licenziamenti, ispirato da valutazioni afferenti non al solo terreno dei rapporti individuali di lavoro, ma rispondenti ad esigenze necessariamente più generali, di natura sociale ed economica, ha infatti costituito una misura eccezionale e temporanea, perché legata alla durata della pandemia, nonché proporzionata all'effettiva necessità, secondo la logica della extrema ratio.
Si ricorda peraltro che, mentre per tutti i lavoratori, a fronte del blocco dei licenziamenti, era stato introdotto uno specifico ammortizzatore sociale (Cig Covid-19), che sollevava le aziende dal costo del lavoro dei dipendenti durante la forzata chiusura delle attività produttive, per il personale dirigenziale tale ammortizzatore non era fruibile, rimanendo pertanto completamente a carico delle imprese il loro costo. La ratio dell’esclusione dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo risultava, pertanto, coerente in tale contesto emergenziale.
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Vincenzo Fabrizio Giglio
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