lunedì 12/05/2025 • 06:00
È legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore part-time se il datore di lavoro dimostra l'impossibilità di una diversa articolazione dell'orario di lavoro e di una sua ricollocazione secondo il principio del repêchage: a stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'ordinanza 15 aprile 2025 n. 9901.
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Una lavoratrice addetta alla contabilità in regime di lavoro parziale (cd. part-time) veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo dalla società sua datrice di lavoro a fronte del rifiuto opposto alla richiesta di incrementare l'orario di lavoro.
La lavoratrice impugnava giudizialmente il provvedimento. Per quanto di precipuo interesse, la Corte d'appello territorialmente competente, decidendo in sede di rinvio a seguito di ordinanza della Corte di Cassazione, dichiarava legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole.
Secondo i giudici di merito:
La lavoratrice soccombente ricorreva, quindi, in cassazione avverso la pronuncia di merito a cui resisteva la società.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, investita della causa, evidenzia che il legislatore ha sempre (da ultimo con l'art. 6 c. 8 D.Lgs. 81/2015) previsto che “il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell'orario di lavoro non costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento”.
In sostanza non si può licenziare un lavoratore part-time per il solo fatto che sia sopravvenuta una ragione organizzativa tale da comportare un aumento dell'orario (ad es. un incremento di clientela che richieda un lavoro aggiuntivo), altrimenti si vanificherebbe la portata del divieto legale.
La giurisprudenza - continua la Corte di Cassazione – ha, però, riconosciuto al datore di lavoro la possibilità di licenziare per giustificato motivo oggettivo un lavoratore part-time ma solo se non sussistono soluzioni alternative ragionevoli in termini di riorganizzazione dell'orario di lavoro. Pertanto, se l'unica soluzione possibile comporta un aumento dell'orario che il lavoratore part-time rifiuta, il rifiuto stesso può condurre al licenziamento (cfr. Cass. n. 30093/2023).
Prima di procedere con il licenziamento, il datore è tenuto, comunque, a verificare la possibilità di adibire il lavoratore interessato ad altra mansione compatibile, secondo i principi generali (c.d. obbligo di repêchage, cfr. Cass.18904/2024).
Resta inteso che la condotta del datore di lavoro – al pari di quella del lavoratore – deve essere valutata alla luce dei canoni di correttezza e buona fede che “possono costituire utile parametro per un controllo sulla discrezionalità gestionale del datore di lavoro”. E tale principio assume particolare rilievo nell'ambito del part-time, soggetto a una stringente regolamentazione normativa e ispirato a specifiche esigenze di tutela sociale, delle quali il datore di lavoro deve tener conto nelle proprie scelte organizzative.
Orbene, nel caso di specie, le numerose allegazioni prodotte in giudizio (non contestate dalla lavoratrice) evidenziano l'assenza di soluzioni alternative percorribili per il raggiungimento del legittimo obiettivo di una gestione aziendale efficace, considerato che il complessivo carico di lavoro assegnato al personale contabile non poteva essere ripartito diversamente.
Peraltro, la lavoratrice non poteva essere assegnata a mansioni diverse da quelle che esaurivano l'attività di impresa della società (amministrazione contabile dei clienti di uno studio cliente) alla luce dei ruoli e delle qualifiche dell'organico aziendale.
La Corte di appello, secondo la Corte di Cassazione, ha così correttamente accertato l'inesistenza di una diversa articolazione oraria praticabile e l'assenza di posti lavorativi disponibili per la ricollocazione della lavoratrice ai fini dell'obbligo di repêchage.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione conclude per il rigetto del ricorso presentato dalla lavoratrice, compensando le spese di giudizio.
Fonte: Cass. Ord. n. 9901 del 15 aprile 2025
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Paolo Mancinelli
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