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venerdì 02/05/2025 • 06:00

Lavoro DAL TRIBUNALE DI ANCONA

"Doppio" licenziamento: ammissibile per condotte distinte e se tempestivo

Possono essere irrogati due distinti licenziamenti a fronte di due diversi illeciti disciplinari, anche qualora il secondo sia stato comunicato dopo la cessazione del rapporto di lavoro (e, dunque, successivamente al primo licenziamento): così ha deciso il Tribunale di Ancona con sentenza 29 marzo 2025 n. 213.

di Davide Maria Testa - Avvocato del Dipartimento Employment di DLA Piper

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I fatti

La vicenda trae spunto da un interessante caso di "doppio" licenziamento per giusta causa intimato da un'azienda a un proprio dipendente. Il primo provvedimento dovuto a condotte di insubordinazione da parte del dipendente nei confronti del superiore ed abbandono del posto di lavoro, mentre il secondo è stato motivato da ammanchi di cassa le cui sottrazioni di denaro sono state imputate al medesimo dipendente.

Il dipendente è dunque stato licenziato dapprima in data 10 novembre 2023 e, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, lo stesso è stato destinatario di "una seconda contestazione che portava ad un nuovo atto di recesso comminato in data 28.11.2023".

Il dipendente ha impugnato il licenziamento (e successivamente adito il Tribunale) sostenendo, in breve, che:

  • il primo licenziamento fosse illegittimo "per insussistenza del fatto contestato inerente all'insubordinazione nei confronti del titolare e l'abbandono del posto di lavoro"; e
  • il secondo licenziamento fosse illegittimo "in quanto il potere disciplinare dell'azienda si era consumato all'atto del primo licenziamento".

Nell'adire la Corte, il dipendente ha precisato che gli addebiti mossigli in relazione alla sottrazione di somme dalla cassa fossero infondati in quanto le somme prelevate sarebbero state utilizzate per pagare i fornitori e che la titolare dell'azienda aveva il controllo della cassa (ogni giorno venivano effettuate le operazioni di contabilizzazione). Ulteriori rilievi sono stati poi mossi in relazione alla tardività della contestazione e alla natura ritorsiva del recesso determinato, a dire del dipendente, dal rifiuto di quest'ultimo "di essere demansionato e di svolgere lavoro non retribuito per l'azienda".

L'azienda si è prontamente costituita in giudizio, affermando "la sussistenza delle condotte addebitate e lo scarso impegno sempre dimostrato dal ricorrente sul posto di lavoro" ed evidenziando la proporzionalità del licenziamento "alla luce del codice disciplinare contenuto nel contratto collettivo".

Quanto ai fatti posti a supporto del secondo licenziamento, l'azienda ha evidenziato che l'ammanco di cassa era stato rilevato soltanto dopo il primo recesso (in quanto il dipendente licenziato "era l'unico ad avere accesso alla cassa conoscendone la password").

La sentenza del Tribunale di Ancona

Il Tribunale di Ancona ha parzialmente accolto il ricorso del dipendente e dichiarato illegittimi i licenziamenti irrogati al dipendente. Vediamo i tratti principali della decisione.

Come noto, l'onere della prova dei fatti posti a fondamento del primo provvedimento espulsivo (i.e. insubordinazione ed abbandono del posto di lavoro) grava sul datore di lavoro.

Tuttavia, a parer del giudice nessuna delle circostanze contestata è risultata adeguatamente provata, neanche attraverso la prova testimoniale (è emerso che la discussione tra dipendente e superiore non fosse avvenuta alla presenza di altri dipendenti).

Con preciso riferimento all'abbandono del posto di lavoro, pur essendo pacifico che il lavoratore avesse abbandonato il posto di lavoro "alle 14:00 non vi è prova che il suo orario di lavoro dovesse proseguire sino alle 16:00". In ogni caso, anche a voler valorizzare tale dato per cui il dipendente si era allontanato prima della fine dell'orario di lavoro, il CCNL "prevede in tali casi la sola sanzione conservativa, ritenendo che possa essere esercitato il recesso disciplinare soltanto nel caso in cui l'abbandono del posto di lavoro abbia messo in pericolo l'incolumità delle persone e la sicurezza degli impianti, situazione non ricorrente nel caso di specie".

Pertanto, non essendo stato soddisfatto – a parer del giudice – l'onere probatorio, il Tribunale ha deciso che il primo licenziamento dovesse ritenersi illegittimo.

Fermo restando ciò, entriamo nel vivo della questione giuridica di maggior interesse: l'ammissibilità o meno del secondo atto di recesso.

Come immaginabile, la posizione processuale del dipendente è stata quella per cui il secondo licenziamento dovesse ritenersi formalmente e sostanzialmente illegittimo in quanto irrogato successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro. Per l'effetto, l'azienda datrice di lavoro ha esaurito i propri poteri con l'irrogazione del primo licenziamento.

Ma il giudice di Ancona non è stato dello stesso avviso. Ed invero, la sentenza ha rilevato che, "essendo le condotte contestate del tutto distinte, non può affermarsi che con il primo atto di recesso il datore di lavoro abbia consumato il proprio potere disciplinare, ben potendo essere contestate in due momenti diversi distinte condotte egualmente rilevanti sotto il profilo disciplinare, ferma restando ogni valutazione sulla tempestività dell'azione disciplinare promossa in un secondo momento". E neanche – ha proseguito il giudice – "può ritenersi che, essendo cessato il rapporto di lavoro con il primo atto di recesso il datore di lavoro non potesse contestare nuove condotte e irrogare un nuovo licenziamento disciplinare".

Tali principi solcano la stessa direzione percorsa anche da recente giurisprudenza di legittimità: infatti, in conferma di un orientamento già espresso in precedenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto che un doppio licenziamento potesse ritenersi ammissibileove il secondo atto espulsivo fosse stato fondato su un motivo diverso, sopravvenuto (o non conosciuto dal datore di lavoro) all'atto del primo licenziamento (Cass. 1376/2025). Precisamente, un tratto interessante della citata sentenza di Cassazione recita che "ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso, sopravvenuto o, comunque, non conosciuto in precedenza dal datore, e la sua efficacia resti condizionata all'eventuale declaratoria di illegittimità del primo (Cass. n. 106/2013, n. 19089/2018); la Corte distrettuale ha, con argomentazione logica e congrua, interpretato la nozione di fatto sopravvenuto non solo come fatto già noto in funzione di impedire strumentali contestazioni a catena, ma anche come fatto conosciuto dopo la prima contestazione (nel caso di specie la relativa procedura disciplinare era stata avviata e non era stata ancora conclusa), non essendo imposta l'unificazione delle due procedure disciplinari".

Applicando tali principi alla fattispecie in esame, il Tribunale di Ancona ha ritenuto "del tutto ammissibile in astratto il secondo atto di recesso". E tale vaglio preliminare d'ammissibilità ha consentito al Giudice di proseguire le proprie valutazioni di merito sul secondo atto di recesso (in quanto non impedite ab origine dall'inammissibilità del medesimo).

Nel merito, dunque, è stata fatta un'approfondita valutazione sulla tardività (o meno) dell'azione disciplinare. A seguito di un riepilogo dei principi giuridici in tema di tempestività/immediatezza della contestazione (che va valutata, da un lato, dal momento in cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza dell'infrazione e non dal momento in cui avrebbe potuto avere contezza di essa e, dall'altro, in relazione alla complessità dell'organizzazione aziendale e delle indagini da effettuare), il Tribunale di Ancona ha affermato che "il datore di lavoro che contesti in ritardo l'addebito disciplinare deve anche dare prova sotto il profilo della tempestività di essere venuto a conoscenza tardivamente della condotta".

Nel caso di specie, è stato rilevato che l'azienda non avrebbe fornito prova alcuna di essere venuta a conoscenza dei prelievi non autorizzati soltanto dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Ma non è tutto. Infatti, sembrerebbe che l'azienda non abbia fornito neanche la prova che gli ammanchi di cassa contestati corrispondessero ai prelievi di danaro effettuati dal anche se in assenza di autorizzazione.

Ne è derivata, pertanto, la declaratoria d'illegittimità anche del secondo licenziamento.

Fonte: Sentenza Tribunale di Ancona n. 213 del 29 marzo 2025

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