mercoledì 18/09/2024 • 06:00
La titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio rappresenta un elemento costitutivo della domanda che riguarda il merito della decisione. La negazione della titolarità configura dunque una mera difesa, non soggetta alla decadenza prevista nel giudizio di opposizione allo stato passivo. Lo stabilisce la Cassazione con ordinanza 11 settembre 2024 n. 24375.
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Il caso ha ad oggetto l’insinuazione di un credito nel passivo di una procedura di amministrazione straordinaria.
Più in particolare, l’insinuazione veniva presentata da un’associazione professionale e riguardava un credito maturato da un proprio associato a titolo di compenso professionale per l’attività professionale dallo stesso svolta quale componente del collegio sindacale dell’ente in amministrazione straordinaria.
Per quanto qui rileva, la domanda di insinuazione veniva respinta in forza del duplice presupposto per cui, da un lato, il credito sottostante era pacificamente sorto in capo all’associato e, dall’altro lato, l’associazione professionale non aveva dimostrato di esserne divenuta cessionaria o comunque di essere munita del potere di agire giudizialmente per il relativo recupero.
Lo studio professionale censurava tale decisione per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, l’eccezione di difetto di titolarità attiva del credito doveva ritenersi tardiva, in quanto formulata per la prima volta dalla procedura in un momento successivo allo spirare dei termini di cui all’art. 99, co. 6 e 7, l. fall. In secondo luogo, nell’escludere la titolarità attiva del rapporto, il tribunale aveva omesso di considerare che – secondo lo statuto dell’associazione – esisteva un obbligo dei soci di conferire nella società la propria opera professionale in via esclusiva.
La decisione della Corte
Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha disatteso entrambi i profili di impugnazione sollevati dall’associazione professionale.
Con riferimento al primo profilo di censura (i.e. tardività dell’eccezione di difetto di titolarità passiva del rapporto), la Corte – uniformandosi ai propri precedenti orientamenti – ha rilevato che la questione concernente l’effettiva titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio costituisce un elemento costitutivo della domanda che attiene al merito della decisione. Il che significa che se, per un verso, è onere dell’attore-ricorrente in giudizio allegare e provare tale titolarità, per un altro verso, la pura e semplice negazione di ciò costituisce una mera difesa, per sua natura non soggetta ai termini di decadenza previsti dall’art. 167, co. 2, c.p.c. (per quanto attiene al giudizio ordinario) e, quindi, dall’art. 99, commi 6 e 7, l. fall. (per quanto attiene al giudizio di opposizione contro lo stato passivo).
Con riferimento al secondo e ultimo profilo di censura (i.e. l’esistenza di una clausola statutaria disciplinante il diritto dell’associazione all’incasso dei compensi maturati dall’associato), la Corte rilevava che la circostanza secondo cui un professionista-associato abbia assunto per statuto l’obbligo di conferire all’associazione i risultati della propria opera professionale costituisce un obbligo puramente e semplicemente interno, di per sé inopponibile al soggetto debitore (la procedura nel caso di specie).
Fonte: Cass. 11 settembre 2024 n. 24375
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