venerdì 23/05/2025 • 06:00
Entro il 16 giugno 2025 occorre versare l'acconto IMU. A partire dal periodo d'imposta 2025, le decisioni dei sindaci possono essere assunte nei limiti delle fattispecie individuate dal DM 6 settembre 2024 a formare il prospetto delle aliquote di cui, obbligatoriamente, devono essere dotate le delibere decisionali. Anche quando non si intendano diversificare le aliquote.
IMU: il debutto del prospetto delle aliquote
Nonostante l'adozione del decreto attuativo di luglio 2023, che avrebbe reso obbligatori prospetto delle aliquote e procedura telematica per i comuni a partire dal periodo impositivo 2024, così non è stato in quanto l'art. 6-ter DL 132/2023 ne ha prorogato la vigenza all'anno d'imposta 2025.
L'obbligo di redigere il prospetto delle aliquote è previsto dall'art. 1 c. 756 L. 160/2019 che demanda(va) ad un decreto ministeriale l'attuazione della previsione. Il decreto cui la norma di rango primario rinvia risale soltanto al 7 luglio 2023.
Tra la promulgazione della legge di Bilancio 2020 e l'adozione del detto decreto, tuttavia, vi sono state importanti modifiche normative ad opera della L. 197/2022 (legge di Bilancio 2023). L'art. 1, comma 837, della citata legge ha modificato il comma 756 dell'art. 1 L. 160/2019 prevedendo che l'individuazione della fattispecie imponibili potesse essere oggetto di modifiche o integrazione attraverso analogo decreto. Si spiega in questo modo l'adozione del successivo DM 6 settembre 2024 che individua le fattispecie impositive ai fini IMU per le quali ai sindaci è consentito diversificare le aliquote.
Ma il comma 837 della legge di Bilancio 2023 ha introdotto anche un'altra importante novità. La sanzione per i comuni che non adempiono all'obbligo di redigere il prospetto delle aliquote quale parte integrante della delibera decisionale, o all'obbligo di pubblicazione nei prescritti termini sul portale del Federalismo fiscale, consiste nell'applicazione delle aliquote standard (non modificate), generalmente più generose per i contribuenti, individuate per ogni fattispecie dall'art. 1 c. 748-755 L. 160/2019. Fino al periodo 2024, in caso di mancata pubblicazione degli atti deliberativi, trovavano applicazione le aliquote dell'anno precedente o comunque quelle relative all'ultimo periodo d'imposta per il quale risultavano regolarmente pubblicate.
Modalità di determinazione dell'acconto
La verifica del corretto adempimento da parte dei comuni, tuttavia, non può avvenire in concomitanza con il versamento dell'acconto dell'imposta, ma dovrà avvenire nella determinazione del saldo. Ciò in quanto, come per i periodi antecedenti al 2025, le decisioni dei consigli comunali in ordine ad aliquote e regolamenti producono gli effetti per l'anno di imposizione se rispettano due scadenze. Gli uffici comunali devono inserire gli atti deliberativi nell'apposita sezione del sito del Dipartimento delle Finanze entro il termine del 14 ottobre dell'anno interessato per poi risultare pubblicate entro il 28 ottobre dell'anno medesimo e, al più tardi da tale decorrenza, essere liberamente consultabili (art. 1 c. 767 L. 160/2019). Può accadere, pertanto, che nel mese di giugno le delibere decisionali dotate del prospetto non siano ancora pubbliche. È per tale ragione che l'art. 1 c. 762 L. 160/2019 impone che il versamento della prima rata è pari all'imposta dovuta per il primo semestre applicando l'aliquota e la detrazione dei dodici mesi dell'anno precedente. A dicembre, nel momento della determinazione del saldo, in cui le decisioni comunali saranno conoscibili, si dovrà procedere al conguaglio.
Opportuno rammentare che gli enti non commerciali versano l'imposta in tre rate: le prime due, di importo pari ciascuna al 50% dell'imposta complessivamente corrisposta per l'anno precedente, da versare nei termini del 16 giugno e del 16 dicembre dell'anno di riferimento, e l'ultima, a conguaglio, da versare entro il 16 giugno dell'anno successivo sulla base delle aliquote risultanti dal prospetto delle aliquote. Il prossimo 16 giugno, pertanto, oltre a rappresentare la scadenza del primo acconto 2025, rappresenta la scadenza dell'eventuale saldo a conguaglio 2024.
Fattispecie impositive meritevoli di attenzione
Tra le fattispecie più “problematiche”, a cui prestare molta attenzione, ricordiamo le abitazioni di coniugi residenti in immobili diversi, le aree fabbricabili e i fabbricati sprovvisti di rendita catastale poiché in corso di costruzione o fatiscenti.
Nel primo caso, si rammenta che la sentenza n. 209/2022 della Corte Costituzionale ha innovato la definizione di abitazione principale, ai fini IMU, per aver dichiarato costituzionalmente illegittime le norme in materia con le quali il legislatore ha attribuito, nel tempo, rilievo alla condizione che l'immobile non solo dovesse rappresentare la residenza anagrafica e la dimora abituale del soggetto passivo d'imposta, ma del suo intero nucleo familiare. A seguito della pronuncia del giudice delle leggi, pertanto, ove i coniugi (e i familiari in genere) abbiano stabilito residenza anagrafica e dimora abituale in immobili differenti, sul medesimo territorio comunale ovvero in comuni differenti, ogni immobile potrà scontare l'agevolazione fiscale. L'abitazione principale, per esser tale, in virtù dell'art. 1 c. 741 lett. b) L. 160/2019 deve rappresentare nel contempo il luogo di residenza anagrafica e di dimora abituale del contribuente. Il requisito della dimora abituale previene comportamenti fraudolenti nel caso in cui il soggetto passivo voglia fruire dell'esenzione facendo valere una residenza anagrafica fittizia, come ad esempio in una villa al mare o in montagna.
Determinare l'imposta dovuta sulle aree fabbricabili, invece, è impresa ardua in quanto la base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio dell'anno d'imposizione. Tale valore, come noto, risente di valutazioni estremamente soggettive che molto spesso rendono la base imponibile determinata dal soggetto passivo d'imposta difforme da quella pretesa dai comuni. E ciò determina una notevole mole di contenzioso. Al fine di controllare il corretto assoggettamento ad IMU delle aree fabbricabili, i sindaci si basano su valori di riferimento deliberati dai medesimi enti impositori nell'ambito della potestà regolamentare. Tali valori, in coerenza con l'attuale legislazione (art. 1 c. 746 L. 160/2019), devono essere sorretti da diversi elementi: zona territoriale di ubicazione, indice di edificabilità, destinazione d'uso consentita, oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. I valori di riferimento assurgono a presunzioni semplici per cui il contribuente che intende disattenderli deve portare all'attenzione del giudice tributario idonei elementi per confutarli.
L'art. 36 c. 2 DL 223/2006 definisce edificabile l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo. Non di rado accade pure che un'area fiscalmente edificabile non lo sia di fatto e che il valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno d'imposizione preteso dal comune non sia ritenuto congruo dal contribuente.
I fabbricati di nuova costruzione, per essere soggetti ad IMU, devono essere ultimati ed utilizzabili, indipendentemente dalla effettiva iscrizione in catasto, rilevando a fini impositivi le condizioni per l'iscrivibilità ovvero il momento dal quale possono essere considerati fabbricati in ragione dell'ultimazione dei lavori. Di tale principio, espresso dalla Cassazione nell'ordinanza n. 19646/2023 relativo alla disciplina ICI, ma estendibile all'IMU, è opportuno tenerne conto nella determinazione dell'imposta. Sino al momento di utilizzabilità del fabbricato, l'imposta deve essere determinata tenendo conto del solo valore dell'area edificatoria senza computare il valore del fabbricato in corso d'opera. Al contrario, i fabbricati fatiscenti, accatastati nella categoria catastale F/2 che identifica le «unità collabenti», e pertanto anch'essi privi di rendita, oltre a non essere tassabili, non permettono la tassabilità dell'area sulla quale insistono (Ordinanza Cassazione n. 19646/2023, Risoluzione Dipartimento delle Finanze n. 4/DF/2023).
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Paola Aglietta
- Dottore Commercialista e Revisore Legale in TorinoRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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