martedì 24/06/2025 • 06:00
Con ordinanza 4 giugno 2025 n. 15027, la Cassazione ha confermato che è legittimo, in quanto non in violazione del principio del ne bis in idem, sanzionare la condotta illecita del dipendente non solo sul piano disciplinare, ma con una valutazione negativa attinente al complessivo percorso di carriera di quest'ultimo.
La Corte di Cassazione, con ordinanza del 4 giugno 2025, n. 15027, ha confermato che la condotta illecita del dipendente (nella fattispecie una condotta violenta verso un collega) può comportare, oltre alla doverosa reazione disciplinare, conseguenze ulteriori sotto il profilo più propriamente lavorativo che possono sostanziarsi in valutazioni negative attinenti anche al complessivo percorso di carriera.
La vicenda e l'esito dei gradi del giudizio di merito
Un istituto bancario ha irrogato una sanzione disciplinare conservativa (sospensione dal servizio e dalla retribuzione) nei confronti di un proprio dipendente, resosi responsabile di una condotta violenta nei confronti di un proprio collega fuori dal contesto lavorativo e durante un periodo di formazione svolto all'estero i cui relativi costi (tra cui alloggio ed indennità varie) erano stati sostenuti dalla banca datrice di lavoro. Tale periodo formativo era, peraltro, finalizzato all'acquisizione di particolari competenze strategiche che avrebbero consentito, previe le valutazioni del caso, una crescita interna con anche l'eventuale riconoscimento di un livello superiore senza che, però, sussistesse da parte della banca alcun impegno espresso o automatismo che garantisse tale crescita. La banca, nell'ambito del contesto descritto, manteneva comunque ferma la facoltà di escludere il lavoratore dal programma di formazione strategica e decideva quindi di esercitare tale facoltà.
Parallelamente, nelle valutazioni interne del lavoratore sanzionato, la banca, nell'ambito dei propri processi valutativi, forniva una valutazione meno positiva del dipendente rispetto alle precedenti ricevute; il dipendente tuttavia non contestava, nei termini previsti dalla normativa interna, la correttezza di tali valutazioni. In aggiunta a ciò, il lavoratore, in applicazione di specifiche normative interne, veniva escluso anche da alcuni sistemi premiali in ragione della sospensione ricevuta.
Il lavoratore ha impugnato innanzi al Tribunale di Milano il provvedimento disciplinare subìto, deducendo, in buona sostanza, l'assenza di una qualsivoglia prova effettiva della condotta contestata, chiedendo, altresì, al Giudice di prime cure anche di accertare l'illegittimità anche delle suddette conseguenze “extra disciplinari” di tale provvedimento e cioè l'esclusione dal programma di formazione all'estero nonché dai meccanismi premiali, chiedendo anche di annullare le valutazioni peggiorative ricevute. In sintesi, la tesi del ricorrente si basava sull'assunto per il quale tali ulteriori conseguenze configurassero la violazione del ne bis in idem rispetto ai fatti già sanzionati con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione, attraverso l'illegittimo utilizzo ulteriori sanzioni “atipiche”.
Nel primo grado di giudizio il provvedimento disciplinare è stato dichiarato illegittimo in ragione del mancato raggiungimento della prova del fatto contestato alla luce delle deposizioni testimoniali raccolte, con il conseguente ordine di restituzione delle somme trattenute in ragione della sospensione. Tuttavia il primo giudice ha respinto le domande relative alla pretesa illegittimità dell'espulsione dal programma formativo all'estero, rigettando anche le altre domande relative alle presunte conseguenze pregiudizievoli patite dal lavoratore.
Il ricorrente impugnava dunque la decisione del Tribunale lamentando il mancato accoglimento delle domande relative alla presunta illegittimità dell'espulsione dal programma formativo poiché il giudice, avendo dichiarato l'illegittimità del provvedimento disciplinare, non poteva non accogliere le ulteriori domande relative all'annullamento delle ulteriori conseguenze subite dal ricorrente in ragione del provvedimento disciplinare. E ciò perché le ulteriori conseguenze avevano come presupposto l'esistenza del provvedimento disciplinare.
La banca proponeva, a questo punto, appello incidentale impugnando la sentenza di primo grado per l'errato apprezzamento del patrimonio istruttorio acquisito con l'escussione dei testimoni che, secondo la banca, era del tutto idoneo a dimostrare la sussistenza dei fatti posti a base del provvedimento adottato.
La Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la legittimità della sanzione disciplinare, respingendo, per il resto le domande svolte nel ricorso di primo grado.
Il principio del ne bis in idem nel procedimento disciplinare
È noto che la Corte EDU con la sentenza del 4 marzo 2014, che ha statuito la portata generale, estesa a tutti i rami del diritto, del principio del divieto di ne bis in idem. Da ciò deriva che il potere disciplinare non può essere esercitato più volte per le medesime circostanze, dove per esercizio si intende l'applicazione di una sanzione (cfr. Cass. 23 ottobre 2018, n. 26815). Dunque, per il principio di consunzione del potere disciplinare, è escluso che una identica condotta possa essere sanzionata più volte anche seguito di una diversa valutazione o configurazione giuridica.
Invero, anche se la prima sanzione sia meno afflittiva rispetto a quella poi applicabile in ragione di ulteriori circostanze, anche se sopravvenute (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27657, per quanto riguarda la successiva condanna penale per i fatti contestati), il datore di lavoro non può ri-sanzionare il lavoratore. L'unica deroga a questo principio riguarda l'ipotesi dell'annullamento della prima sanzione per ragioni procedurali o formali (Cass. 30 luglio 2019, n. 20519; Cass. 19 marzo 2013, n. 6773) e sempre che non siano spirati eventuali termini per il tempestivo esercizio del potere disciplinare.
Ai fini del ne bis in idem occorre, dunque, fare riferimento identità sostanziale delle circostanze contestate in distinti procedimenti disciplinari instaurati, indipendentemente, dunque, dalla diversa qualificazione attribuita ai fatti stessi dall'organo giudiziario che li ha valutati.
L'esito del giudizio in Cassazione
Il lavoratore proponeva dunque ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale rivelatasi ancor più sfavorevole di quella emessa a definizione del primo grado di giudizio.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso confermando la correttezza dell'operato della Corte d'Appello di Milano.
In particolare, l'ordinanza della Suprema Corte, nel respingere il motivo di ricorso che censurava la sentenza d'appello per aver ritenuto legittime le ulteriori conseguenze pregiudizievoli susseguite alla sanzione disciplinare, osserva che la corte di merito: “con riguardo alle conseguenze pregiudizievoli conseguenti agli addebiti in questione (trasferimento alla sede di New York e punteggio assegnato in sede di valutazione), in conformità con il tribunale, ha ritenuto inesistente il diritto al trasferimento e corretta la valutazione decurtata in ragione degli addebiti, in quanto effetto della scarsa professionalità manageriale del dipendente.
Si tratta, per entrambe le valutazioni, di giudizi di merito, non rivalutabili in sede di legittimità, espressi in riferimento ad effetti differenti di un medesimo comportamento; essi, pertanto, non possono certamente costituire una ipotesi di “bis in idem” del potere disciplinare ovvero una duplicazione della sanzione, non consentita, trattandosi di determinazioni che certamente considerano i fatti oggetto di addebito disciplinare, ma che riguardano profili diversi della gestione del rapporto di lavoro.”.
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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