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mercoledì 23/04/2025 • 06:00

Lavoro OBBLIGHI PER LE AZIENDE DAL 2026

Gender pay gap: i dati italiani in attesa del recepimento della Direttiva UE

Ancora tutto tace in relazione al recepimento della Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale, ma nel frattempo il gap tra le retribuzioni di uomini e donne in Italia si allarga: ecco gli obblighi a cui tutte le aziende italiane dovrebbero prepararsi.

di Michele Costa - Consulente del lavoro

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  • Tempo di lettura 3 min.
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Per gender pay gap si intende quel divario che esiste nelle retribuzioni tra lavoratrici donne e lavoratori uomini, un sottoinsieme del più ampio gender gap che si riferisce in generale alle differenze tra uomini e donne, disparità che nel mondo del lavoro si fa fatica a colmare.

Anche se il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore venne introdotto nel Trattato di Roma nel 1957, il divario retributivo persiste e con la Dir. UE 2023/970 il legislatore comunitario intende rimuovere gli ostacoli ancora esistenti verso la parità retributiva tra uomini e donne e rendere più trasparente la politica retributiva dei singoli Stati.

La situazione in Italia

Il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza INPS il 24 febbraio 2025 ha presentato il Rendiconto di genere 2024, evidenziando che sono ancora importanti le condizioni di svantaggio delle donne in Italia, nell'ambito lavorativo, familiare e sociale.

Nel 2023, la percentuale di lavoratrici in Italia si è attestata al 52,5%, rispetto al 70,4% degli uomini con un divario di genere significativo pari al 17,9%. Inoltre, su cento assunzioni annue quelle che hanno coinvolto le donne sono poco più di 42, rivelando anche qui un gap di circa il 16% rispetto agli uomini.

Dal rendiconto di genere è emerso anche che soltanto il 18% delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato a fronte del 22,6% degli uomini, mostrando, pertanto, una maggiore instabilità del mondo del lavoro femminile.

Anche le differenze retributive tra uomini e donne rappresentano un aspetto critico socioeconomico. È emerso, infatti, che le donne percepiscono stipendi inferiori di oltre venti punti percentuali rispetto agli uomini, con la seguente distinzione tra i principali settori merceologici:

  • 20% nelle attività manifatturiere;
  • 23,7% nel commercio;
  • 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione;
  • 32,1% nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese.

Soltanto il 21,1% dei dirigenti è donna, mentre tra i quadri il genere femminile rappresenta solo il 32,4%, anche se la percentuale di donne laureate risulti essere superiore rispetto ai maschi (52,6% di diplomate e 59,9% di laureate)

La direttiva europea 2023/970

La direttiva del 10 maggio 2023 stabilisce prescrizioni minime intese a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne e del divieto di discriminazione, in particolare tramite la trasparenza retributiva e il rafforzamento dei relativi meccanismi di applicazione.

La direttiva (art. 2 c. 1) si applica a tutti i datori di lavoro del settore pubblico e privato, senza prevedere alcuna soglia minima di dipendenti occupati ed è rivolta a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro.

L'obiettivo del provvedimento è definito all'art. 4, ovvero l'adozione da parte di tutti gli Stati Membri delle misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

Dovremmo dotarci di sistemi retributivi neutri, che non facciano distinzione tra sessi, "tali da consentire di valutare se i lavoratori si trovino in una situazione comparabile per quanto riguarda il valore del lavoro sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere concordati con i rappresentanti dei lavoratori, laddove tali rappresentanti esistano". Tali criteri dovranno fondarsi sulle competenze, l'impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro, nonché, se del caso, qualsiasi altro fattore pertinente al lavoro o alla posizione specifici. Sono applicati in modo oggettivo e neutro dal punto di vista del genere, escludendo qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso. In particolare, le pertinenti competenze trasversali non devono essere sottovalutate (art. 4 c. 4).

I nuovi obblighi previsti dalla direttiva

Il recepimento della direttiva dovrebbe avvenire entro il 7 giugno del 2026, ma non ci risultano al momento attività legislative in questa direzione che potrebbero essere utili per guidare gli operatori verso i nuovi adempimenti, poiché l'impatto delle norme risulta essere evidente già dalla fase del reclutamento delle risorse.

Infatti, la direttiva prevede che al fine di interrompere la persistenza del divario retributivo di genere i datori di lavoro dovrebbero garantire che gli avvisi di posto vacante e i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione siano condotte in modo non discriminatorio, così da non compromettere il diritto alla parità di retribuzione.

L'art. 5 della direttiva, denominato "Trasparenza retributiva prima dell'assunzione" stabilisce che i candidati a un impiego ricevano dal loro potenziale datore di lavoro informazioni:

  • sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione in questione, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere;
  • sulle disposizioni del contratto collettivo applicate dal datore di lavoro in relazione alla posizione.

Il datore di lavoro, al contrario, non potrà chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.

Il principio di trasparenza delle retribuzioni dovrà poi essere rispettato anche nel proseguo della vita lavorativa, infatti, si prevede altresì che "i datori di lavoro rendono facilmente accessibili ai propri lavoratori i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica dei lavoratori. Tali criteri sono oggettivi e neutri sotto il profilo del genere" (art. 6 c. 1).

È evidente, quindi, che sia l'attività di selezione del personale sia la normale gestione e amministrazione del personale saranno fortemente coinvolte in questo cambio di approccio e le aziende dovranno essere pronte e formarsi adeguatamente per poter affrontare il cambiamento.

Come dicevamo in precedenza, la direttiva è rivolta a tutti di datori di lavoro pubblici e privati senza limite dimensionale: viene però lasciata ai singoli Stati membri la possibilità di esonerare dall'obbligo di trasparenza retributiva durante la progressione di carriera di cui all'art. 6 c. 1 le aziende con meno di 50 dipendenti.

È necessario, quindi, un intervento del nostro legislatore per evitare che le piccole aziende siano costrette a dover provvedere già nel 2026 a tale nuovo adempimento.

Diritto di informazione

L'art. 7 della direttiva disciplina il diritto dei lavoratori di ricevere, anche per mezzo dei loro rappresentanti, informazioni dal proprio datore di lavoro sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore e i datori di lavoro dovranno dare risposte non oltre due mesi dalla data in cui è presentata la richiesta.

Inoltre, incombe sui datori l'obbligo di informare annualmente tutti i lavoratori del loro diritto di ricevere le informazioni di cui sopra e delle attività che il lavoratore deve intraprendere per esercitare tale diritto.

Da valutare, inoltre, l'impatto che avrà la previsione dell'art. 7 c. 5, laddove stabilisce che ai lavoratori non può essere impedito di rendere nota la propria retribuzione ai fini dell'attuazione del principio della parità di retribuzione. In particolare, ogni Stato dovrebbe prevedere delle misure che vietino clausole contrattuali che limitino la facoltà dei lavoratori di rendere note informazioni sulla propria retribuzione.

Sappiamo, ad esempio, come è diffusa la pratica di definire forme retributive ad personam che prevedano anche clausole di riservatezza che, dalla semplice lettura della direttiva, sembrerebbero dover essere escluse nel prossimo futuro.

Comunicazioni di informazioni sul divario retributivo

Uno degli aspetti più onerosi della direttiva è rappresentato da quanto stabilito all'art. 9 relativamente all'obbligo di comunicare i seguenti dati:

  • il divario retributivo di genere;
  • il divario retributivo di genere nelle componenti complementari o variabili;
  • il divario retributivo mediano di genere;
  • il divario retributivo mediano di genere nelle componenti complementari o variabili;
  • la percentuale di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile che ricevono componenti complementari o variabili;
  • la percentuale di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile in ogni quartile retributivo;
  • il divario retributivo di genere tra lavoratori per categorie di lavoratori ripartito in base al salario o allo stipendio normale di base e alle componenti complementari o variabili.

La comunicazione non ha finalità statistiche, infatti, laddove risultasse una immotivata disparità di trattamento tra lavoratori di sesso diverso pari ad almeno il 5%, sarà necessario effettuare una valutazione congiunta delle retribuzioni con le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori per correggere e prevenire anche in futuro tali differenze retributive.

La decorrenza dell'obbligo della comunicazione prevista all'art. 9 viene, però, dilazionata nel tempo in ragione del numero degli occupati come di seguito rappresentato:

  • per le aziende con almeno 250 lavoratori: entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni anno;
  • per le aziende tra i 150 e i 249 lavoratori: entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni tre anni;
  • per le aziende che hanno tra i 100 e i 149 lavoratori: entro il 7 giugno 2031 e successivamente ogni tre anni.

Conclusioni

L'applicazione della direttiva 970/2023 del 10 maggio 2023 rischia di piombare sulle aziende in maniera inaspettata: occorre, quindi, prepararsi in tempo sia per poter formare il personale che sarà direttamente coinvolto dalle nuove norme sia per adeguare o dotarsi di gestionali in grado di poter gestire le informazioni richieste.

Va posta molta attenzione anche sugli elementi variabili erogati ai lavoratori e con quali regole questi emolumenti vengono concessi.

Infatti, se prima eravamo abituati a calcolare differenze retributive sugli elementi fissi della retribuzione in caso di contezioso con il lavoratore che rivendicava un livello diverso da quello assegnato adesso, anche rispettando il corretto inquadramento e la relativa paga tabellare, potremo essere chiamati a risarcire un lavoratore che si veda danneggiato dalla violazione del principio di parità della retribuzione (artt. 16 e 23).

Ricordiamo, infine, che la parità di retribuzione non dovrà essere garantita soltanto per i propri dipendenti, ma anche in caso di appalti pubblici e concessioni come stabilito dall'art. 24, rendendo ancora più complicata la verifica del principio di equivalenza tra i contratti previsto dalla normativa vigente.

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