venerdì 15/11/2024 • 06:00
Nel caso di cessione di crediti edilizi per lavori mai eseguiti e documentati da fatture false è integrato il reato di truffa aggravata e non di indebita percezione di erogazioni pubbliche. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza 30 ottobre 2024 n. 40015.
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Il rapporto giuridico tra il reato di truffa aggravata e il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche
La L. 300/2000 ha introdotto, nel nostro sistema penale, la fattispecie di “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” di cui all'art. 316 ter c.p.
La ratio comune di riferimento con il reato di truffa aggravata consiste nella repressione delle frodi aventi ad oggetto le sovvenzioni nazionali o comunitarie, perpetrate tramite condotte di abusiva captazione o distrazione dei finanziamenti pubblici.
Il legislatore, con l'introduzione dell'art. 316 ter c.p., ha voluto completare il sistema di tutela colmando la precedente lacuna riscontrata nel sistema penale: la mancata incriminazione delle condotte volte al conseguimento illegittimo delle erogazioni pubbliche incentivanti, senza tuttavia integrare gli artifici e i raggiri propri della truffa aggravata (art. 640 bis c.p.) per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Le due fattispecie penali sono contraddistinte da un rapporto di di sussidiarietà desumibile dalla clausola di riserva posta nell'incipit della prima norma e confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2007.
Infatti, il delitto di indebita percezione a danni dello Stato è in rapporto di sussidiarietà e non di specialità con quello della truffa aggravata, in quanto il primo reato, residuale e meno grave, si configura solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa (come nel caso di situazioni qualificate dal mero silenzio antidoveroso o dalla assenza di induzione in errore dall'autore della disposizione patrimoniale).
L'elemento presente nella struttura del reato di truffa aggravata e non nel delitto di cui all'art. 316 ter c.p. è costituito proprio dagli artifizi e raggiri e dalla loro idoneità ingannatoria, ovvero la capacità di indurre in errore l'ente erogatore.
Occorre evidenziare che il semplice silenzio antidoveroso o la semplice condotta di falso non sono di per sé sufficienti ad escludere la configurazione dell'art. 640 bis c.p.
Tali condotte potranno, in casi specifici, assumere connotati fraudolenti ed ingannatori (come nel caso oggetto della sentenza in commento), tali da indurre in errore ed integrare l'ipotesi della truffa.
I reati sono, altresì, distinti dalla diversa severità punitiva voluta dal legislatore (in virtù della condotta di fraudolenza che caratterizza la truffa, di ostacolo all'accertamento del reato), infatti, mentre l'art. 640 bis c.p. prevede la reclusione da due a sette anni, l'art. 316 ter c.p. punisce il reo con la reclusione da sei mesi a tre anni.
L'impatto sulla dinamica delle cessioni dei crediti fiscali rinvenienti dai bonus edilizi
Con la sentenza, pubblicata il 30 ottobre 2024 n. 40015, la Corte di cassazione ha sconfessato un suo (anch'esso recente) pronunciamento. Infatti, con la pronuncia dell'11 giugno 2024 n. 23402, Sezione III, aveva sancito il principio che “senza compensazione non c'è truffa”.
Sostanzialmente, affinché possa configurarsi il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato o di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, secondo il precedente orientamento del Giudice di legittimità, non basta che i crediti d'imposta fittizi collegati ai bonus edilizi vengano meramente riconosciuti, ma serve anche che essi siano stati riscossi o utilizzati in compensazione, altrimenti, simili reati si concretizzano solo nella loro forma tentata, perché manca un reale pregiudizio patrimoniale.
La Corte arriva, quindi, a negare la sequestrabilità preventiva dei crediti nel cassetto fiscale del beneficiario o di chi li ha ricevuti tramite cessione, per il reato di truffa, mentre li ritiene confiscabili per il reato d'indebita percezione di erogazioni pubbliche.
Con l'ultima pronuncia in commento, il Giudice ha modificato il proprio orientamento stabilendo che il riconoscimento del credito attraverso false fatture attestanti opere mai eseguite integra certamente la truffa aggravata in quanto tale riconoscimento ha comportato l'induzione in errore dell'ente pubblico.
Per il perfezionamento dell'illecito in presenza di crediti per lavori inesistenti e quindi per l'integrazione del reato di truffa, non è necessario che l'ultimo cessionario abbia compensato le somme, ma basta anche la sola prima cessione che ha comportato il pagamento di somme che non erano dovute (induzione in errore della P.A.).
La registrazione di fatture per operazioni inesistenti, relative a lavori edilizi mai effettuati, nella piattaforma informatica dell'Agenzia delle Entrate, già di per se integra un artificio e raggiro idoneo a trarre in errore l'Amministrazione finanziaria integrando il reato di truffa aggravata previsto dall'art. 640 bis c.p., a nulla rilevando la circostanza che il credito sia stato compensato o meno.
Peraltro, il caso oggetto di pronuncia riguardava la cessione del credito inesistente ad un operatore finanziario partecipato dallo Stato e, quindi, considerato un Ente Pubblico: le somme corrisposte al cedente per un credito inesistente giustificano, altresì, l'aggravante così come prevista dall'art. 640 bis c.p. (il danno depaupera il patrimonio pubblico cui l'aggravante mira a dare specifica protezione).
Fonte: Cass. 30 ottobre 2024 n. 40015
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Maurizio Tarantino
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