L'impresa familiare Alfa opera nel settore delle confezioni e lavora per conto terzi (c.d. fasonisti).
Nell'ambito dell'impresa opera, con carattere di continuità, la convivente di fatto del titolare dell'impresa, madre naturale del figlio di quest'ultimo, anch'esso convivente e minore.
In particolare, la convivente, al termine dei lavori domestici, presta la propria attività da 5 anni nelle ore della mattina presso la propria abitazione, occupandosi della cucitura delle etichette e senza ricevere alcunché a titolo retributivo, ma solo il mantenimento.
Ci si chiede come inquadrare il rapporto di lavoro con la convivente e se, in assenza di matrimonio e di unione civile, debbano essere necessariamente applicate le regole del lavoro subordinato o se può considerarsi applicabile la disciplina dell'impresa familiare.
Nozione di familiare
Secondo la legge, si intende come familiare il coniuge, il componente dell'unione civile, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo (artt. 239 bis e ter c.c.).
Stando, quindi, alla lettera della norma il convivente more uxorio non può rendere lavoro nell'impresa familiare senza instaurare un regolare rapporto di lavoro subordinato.
Con pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Costituzionale 25 luglio 2024 n. 148) è stato, però, esteso il campo di applicazione della norma ai conviventi more uxorio.
In particolare, e in prima battuta, è stato chiarito che:
il matrimonio, inteso quale unione tra persone di sesso diverso, è riconducibile all'art. 29 Cost.;
le convivenze di fatto, al pari delle unioni civili, appartengono alle formazioni sociali di cui all'art. 2 Cost., all'interno delle quali l'individuo afferma e sviluppa la propria personalità.
Ad avvisto della Corte il fondamento costituzionale dell'istituto dell'impresa familiare va ricondotto all'art. 29 Cost, ed ancora prima ai principi di solidarietà e di eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost., non meno che agli artt. 35 e 36 Cost., e, non da ultimo, all'art. 37 Cost., data la tendenziale prevalenza del lavoro femminile in ambito familiare.
Ferma la differenza fra i due istituti, la convivenza more uxorio costituisce un rapporto ormai entrato nell'uso ed è comunemente accettato, accanto a quello fondato sul vincolo coniugale.
Vi sono, tuttavia, aspetti particolari, in relazione ad ipotesi particolari, in cui si possono riscontrare tra convivenza more uxorio e rapporto coniugale caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria una identità di disciplina.
Tra questi rientra il lavoro nell'impresa familiare, in quanto, diversamente, la prestazione lavorativa rischierebbe di essere attratta nell'orbita del lavoro gratuito.
Pertanto, ai conviventi di fatto, intendendosi come tali due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, vanno dunque riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge e della persona unita civilmente all'imprenditore.
Elementi del lavoro nell'impresa familiare
La giurisprudenza (Cass. 5603/2002) ha ritenuto che per potersi parlare di impresa familiare debbano sussistere determinati presupposti:
Costituzione dell'impresa
Natura familiare dei partecipanti
Svolgimento di attività di lavoro continuativa
Accrescimento della produttività
L'osservanza di un orario di lavoro, l'eterodirezione, il riconoscimento di una retribuzione, possono essere, invece, elementi che portano alla qualificazione di un rapporto di lavoro subordinato, e non a lavoro nell'impresa familiare.
L'Impresa familiare
Il lavoro familiare si presume gratuito. Tuttavia, salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare:
- ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia
- partecipa agli utili dell'impresa familiare
- partecipa ai beni acquistati con essi
- partecipa agli incrementi della azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato
Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all'impresa stessa.
I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi.
L'art. 230-ter c.c. nel disciplinare i diritti del convivente prevede che “al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato”.
La Corte, sottolineando che la tutela del lavoro è strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che quale componente della comunità, a partire da quella familiare, ha ritenuto irragionevole la mancata inclusione del convivente di fatto nell'impresa familiare.
È stata, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 230-ter c.c., che, nell'attribuire allo stesso una tutela ridotta, non comprensiva del riconoscimento del lavoro nella famiglia, del diritto al mantenimento, nonché dei diritti partecipativi nella gestione dell'impresa familiare, comporta un ingiustificato e discriminatorio abbassamento di protezione.
LA SOLUZIONE
Nel caso che ci occupa, quindi, vi sono i presupposti per poter inquadrare la fattispecie come lavoro nell’impresa familiare.
Dovranno, tuttavia, essere riconosciuti alla lavoratrice, oltre al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia, la partecipazione agli utili dell'impresa familiare; la partecipazione ai beni acquistati con essi e agli incrementi della azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Dovranno essere condivise, inoltre, le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.