mercoledì 02/07/2025 • 11:30
In tema di dividendi, per determinare la partecipazione qualificata, anche le azioni detenute in nuda proprietà devono essere conteggiate insieme a quelle in piena proprietà. L'aliquota maggiorata si applica solo sui dividendi realmente percepiti, ma la soglia del 25% si calcola considerando entrambe le tipologie di proprietà (Cass. 1° luglio 2025 n. 17741).
redazione Memento
La Cass. 1° luglio 2025 n. 17741 introduce un principio di grande impatto nella disciplina della tassazione dei dividendi e nel calcolo delle partecipazioni qualificate ai fini IRPEF. In particolare, la Corte ha affrontato il caso di una contribuente che, nel 2008, deteneva azioni di una società sia in piena proprietà (19,50% del capitale sociale) sia in nuda proprietà (12,99%).
L'Agenzia delle Entrate aveva contestato la mancata applicazione dell'aliquota maggiorata prevista per i dividendi derivanti da partecipazioni qualificate, sostenendo che, ai fini del calcolo della soglia del 25%, occorre sommare sia le azioni in piena proprietà sia quelle in nuda proprietà.
La Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna aveva invece accolto il ricorso della contribuente, ritenendo che il nudo proprietario non percepisce dividendi e quindi non può essere assoggettato a una tassazione su utili non goduti, distinguendo la posizione del pieno proprietario da quella del nudo proprietario. Tuttavia, la Suprema Corte ha ribaltato questa interpretazione.
Secondo la Cassazione, la nozione di partecipazione qualificata deve essere ricavata dall'art. 67 c. 1 lett. c) TUIR e dall'art. 27 DPR 600/73. In base a questa normativa, la partecipazione si considera qualificata se supera il 25% del capitale sociale, e per raggiungere tale soglia occorre conteggiare tutte le forme di possesso: piena proprietà, usufrutto e nuda proprietà.
La Corte sottolinea che anche le azioni in nuda proprietà contribuiscono al raggiungimento della soglia del 25%: non tenerne conto equivarrebbe a svuotare di significato la titolarità di quote in nuda proprietà, che restano invece rilevanti ai fini della posizione societaria. Il principio ispiratore della normativa fiscale, infatti, è quello di tener conto del valore complessivo delle partecipazioni detenute, a prescindere dal diritto (o meno) di percepire dividendi.
Un punto chiave della decisione è che l'aliquota maggiorata del 40% si applica solo ai dividendi effettivamente percepiti dal contribuente, ovvero ai proventi corrisposti al pieno proprietario o, in caso di usufrutto, all'usufruttuario. Non vi è dunque il rischio di sottoporre a tassazione dividendi non incassati dal nudo proprietario, ma si riconosce che la sua posizione deve essere valutata nel calcolo della percentuale di partecipazione detenuta.
Il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione prevede che ai fini della determinazione della partecipazione qualificata, devono essere prese in considerazione anche le azioni detenute in nuda proprietà, previa valutazione delle stesse e sommatoria del relativo valore a quello delle azioni eventualmente detenute in piena proprietà. L'aliquota maggiore si applica, in ogni caso, solo sul reddito effettivamente percepito.
Questa interpretazione ha un impatto immediato su contribuenti, commercialisti e amministratori di società. Chi detiene azioni sia in piena proprietà che in nuda proprietà deve sommare i valori delle rispettive quote per verificare se si supera la soglia del 25% del capitale sociale, oltre la quale scatta la partecipazione qualificata e il relativo regime fiscale sui dividendi percepiti.
La decisione della Cassazione contribuisce a uniformare la prassi fiscale, eliminando le incertezze interpretative che avevano portato a decisioni divergenti nelle Commissioni tributarie. Per i contribuenti è fondamentale ricalcolare la propria posizione ai fini IRPEF considerando anche la nuda proprietà, per evitare possibili contestazioni in fase di accertamento.
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