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lunedì 26/08/2024 • 06:00

Lavoro Cariche societarie

Società di capitali: compatibilità tra lavoro dipendente e carica di amministratore

La legge non prevede un divieto di cumulo nella stessa persona della carica di amministratore e della posizione di lavoratore dipendente di una società di capitali. I due rapporti, infatti, possono coesistere, a condizione che la compresenza dei due ruoli non faccia venir meno la soggezione del dipendente al potere direttivo, di controllo e disciplinare di un datore di lavoro.

di Massimo Brisciani - Consulente del lavoro - Studio Brisciani & Partners

di Gianluca Filippazzo - Consulente del Lavoro – Studio Brisciani & Partners

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  • Tempo di lettura 8 min.
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La compatibilità del rapporto di lavoro dipendente con la carica di amministratore nelle società di capitali rappresenta un tema di rilevante interesse sia per la dottrina giuridica che per la prassi amministrativa dell'INPS.

La questione origina dalla qualificazione attribuita al rapporto che lega la società di capitali ed il suo amministratore: nel tempo si sono infatti succeduti numerosi interventi giurisprudenziali, che delineano un quadro complesso e articolato, sul quale la Cassazione ha dato una risposta definitiva con la sentenza delle Sezioni Unite n. 1545/2017.

Sulla qualificazione del rapporto che lega la società di capitali ed il suo amministratore si sono nel tempo formati due diversi orientamenti:

  • il primo, della teoria c.d. contrattualistica, che individua la presenza di un vero e proprio contratto che legherebbe due soggetti distinti, l'amministratore da un lato e la società dall'altro, ciascuno autonomo centro di interessi, spesso anche contrapposti. Questa teoria risolve il rapporto tra l'amministratore e la società in un rapporto di tipo contrattuale, cioè caratterizzato da interessi soggettivi autonomi, il cui contenuto è fissato dalla legge e dallo statuto dell'Ente amministrato;
  • il secondo, della teoria cd. organica, elimina ogni dualità tra i due soggetti, configurando un'immedesimazione organica della persona fisica nella persona giuridica rappresentata. In quest'ottica, l'amministratore non è un contraente della società, ma ne rappresenta un organo necessario al suo funzionamento e alla realizzazione del contratto sociale, con la conseguenza che qualsivoglia rapporto di natura patrimoniale tra la persona fisica e la società risulta non configurabile.

Le due teorie dottrinali, contrattualistica e organica, sono state recepite dalla Giurisprudenza, che ha elaborato soluzioni tra loro spesso contrastanti, risolte definitivamente dalle Sezioni Unite della Cassazione che, con la sentenza n. 1545/2017, hanno affermato che tra la persona fisica e la società di capitali amministrata sussiste un rapporto di tipo societario che determina l'immedesimazione organica tra i due soggetti. Secondo le Sezioni Unite, infatti, “l'amministratore unico o il consigliere d'amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c.”. In sostanza, la Cassazione ha escluso che il rapporto dell'amministratore con la società possa essere configurato come una sorta di “rapporto di lavoro” distinto dal rapporto societario. Secondo i Giudici tale rapporto non è quindi assimilabile né a quello di un lavoratore subordinato, né a quello di un prestatore d'opera autonomo, ma è un “rapporto di società”, caratterizzato, appunto, dall'immedesimazione organica tra la persona fisica e l'ente: l'amministratore coincide, insomma, con la persona giuridica amministrata.

Tale circostanza, tuttavia, non esclude, la possibilità di instaurare tra i due soggetti anche un legittimo rapporto di lavoro subordinato.

La costituzione di un rapporto di lavoro subordinato impone un'attenta valutazione delle responsabilità e delle mansioni riconducibili ai due ruoli. Secondo la stessa Cassazione, infatti, “le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purché si accerti l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società” (Cass. n. 9273/2019).

È dunque necessario che la compresenza dei due ruoli non escluda alla base la soggezione del dipendente al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro, che può essere l'intero consiglio di amministrazione ovvero un suo diverso componente.

Allo stesso modo, è necessario che anche le mansioni svolte nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente non rientrino nel complesso dei poteri gestori e delle deleghe collegate alla carica di amministratore. L'esigenza di assicurare la legittimità del rapporto di lavoro dipendente ha lo scopo di evitare che l'amministratore della società possa indebitamente precostituirsi le condizioni per acquisire le tutele (di tipo assicurativo, retributivo e previdenziale) derivanti dal rapporto di lavoro subordinato.

Accertamento delle condizioni di compatibilità

Le indicazioni della giurisprudenza sono state recepite dall'INPS che, con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019, ha fornito istruzioni per verificare la compatibilità dello status di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato, richiedendo l'accertamento caso per caso delle seguenti condizioni:

  • che il potere deliberativo (come regolato dall'atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell'ente in materia di gestione dei rapporti di lavoro, sia affidato all'organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale, il quale esplichi un potere esterno, non coincidente con la persona del dipendente;
  • che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione e cioè dell'assoggettamento del lavoratore, nonostante la carica sociale, all'effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell'organismo sociale a cui appartiene;
  • che il lavoratore dipendente svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino da quelle ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe conferite.

L'eventuale contestazione dell'incompatibilità dei due ruoli (dipendente e amministratore) da parte dell'INPS potrebbe comportare il disconoscimento del rapporto di lavoro dipendente e l'annullamento della relativa posizione assicurativa per il periodo in cui l'incompatibilità si è realizzata. Ciò comporterebbe la qualificazione delle somme versate a titolo di contributi previdenziali come indebite: i contributi annullati (entro i limiti prescrizionali di 10 anni) sarebbero restituiti all'azienda e per il dipendente non sarebbe possibile - salvo eccezioni - ricostituire la posizione assicurativa, ovvero porre rimedio alla “scopertura” contributiva.

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