mercoledì 16/04/2025 • 06:00
Con la sentenza C-584/23 la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sull'interpretazione dell'art. 4 par. 1 della Direttiva 79/7/CEE in materia di sicurezza sociale, affrontando un possibile caso di discriminazione indiretta fondata sul sesso.
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La fattispecie
Una dipendente di una società con sede in Spagna, con mansioni di cassiera, beneficiava dal 2008 di una misura di riduzione dell'orario di lavoro, prevista dalla legge spagnola in favore di chi dispone della tutela legale di un minore di età inferiore ai dodici anni. La riduzione dell'orario – passata nel tempo da 39,5 a 20 ore settimanali – sarebbe dovuta venire meno agli inizi del mese di ottobre 2019. Tuttavia, nell'aprile 2019, la lavoratrice subiva un infortunio sul lavoro che le cagionava un'invalidità successivamente riconosciuta dall'INSS (Istituto nazionale di previdenza sociale spagnolo). Sulla base della normativa nazionale, l'importo della pensione di invalidità veniva calcolato prendendo come base la retribuzione effettiva percepita al momento dell'infortunio, ridotta in proporzione al part time, che risultava pari al 50% dell'importo spettante per un'occupazione full-time.
La lavoratrice proponeva così ricorso avanti l'autorità giudiziaria nazionale, sostenendo che la normativa contenuta nell'art. 60 della legge spagnola in materia di infortuni sul lavoro (reglamento de aplicación del texto refundido de la legislación de accidentes del trabajo), il quale prevede il calcolo della pensione di invalidità permanente sulla base della retribuzione effettivamente percepita alla data dell'infortunio, determinerebbe una disparità di trattamento indiretta fondata sul sesso nei confronti dei lavoratori che, al momento del sinistro, fruiscono di una riduzione dell'orario per esigenze di cura di figli minori e, conseguentemente, percepiscono una retribuzione proporzionalmente ridotta. Poiché tale misura di conciliazione è utilizzata in prevalenza da donne (90,15% nel triennio 2020-2022), esse si troverebbero, rispetto agli uomini, in una posizione di particolare svantaggio nel calcolo delle prestazioni previdenziali.
Il giudice investito della controversia, sul punto, riteneva quindi di sollevare una questione pregiudiziale alla CGUE, richiamando diversi parametri di diritto dell'Unione, tra cui l'art. 5 della direttiva 2006/54/CE (divieto di discriminazione), e rilevando anche un possibile contrasto con l'art. 4 della direttiva 79/7/CEE, la quale vieta ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, fondata sul sesso nell'accesso ai regimi di sicurezza sociale, nel calcolo dei contributi e delle prestazioni, comprese le condizioni per il loro mantenimento.
La decisione della CGUE
La CGUE, con la pronuncia in esame, ha chiarito che l'unico parametro rilevante ai fini della decisione sulla questione sottopostale è l'art. 4 della direttiva 79/7/CEE, in quanto applicabile ai regimi legali di sicurezza sociale, escludendo invece l'applicabilità della direttiva 2006/54/CE.
La CGUE ha quindi ribadito che gli Stati membri mantengono autonomia nel disciplinare i propri sistemi di sicurezza sociale, ma devono farlo nel rispetto del diritto dell'Unione, e dunque senza introdurre discriminazioni, nemmeno indirette, fondate sul sesso. Il principio di parità sancito dalla direttiva 79/7/CEE si applica espressamente al calcolo delle prestazioni, e impone l'assenza di ogni forma di disparità – diretta o indiretta – di trattamento.
La Corte, nello specifico, ha osservato che la norma spagnola che prevede il calcolo della pensione di invalidità sulla base della retribuzione effettiva non è discriminatoria in via diretta, perché si applica indistintamente a uomini e donne. Occorre dunque valutare se sussista una discriminazione indiretta, ovvero se una regola apparentemente neutra produca, in concreto, un impatto negativo sproporzionato su persone di un determinato sesso.
A tal fine, è necessario, secondo giurisprudenza consolidata, che vi siano dati statistici affidabili e significativi, e che questi dimostrino che la norma incide negativamente su una percentuale significativamente maggiore di lavoratrici rispetto ai lavoratori. Il metodo corretto di raffronto consiste nel confrontare la percentuale dei lavoratori colpiti all'interno della forza lavoro maschile con quella nella forza lavoro femminile.
Nel caso di specie, il giudice del rinvio aveva fornito un dato globale evidenziando che oltre il 90% dei lavoratori che avevano usufruito della riduzione oraria nel triennio 2020-2022 erano donne. Tuttavia, la CGUE ha rilevato che tale dato è insufficiente, poiché non identifica il gruppo effettivamente svantaggiato (ossia i lavoratori che subiscono un infortunio durante il periodo di riduzione oraria oltre il secondo anno), né consente di determinare se all'interno di questo sottogruppo vi sia uno squilibrio di genere.
La CGUE ha altresì aggiunto che la normativa spagnola prevede un meccanismo di neutralizzazione per i primi due anni della riduzione orari. Infatti, durante questo periodo i contributi sono figurativamente calcolati come se il lavoratore avesse un contratto full-time, con una piena copertura previdenziale. Solo a partire dal terzo anno, i contributi (e quindi le prestazioni collegate) riflettono un'eventuale retribuzione ridotta.
Inoltre, la CGUE ha sottolineato che anche qualora nella fattispecie emergesse un impatto discriminatorio, occorrerebbe comunque valutare se la misura persegua uno scopo legittimo e se sia appropriata e proporzionata al raggiungimento di tale scopo. Tale valutazione spetta in via esclusiva al giudice nazionale.
In conclusione, la Corte ha affermato che l'art. 4 par. 1 della direttiva 79/7/CEE non osta a una normativa nazionale che prevede il calcolo della pensione di invalidità sulla base della retribuzione effettivamente percepita al momento dell'infortunio, anche nel caso in cui il lavoratore stesse beneficiando, a quella data, di una misura di riduzione dell'orario per occuparsi di un figlio minore, anche se i fruitori di tale misura siano in larga maggioranza donne, a condizione che non sia dimostrato un effetto discriminatorio concreto e sproporzionato a carico di queste ultime.
Fonte: Sentenza CGUE C-584/23 del 10 aprile 2025
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