giovedì 08/05/2025 • 06:00
Mentre sembrano assottigliarsi sempre di più le chance di approvazione della proposta di legge n. 2067 volta a favorire accordi di riduzione dell'orario di lavoro, mettiamo a confronto le possibili strade che potrebbero portare l'Italia a implementare la "settimana lavorativa corta", su modello di quella già implementata in via sperimentale da altri Paesi europei e alcune aziende nazionali.
La settimana lavorativa, nel lavoro privato, può davvero diventare “corta” non tanto per effetto di una nuova legge ma grazie ad una buona contrattazione collettiva.
Questo per quattro ragioni.
La contrattazione collettiva in Italia: spazio ed efficacia
La prima ragione è che una norma, in realtà, già esiste. Ed è l'art. 3 D.Lgs. 66/2003, che rimette alle parti sociali la possibilità di definire “ai fini contrattuali, una durata minore” dell'orario di lavoro. La riduzione di quello settimanale a retribuzione invariata configura per definizione un trattamento migliorativo, e dunque legittimo.
Il D.Lgs. 66/2003 è stato varato in attuazione di Dir. UE 34/2000 e Dir. UE 104/93, “concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro”. Ed infatti, la storia, ha conosciuto lunghe battaglie per un orario di lavoro dignitoso.
Ne sono pietre miliari: il Factory Act del 1847 che limitò in dieci ore la durata della prestazione lavorativa di donne e bambini inglesi; o ancora, il Fair Labor Standards Act del 1938 che, negli Stati Uniti, a livello federale, fissò in 40 ore la settimana lavorativa; ma anche la Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 47 del 1935 ed infine la n. 175 del 1994.
La seconda ragione è che in Italia, a dispetto dei Paesi in cui la settimana corta è definita per legge, la contrattazione collettiva del settore privato gode di efficacia generalizzata e pervade la pressoché totalità dei settori produttivi. Come indicato dal Cnel, i 385 contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali più rappresentative coprono il 97% degli occupati del settore privato. Lo stesso non si verifica, ad esempio, per l'Islanda, il cui Governo ha avviato una sperimentazione sulla settimana corta tra il 2015 e il 2019; per la Spagna, il cui Governo ha approvato la riduzione dell'orario di lavoro settimanale da 40 a 37,5 ore con decorrenza dal 6 maggio 2025; per il Belgio che ha approvato una legge per la settimana lavorativa di quattro giorni a salario invariato nel 2022; per il Giappone che, nell'aprile 2025, ha introdotto per legge la settimana corta anche per i dipendenti pubblici con l'obiettivo di incentivare la natalità.
La specificità delle esigenze delle aziende italiane
La terza ragione è che, nelle aziende disseminate sul territorio italiano, occorre molta ingegneria contrattuale per rispondere con soluzioni diverse a bisogni diversi. Questo risultato possono realizzarlo le parti sociali con intese ad hoc e non la legge, di per sé, generale ed astratta.
I modelli classici di settimana corta si dipanano, ad oggi, su tre traiettorie ma nulla esclude (e anzi è altamente probabile) che diversi altri potrebbero, a seconda delle peculiarità, stagliarsi sull'orizzonte dei tavoli di negoziazione. La sperimentazione di Lamborghiniè la prova di come una rimodulazione creativa dell'orario settimanale, attraverso l'accordo tra azienda e sindacati, generi risultati importanti anche nel settore metalmeccanico. Lo è, per il settore dell'entertainment, anche quella di Siae, che abbiamo già avuto modo di esplorare sulle colonne di questo quotidiano.
La prima traiettoria è quella dei quattro giorni a settimana con riduzione del monte ore totale a salario invariato. L'altra è quello dei quattro giorni alla settimana a salario del pari invariato ma con una semplice redistribuzione dell'orario di lavoro, che non viene quindi ridotto. L'ultima è quello di quattro giorni e mezzo di lavoro a settimana ancora una volta a parità di salario: ai lavoratori è riconosciuta, in altri termini, una mezza giornata libera.
La quarta ed ultima ragione è che non tutte le aziende sono pronte alla sfida della settimana corta. Non bisogna cadere vittime del dibattito ideologico che essa accende e guardare anche all'altra faccia della medaglia. In alcuni contesti organizzati, soprattutto dove sono insufficienti gli investimenti in innovazione, la produttività ristagna; non tutti i turni di lavoro sono assottigliabili; nei turni a ciclo continuo, l'esigenza di coprirli, in caso di settimana corta, potrebbe determinare, di converso, quella di assumere lavoratori che sostituiscano i colleghi assenti e dunque costi maggiori a carico dell'azienda; alcune lavorazioni, come quelle stagionali, impongono un aumento del numero delle ore lavorate e non un loro abbassamento.
In definitiva, è confermato un dato: l'innovazione, per generare buoni frutti, richiede soluzioni cucite su misura. La legge può soltanto accompagnarla. Come è accaduto per quella sullo smart working (L. 81/2017), che ha lasciato alle aziende e sindacati spazi dove dare sfogo alla creatività.
Attivare processi e non occupare spazi, ricordava Papa Francesco. Questo è il compito che spetta anche al legislatore.
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Marco Micaroni
- Responsabile Relazioni Industriali di Autostrade per l'Italia s.p.a.Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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