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giovedì 03/04/2025 • 06:00

Lavoro Dalla Cassazione

Abuso del permesso: vale anche l’elemento soggettivo

La figura dell'abuso del permesso che conduce alla giusta causa implica sul piano soggettivo l'elemento intenzionale ed esso non può esistere quando la finalità della condotta sia stata quella di obbedire ad altri valori impellenti e non di pregiudicare interessi altrui. A tale conclusione la giurisprudenza giunge con riferimento al caso di un dipendente che, durante il congedo parentale, si reca all'estero per assistere la madre malata.

di Marcella De Trizio - Avvocato - Studio ArlatiGhislandi

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Con ordinanza n. 6993 del 16 marzo 2025 la Corte di Cassazione affronta il dibattuto tema dell'abuso dei permessi retribuiti, definendone i confini e il campo di applicazione.

Fatti di causa

La Corte d'Appello di Trento, in riforma della sentenza appellata, dichiarava l'illegittimità del licenziamento disciplinare impugnato da un dipendente che fruiva del congedo parentale, condannando il datore di lavoro a reintegrare l'appellante ed al conseguente risarcimento del danno.

In particolare, parte datoriale contestava l'abuso del congedo parentale in corso di fruizione limitatamente agli ultimi 10 giorni del congedo per il periodo dal 2/4/2019 al 13/4/2019 fruito per il figlio. Il lavoratore - che nel periodo precedente aveva prestato la propria assistenza al figlio – era ritornato in Marocco da solo, a causa dell'improvviso aggravamento delle condizioni di salute della madre.

Il lavoratore non aveva espletato alcuna attività di lavoro per conto terzi, né aveva messo in atto altre condotte incompatibili con le motivazioni assistenziali che sono alla base dell'istituto del congedo parentale. Pertanto, la condotta contestata non appariva connotata da intrinseco disvalore sociale, trattandosi comunque di una assenza temporanea per ragioni familiari urgenti e contingenti, esigenza riconducibile nell'alveo dei doveri di solidarietà familiare e di cura dei legami.

Il lavoratore non appariva neppure meritevole di alcun rimprovero per aver lasciato in Italia il figlioletto con la madre per il breve lasso di tempo, atteso che non era ragionevole sottoporre il minore nato il 13/2/2018 ad un ulteriore impegnativo trasferimento a seguito del padre, ne era esigibile che il padre rinunciasse all'assistenza della propria genitrice.

La Corte d'Appello concludeva pertanto che il fatto contestato non configurasse una condotta connotata da disvalore sociale o da antigiuridicità.

Conclusioni della Corte

La Corte di Cassazione conferma la decisione di secondo grado affrontando l'interessante questione giuridica attinente alla necessità del contemperamento dell'istituto dei permessi con altri valori costituzionali rilevanti nello stesso ambito familiare.

In particolare, in considerazione:

- dell'età del bambino,

- della gravità della malattia della madre del lavoratore,

- del fatto che fosse stato già fatto un viaggio con l'intera famiglia poco tempo prima,

- del fatto che il bambino fosse stato affidato alla madre,

- del non aver il lavoratore espletato attività incompatibili sul piano del lavoro o di altri apprezzabili valori,

la Corte ha ritenuto insussistente la figura dell'abuso del permesso.

In particolare precisa che:

  • sotto il profilo sostanziale, non può essere ritenuto contrario allo spirito della disciplina legale se il congedo familiare in discorso sia stato fruito in una situazione di fatto, particolare ed urgente, allo scopo di assicurare, per un periodo contenuto ed in via di eccezione, il contemperamento tutti i diversi valori compresenti nella concreta vicenda; fermo restando che l'obiettivo principale dell'assistenza al minore sia stato sempre e comunque oggettivamente assicurato pure in ambito familiare;
  • la figura dell'"abuso del permesso" che conduce alla giusta causa implica sul piano soggettivo l'elemento intenzionale ed essa non può esistere quando la finalità della condotta sia stata quella di obbedire ad altri valori impellenti e non di pregiudicare interessi altrui.

Non esiste alcun automatismo tra la mancata prestazione dell'assistenza al minore e la figura dell'abuso essendo pure necessario valutare, oltre alla sua oggettiva durata, anche la motivazione per cui essa non sia avvenuta.

Nel caso di specie, gli addebiti mossi contro il dipendente non esistono né sul piano oggettivo e tanto meno su quello soggettivo, non avendo voluto il lavoratore e commettere alcun abuso ossia distorcere per finalità vietate l'uso del congedo accordatogli dall'ordinamento. Il fatto è, quindi, privo di rilevanza giuridica perché non è antigiuridico, né idoneo ad incidere sul rapporto fiduciario e a produrre effetti sul piano disciplinare.

Precedenti giurisprudenziali

La pronuncia, per avvalorare il principio esposto, richiama una recente pronuncia sul simile tema dei permessi ex lege 104/92 (Cass. 1227/2025): “sul piano sistematico e ordinamentale può dirsi che, sotto il profilo oggettivo, il concetto di "abuso del diritto" implichi l'assenza di funzione, ossia un esercizio del diritto solo apparente, privo di qualunque legame ed utilità rispetto allo scopo per il quale quel diritto è riconosciuto dal legislatore. Sul piano soggettivo è necessario un elemento psicologico, di natura intenzionale o dolosa, che parimenti deve essere accertato, sia pure mediante presunzioni semplici, dalle quali sia possibile individuare la finalità di pregiudicare interessi altrui".

La stessa ribadisce la necessità che vi sia un nesso causale fra l'assenza dal lavoro e l'assistenza al disabile e tale valutazione va operata sia in termini quantitativi che in termini qualitativi e complessivamente in modo relativo, tenendo conto del contesto e di tutte le circostanze del caso concreto.

Il c.d. abuso del diritto che darebbe legittimamente luogo ad un licenziamento si configura solo quando il nesso causale viene a mancare "del tutto" (Cass. n. 19580/2019).

Fonte: Cass. 16 marzo 2025, n. 6993

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