mercoledì 21/08/2024 • 06:00
L’utilizzo dei social media ha visto accentuarsi un conflitto giuridico pragmatico da sempre esistente. Da un lato troviamo la giusta libertà di espressione dell’utente e dall’altro la tutela di dignità e immagine di chi potrebbe subire quel pensiero e/o critica. Se poi l’oggetto della critica è il datore di lavoro, le cose si complicano non poco.
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In questo periodo estivo, vuoi non utilizzare maggiormente i social media? Come non arricchire di “contenuti” (oggi si chiamano così) la già sovraccarica rete di contatti che abbiamo tessuto in questi anni, inserendo foto, video nonché sprezzanti commenti verso questo o quello?
Seppur giustamente tutelato come espressione di quel libero pensiero che i padri costituenti volevano fosse tale (ma che oggi è più “condizionato” proprio dall'utilizzo dei social) non possiamo non considerare come commenti e/o post abbiano un effetto verso il destinatario che, se si tratta di aziende, devono tutelare la propria immagine e non potranno rimanere inerti di fronte a critiche (legittime) o insulti (illegittimi).
Tali problemi li riscontriamo sempre più frequentemente anche in ambito lavoristico, dove i dipendenti, mossi da quella primordiale esigenza di esprime una propria opinione al vasto pubblico del web, dimenticano il rapporto fiduciario con l'azienda che connota il rapporto di subordinazione (intaccando, se del caso, l'immagine professionale di questa).
Quale dunque il discrimine? Più banalmente, il post offensivo o ai limiti della diffamazione può essere contestato dall'azienda al dipend...
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Chiara Ciccia Romito
- PhD - Avvocato - Consulente Commissione Parlamentare Inchiesta Condizioni di LavoroRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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