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venerdì 31/01/2025 • 06:00

Lavoro Referendum ammesso

Jobs Act: gli impatti dell’abrogazione delle norme sui licenziamenti

La Corte Costituzionale ha ammesso il referendum per abolire le attuali norme sui licenziamenti, che non prevedono il reintegro del lavoratore se non in alcuni casi specifici previsti dalla legge. L’eventuale esito positivo della votazione avrebbe non pochi impatti sul mercato del lavoro.

di Marco Micaroni - Responsabile Relazioni Industriali di Autostrade per l'Italia s.p.a.

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  • Tempo di lettura 9 min.
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La Corte Costituzionale dichiara ammissibili i cinque referendum abrogativi promossi dalla Cgil i su alcuni fondamentali temi relativi al mondo del lavoro.

Con comunicato stampa del 20 gennaio 2025 la Consulta formalmente dichiara che “…le richieste non rientrano in alcune delle ipotesi per le quali l'ordinamento costituzionale esclude il ricorso all'istituto referendario” e pertanto, nei prossimi mesi, sarà resa nota la data nella quale tutti i cittadini saranno chiamati alle urne per esprimersi.

Le materie su cui saranno indette le votazioni riguardano i contratti di lavoro a termine (durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi), i tempi per la concessione della cittadinanza italiana, le responsabilità dei datori di lavoro in caso di infortuni del prestatore d'opera, le norme relative ai licenziamenti così come attualmente disciplinati dopo la riforma del jobs act del 2015 ed oggi in vigore.

Con la doverosa premessa che l'attivazione dello strumento del referendum è di per sé un dato positivo per la democrazia e per la partecipazione diretta dei cittadini, anche ai sensi di quanto previsto nell'art. 75 della Costituzione, analizziamo in dettaglio i due quesiti relativi all'abrogazione delle attuali norme relative ai licenziamenti, con le possibili principali conseguenze sul mercato del lavoro, qualora la maggioranza dei votanti (il quorum è il 50%+ 1 degli aventi diritto) decidesse per il sì all'abrogazione delle attuali disposizioni legislative.

Il primo quesito

La richiesta del comitato promotore del referendum è l'abrogazione delle norme che impediscono il reintegro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi.

Le tutele del lavoratore in caso di licenziamento sono quelle relative all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori: fino al Jobs Act del 2015, era prevista la c.d. tutela reale, disciplinando sempre il reintegro nel posto di lavoro (per le imprese con più di 15 dipendenti) nel caso il Giudice avesse ritenuto illegittimo il licenziamento.

Con il Jobs Act, il lavoratore assunto dopo l'entrata in vigore delle nuove norme (7 marzo 2015), ha diritto, a parte alcuni casi specifici, a percepire esclusivamente un indennizzo economico e non più la tutela reintegratoria.

I casi in cui il datore di lavoro sarà obbligato a reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato, al momento, sono quindi soltanto:

  • licenziamento discriminatorio a norma dell'art. 15 dello Statuto (art.2 comma 1 D.lgs n.23/2015)
  • licenziamento nullo per espressa previsione di legge (art. 2, comma 1), ad esempio perché intimato in violazione delle disposizioni in materia di tutela della maternità
  • licenziamento inefficace perché intimato in forma orale (art.2 comma 1 ultima parte)
  • licenziamento rispetto al quale il Giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore (art.2 comma 4)
  • licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa rispetto al quale sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (art.3 comma 2).

In tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte dalla legge (per esempio in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta esclusivamente una indennità economica (Jobs Act: contratto di lavoro a tutele crescenti, perché l'indennizzo sale con l'anzianità aziendale del lavoratore).

Il referendum «mira a cancellare le norme sui licenziamenti del Jobs Act che consentono alle imprese di non reintegrare una lavoratrice o un lavoratore licenziata/o in modo illegittimo nel caso in cui sia stato assunto dopo il 2015», così creando, secondo i promotori “…una ingiustificata disparità di trattamento, peraltro anche in caso di licenziamenti collettivi, in ragione della data di assunzione”.

Con il sì all'abrogazione, si ritornerebbe alla disciplina dell'articolo 18 precedente, rafforzando – a detta della Cgil -  la posizione del lavoratore.

Il secondo quesito

I cittadini saranno chiamati al voto rispetto al tetto massimo di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo dei datori di lavoro delle piccole e medie imprese, attualmente previsto in 6 mensilità, ai sensi dell'articolo 8 della Legge n.604/1966.

È bene infatti ricordare che, secondo quanto previsto nell'art.35 dello Statuto dei Lavoratori, l'art. 18 dello stesso non è applicabile per le aziende con meno di 15 lavoratori, e si applica invece la normativa sopracitata.

Obiettivo del referendum è quindi « innalzare le tutele contro i licenziamenti illegittimi per le lavoratrici e i lavoratori che operano nelle imprese con meno di quindici dipendenti, cancellando il tetto massimo all'indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato nelle piccole aziende, affinché sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite», in relazione per esempio all'età, ai carichi familiari, alla capacità economica dell'azienda; queste le ragioni della Cgil nel promuovere la votazione.

Le possibili conseguenze del sì all'abrogazione delle norme

I temi dei due referendum sono molto delicati, perché negli stessi si intrecciano diritti e tutele dei lavoratori, i principi dell'art 41 della Costituzione in termini di libertà economica dell'imprenditore, le flessibilità del mercato del lavoro utili a favorire l'occupazione. Almeno secondo il legislatore, a partire dalla Legge Biagi e dal Jobs Act in avanti, una quota importante di flessibilità anche in uscita è necessaria per incrementare i tassi di occupazione.

In fin dei conti la questione è l'essenza del diritto del lavoro, la necessità cioè di contemperare le esigenze dell'imprenditore con quelle del lavoratore, cercando il giusto equilibrio.

La discussione dovrebbe essere quanto più possibile tecnica, non ideologica. Il rischio reale se si ritornasse indietro rispetto alla normativa attuale, sarebbe quello di tornare a quella “incertezza del diritto” che pre-jobs act  lamentavano i datori di lavoro. All'epoca, infatti, l'alea lasciata ai giudici del lavoro nella scelta se confermare o meno un licenziamento era così soggetta all'interpretazione del magistrato da far rischiare in qualche caso anche la tenuta stessa dell'impresa, soprattutto se piccola: le conseguenze dell''illegittimità del licenziamento potevano essere infatti la reintegra, magari dopo molti anni e con giudizi alterni tra i tre gradi di giudizio, ed il pagamento di tutte le retribuzioni arretrate del lavoratore (a volte somme molto rilevanti).

Gli ultimi dati sull'occupazione sono confortanti (poi si può discutere sulla qualità della stessa, ma è un altro tema…): siamo sicuri che abolire il Jobs Act rispetto alle norme sui licenziamenti non possa provocare minori assunzioni, se l'imprenditore tornerà ad avere un mercato del lavoro improvvisamente di nuovo così rigido in uscita, peraltro in un periodo così delicato come quello attuale dove stanno prepotentemente arrivando gli effetti dell'impiego dell'intelligenza artificiale?

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Pasquale Staropoli

- Avvocato

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