giovedì 03/07/2025 • 06:00
La Corte Costituzionale, nel confermare la legittimità dell'art. 147 l. fall., con sentenza 22 maggio 2025 n. 87 afferma il diritto del socio di società semplice di essere sentito nel giudizio sul fallimento della s.s., pena l'inopponibilità della sentenza.
Il curatore del fallimento di una società semplice chiede che il fallimento venga esteso ex art. 146 l. fall. anche ai tre soci. I soci eccepiscono la lesione dei principi del giusto processo, in quanto non sono stati convocati né nella fase prefallimentare né dopo la dichiarazione di fallimento della società e, perciò, non hanno potuto contraddire sull'assenza dei presupposti di fallibilità (e, nella specie, sulla circostanza che la società semplice avrebbe svolto in prevalenza attività agricola).
Il Tribunale di Matera solleva, quindi, questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall. rispetto agli artt. 24 (diritto alla difesa) e 111 (principio del giusto processo) Cost., assumendo che la mancata convocazione dei soci illimitatamente responsabili nel giudizio sul fallimento della società comporterebbe una ingiusta compromissione del loro diritto al contraddittorio.
L'ordinanza di remissione
Nel dettaglio, il Tribunale di Matera osserva che, quando il fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili di una società di persone viene richiesto dopo l'intervenuto fallimento della società con pronuncia irrevocabile, pur dovendo i soci essere convocati e sentiti ai sensi dell'art. 147 c. 3 l. fall., a costoro è di fatto preclusa ogni difesa sostanziale, dal momento che possono solo eccepire:
Al di là di queste ipotesi di scuola, ai soci non è consentito dedurre alcunché circa l'(in)esistenza dei presupposti di fallibilità della società, considerato che la sentenza irrevocabile di fallimento ha valore di giudicato ed è pertanto opponibile nei loro confronti.
Ad avviso del Tribunale di Matera, ciò comporterebbe un indebito automatismo nell'estensione del fallimento anche ai soci illimitatamente responsabili, ai quali sarebbe quindi impedito “di interloquire sui requisiti di fallibilità della società, se non nel caso in cui sia chiesto anche il suo fallimento”, con conseguente compromissione “irragionevole e sproporzionata” del loro diritto di difesa.
Sulla scorta di tali argomentazioni, il Tribunale remittente, osservato che nel caso di specie l'unico argomento difensivo dei soci si fonda proprio sulla non fallibilità della società semplice, per avere quest'ultima asseritamente svolto attività prevalentemente agricola, “invoca l'inopponibilità ai soci, nel giudizio sul fallimento in estensione, dell'accertamento relativo all'esistenza dei requisiti di fallibilità dell'ente”.
Le difese dell'Avvocatura dello Stato.
Costituendosi in giudizio tramite l'Avvocatura dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccepisce nel merito che non vi sarebbe alcuna lesione del diritto alla difesa dei soci, e ciò in quanto a costoro sarebbe senz'altro consentito di dimostrare l'inesistenza dei presupposti di fallibilità:
Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, la mancata convocazione non comporterebbe quindi un ostacolo insormontabile all'esercizio dell'attività difensiva del socio illimitatamente responsabile.
La decisione della Corte costituzionale
Nel rigettare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Matera, la Corte Costituzionale ripercorre la disciplina sul fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili di società di persone, osservando che l'istituto assolve a una duplice ratio:
Proprio per tali motivi, la dichiarazione di fallimento del socio prescinde dall'esistenza (o meno) di un suo stato di insolvenza personale, e richiede unicamente un accertamento circa la sussistenza del rapporto sociale e la riferibilità dell'insolvenza a debiti assunti quando il socio illimitatamente responsabile era (tuttora) tale.
Ciò premesso, la Corte Costituzionale osserva che l'art. 146 c. 3 l. fall., nell'imporre che “il tribunale, prima di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, deve disporne la convocazione a norma dell'articolo 15”, può essere interpretato:
Ed è proprio tale ultima interpretazione quella invalsa in giurisprudenza, sulla scorta delle stesse argomentazioni sollevate dall'Avvocatura dello Stato: il socio potrà eventualmente contestare la fallibilità della società attraverso un atto di intervento, ovvero proponendo reclamo contro la sentenza di fallimento.
Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, la Corte Costituzionale dà atto che il quesito sottopostole a ben vedere non attiene alla legittimità tout court dell'assetto appena descritto, essendo semmai circoscritto a un caso assai specifico: quello del socio di società semplice, vale a dire del tipo sociale che dovrebbe essere deputato all'esercizio attività agricola e che, quindi, non potrebbe andare incontro a fallimento. Solo con riferimento alla società semplice, infatti, il giudizio di fallibilità presuppone un accertamento ulteriore circa la concreta natura dell'attività esercitata dalla società, sicché, ove dovesse emergere l'esercizio prevalente di attività commerciale, si dovranno applicare le norme previste per le società in nome collettivo, ivi incluse quelle che consentono l'assoggettabilità al fallimento e, per l'effetto, la possibile estensione del fallimento ai soci.
In considerazione di ciò, e posto che la sede dell'accertamento in questione è proprio il giudizio di fallimento della società, la Consulta statuisce che il contraddittorio deve essere fin da subito esteso anche ai soci, affinché possano interloquire sulla natura dell'attività esercitata dalla società e, dunque, sulla sua fallibilità.
Opinare diversamente, infatti, presupporrebbe di imporre ai soci un onere di verificare periodicamente dal registro delle imprese che la società non sia stata dichiarata fallita, al fine di fare valere l'eventuale assenza dei requisiti di fallibilità impugnando la sentenza dichiarativa di fallimento; il che, tuttavia, non assicura alcuna garanzia del diritto alla difesa del socio stesso, tanto più considerato che le società semplici di regola non sono possono fallire.
In conclusione, con sentenza interpretativa di rigetto la Corte Costituzionale riconosce la legittimità dell'art. 147 l. fall., al contempo affermando il principio secondo cui che “prima di dichiarare il [loro] fallimento [dei soci illimitatamente responsabili di società semplice, n.d.r.], gli stessi devono essere stati convocati non solo nel giudizio in cui viene dichiarato il loro fallimento, ma anche in quello che accerta, per ragioni sostanziali, la fallibilità dell'ente, che costituisce presupposto della fallibilità̀ dei soci. In mancanza, non si può far gravare su di loro l'onere di verificare sul registro delle imprese il fallimento di una società che, di norma, non è esposta al fallimento”.
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