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lunedì 30/06/2025 • 06:00

Lavoro DALLA CASSAZIONE

Superminimo: l’uso aziendale di non assorbibilità può essere motivatamente disdettato

La Cassazione, con l'ordinanza 16 giugno 2025 n. 16166 , ha affermato che il superminimo è assorbibile salvo diversa pattuizione o uso aziendale: quest'ultimo può essere disdetto dal datore di lavoro, con comunicazione motivata e nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, in caso di mutamento sostanziale delle condizioni.

di Elena Cannone - Avvocato

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Nel caso oggetto dell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 16166 del 16 giugno 2025, il Tribunale aveva accolto la domanda proposta da alcuni dipendenti, in forza presso una società operante nel settore delle telecomunicazioni, i quali avevano contestato la riduzione dei rispettivi superminimi individuali assorbibili, disposta dalla stessa a decorrere dal gennaio 2018.

I dipendenti avevano chiesto al giudice di accertare l'illegittimità degli assorbimenti operati a titolo di compensazione con gli aumenti dei minimi tabellari e dell'Elemento Retributivo Separato (ERS) di cui all'Accordo di programma per il rinnovo del CCNL di settore.

Il Tribunale aveva condannato, per l'effetto, la società a ricostituire la predetta voce goduta sino al gennaio 2018 e a restituire ai dipendenti le somme indebitamente assorbite/trattenute da febbraio 2018 nella misura per ciascuno diversamente qualificata.

La Corte distrettuale, in accoglimento dell'appello proposto dalla società, rigettava la domanda dei lavoratori che ricorrevano in cassazione, affidandosi a due motivi, a cui resisteva la società con controricorso con ricorso incidentale condizionato, sulla base di un solo motivo. Entrambe le parti depositavano memorie.

Il superminimo, il principio di assorbibilità e le sue deroghe

La Corte di Cassazione afferma che il superminimo - ossia l'eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari individualmente pattuito dalle parti - è normalmente soggetto al principio dell'assorbimento nei successivi incrementi economici previsti dalla disciplina collettiva.

La naturale assorbibilità del superminimo può venire meno qualora intervenga una diversa pattuizione, individuale o collettiva, oppure in presenza di un uso aziendale. Quest'ultimo si configura come la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, che si traduce in un trattamento economico o normativo più favorevole rispetto a quello previsto dai contratti.

Uso aziendale

L'uso aziendale – che, secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, rientra tra le c.d. fonti sociali, insieme ai contratti collettivi e ai regolamenti aziendali, definite tali perché non costituiscono espressione di una funzione pubblica ma neppure perseguono meri interessi individuali, essendo volte a garantire una disciplina uniforme dei rapporti con riferimento all'intera collettività dei lavoratori - agisce sul piano dei rapporti individuali come con la medesima portata e forza vincolante di un contratto collettivo aziendale.

Ne consegue che ad una modifica “in melius” del trattamento economico o normativo dei lavoratori derivante da un uso aziendale non si applica né l'art. 1340 c.c., che presuppone una volontà, ancorché tacita, delle parti di inserire o escludere l'uso, né l'art. 2077 c.c. comma 2 con la conseguente legittimazione per le fonti collettive, siano esse nazionali o aziendali, di disporre una modifica “in peius” del trattamento in tal modo attribuito.

Pertanto, salvaguardati i diritti quesiti, l'uso aziendale può essere modificato da un successivo accordo anche in senso peggiorativo per i lavoratori. L'uso aziendale non può garantire “sine die” un trattamento economico migliorativo, né può consolidare in modo perenne un diritto del lavoratore a mantenere invariato nel tempo uno specifico emolumento.

Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha osservato che l'uso aziendale doveva considerarsi cessato allorquando la società, a fronte degli aumenti salariali, aveva scelto di riattivare la clausola di assorbimento contrattualmente prevista, senza che fosse necessaria una specifica previsione o un espresso recesso. Ciò in base alla regola generale secondo cui il superminimo è assorbibile nei miglioramenti economici previsti dalla contrattazione collettiva, salvo diversa disposizione.

Disdetta

In sostanza il datore di lavoro, in presenza di una diversa modulazione del trattamento economico del dipendente definita in sede collettiva, potrebbe legittimamente sottrarsi all'obbligo derivante dall'uso aziendale, riattivando unilateralmente la facoltà di avvalersi del principio generale dell'assorbibilità del superminimo.

Al riguardo, è utile richiamare quanto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di contratti collettivi privi di un termine predeterminato di efficacia. È stato, infatti, chiarito che tali contratti non possono vincolare per sempre le parti contraenti, poiché ciò contrasterebbe con la causa e la funzione sociale propria della contrattazione collettiva. Quest'ultima è per sua natura destinata ad operare in un arco temporale limitato e deve necessariamente adeguarsi al mutare del contesto socioeconomico.

Pertanto, a tale contrattazione deve applicarsi la regola prevista per i negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto a tempo indeterminato. E questo risponde all'esigenza di evitare - nel rispetto nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto - la “perpetuità del vincolo obbligatorio”.

Anche nel caso dell'uso aziendale, la cristallizzazione del vincolo che ne deriva risulterebbe incompatibile con le esigenze di una realtà socioeconomica, per definizione in continua evoluzione, su cui esso è destinato ad incidere. Pertanto, va riconosciuta, in linea di principio, la facoltà del datore di lavoro di “disdettare” l'uso aziendale.

Tale facoltà, affinché non si traduca in una mera sottrazione arbitraria al vincolo derivante dall'uso aziendale, deve essere anch'essa esercitata nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede ed in coerenza con le caratteristiche di fonte sociale, pacificamente riconosciuta a detto strumento destinato ad operare come fonte eteronoma di regolazione del rapporto di lavoro.

Ciò comporta, innanzitutto, che la disdetta deve essere:

  • adeguatamente motivata, ossia giustificata da un mutamento sopravvenuto e significativo delle circostanze rispetto al momento in cui l'uso si è formato (ad esempio una rimodulazione del trattamento economico dei lavoratori derivante da un successivo contratto collettivo);
  • formalizzata attraverso una dichiarazione del datore di lavoro volta alla collettività dei lavoratori e recante le motivazioni che lo sottendono.

Viene, quindi, messa in evidenza la natura di fonte sociale dell'uso aziendale, destinata ad avere ricadute sugli interessi collettivi riferiti all'intera categoria dei lavoratori che devono avere immediata, inequivoca ed adeguata conoscenza della volontà datoriale di “recedere” dall'uso e delle ragioni sottese. Ciò analogamente a quanto accade normalmente in caso di disdetta del contratto collettivo, che richiede una dichiarazione formale alla controparte sindacale, proprio perché l'uso aziendale, essendo fonte regolatrice dei rapporti di lavoro, assume una funzione assimilabile a quella della contrattazione collettiva.

La Corte di Cassazione conclude così per l'accoglimento del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale, cassando la sentenza e rinviandola per il riesame alla Corte d'Appello in diversa composizione.

Fonte: Cass. Ord. n. 16166 del 16 giugno 2025

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