mercoledì 31/07/2024 • 06:00
Il Jobs Act consentì al nostro Paese un'importante ripresa occupazionale, ma un vero percorso demolitorio ha modificato strutturalmente le impostazioni del 2014 sulle tutele in caso di licenziamento illegittimo. Si analizzano le principali modifiche con le pronunce della Corte Costituzionale intervenute in questi anni, da ultimo con ordinanza 30 luglio 2024 n. 155.
Correva l'anno 2015 e con inusuale ardore il Governo, in poco meno di un anno, diede corso al mandato ricevuto dal Parlamento con legge delega 183/2014 con l'adozione di otto decreti legislativi (e poi un decreto correttivo) che intervengono su numerosi ambiti del settore lavoristico. Fu la manovra passata alla storia come Jobs Act. Un approccio olistico alla materia lavoro: dai contratti agli ammortizzatori sociali, dalle sanzioni per i licenziamenti illegittimi alle politiche attive. Una grande manovra, ovviamente valutabile nel merito da diversi, e opposti, punti di vista, che però consentì al Paese di intercettare un'importante ripresa occupazionale con stabilizzazioni di posti di lavoro. Come in un grande gioco dell'oca però non sempre girando i dadi il percorso è lineare e anche in questo caso il passare degli anni e il mutare di talune sensibilità politiche hanno contribuito a valutazioni profondamente diverse circa le scelte in quel momento assunte. Ciò è avvenuto per atti del Legislatore, per decisioni della Magistratura e per battaglie sindacali. Un vero percorso demolitorio che ha finito per modificare strutturalmente le impostazioni del 2014 sul tema più sensibile, quello delle tutele in caso di licenziamento illegittimo. Tutte le modifiche della Corte Costituzionale Di seguito, analizziamo in ordine cronologico, e in modo schematico, le principali modifiche della norma conseguenti alle sentenze della Corte Costituzionale intervenute in questi anni sul D.Lgs. 23/2015 (e per coerenza ricordiamo anche gli interventi sull'art. 18 Legge 300/70): Sentenza n. 194/2018 : la Corte ha dichiarato incostituzionale il calcolo dell'indennità basato solo sull'anzianità di servizio, richiedendo che i giudici considerino anche altri fattori. La decisione toccò un punto centrale del sistema introdotto dal Decreto, ossia quello di consentire alle parti di avere la certezza del rischio, o dell'opportunità, di avviare un contenzioso. Il decreto infatti aveva introdotto il meccanismo delle tutele crescenti con il calcolo dell'indennità risarcitoria per i licenziamenti ingiustificati basato su una formula fissa di due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità (limiti minimi e massimi che saranno poi rivisti dal cd Decreto Dignità). La Corte ha rilevato come un meccanismo così rigido non tenesse conto delle diverse situazioni personali e professionali dei lavoratori, trattando in modo identico casi che possono essere molto diversi tra loro. Sentenza n. 150/2020 : sulla scia della decisione assunta due anni prima la Corte ha ritenuto illegittimo il meccanismo di liquidazione dell'indennità per vizi formali. In questo caso l'intervento della Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 del Decreto Legislativo n. 23/2015 in materia di vizi formali limitatamente alle parole «di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio». Il sistema della predefinizione del rischio/opportunità del contenzioso non è stato ritenuto nemmeno in questo caso coerente con i principi generali. Sentenza n. 59/2021 : In questo caso oggetto delle attenzioni della Corte è stato l'art. 18 così come modificato dalla Legge 92/2012, veniva contestata la discrezionalità del giudice nella reintegrazione per licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (GMO) in caso di manifesta insussistenza del fatto. È stato infatti ritenuto irragionevole il potere totalmente discrezionale di scelta di reintegra in capo al giudice previsto dall'art. 18, comma 7, laddove si fosse accertata l'insussistenza manifesta del fatto che lo caratterizzava. La Corte censurò la norma nella parte in cui prevedeva che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, “può altresì applicare”, invece che “applica altresì” la c.d. “tutela reintegratoria attenuata”. La decisione è coerente con le previsioni del licenziamento disciplinare che prevede l'obbligo di reintegrazione in caso di insussistenza del fatto. Sentenza n. 125/2022 : a pochi mesi di distanza dal precedente intervento la Corte ritornava sul medesimo punto. In questa occasione fu dichiarato irragionevole il requisito della "manifesta insussistenza" del fatto nel licenziamento per ragioni economiche. Fu pertanto censurato l'aggettivo “manifesta” che precede l'espressione “insussistenza del fatto” posta a base del licenziamento per ragioni economiche, produttive e organizzative. I giudici argomentarono che il requisito della “manifesta insussistenza” fosse vago e pertanto foriero di incertezze applicative, con conseguenti disparità di trattamento. Sentenza n. 183/2022 : l'intervento in questo caso è di tipo ampio, ossia riguarda il limite generale dei 15 occupati che da sempre ha diviso in due il mercato del lavoro. La Corte evidenzia come “il numero dei dipendenti (…) non rispecchia di per sé l'effettiva forza economica del datore di lavoro, né la gravità del licenziamento arbitrario” e conclude affermando “la necessità che l'ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti”. Sentenza n. 7/2024 : la Corte interviene in questo caso confermando le scelte del Legislatore del 2015. Nello specifico, la Consulta, respingendo una serie di questioni prospettate dalla Corte d'Appello di Napoli, “cristallizza” i contenuti dell'art. 10 relativamente alla tutela indennitaria per i lavoratori assunti a partire dal 7 maggio 2015 e licenziati al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale, viziata, per gli interessati, dalla incongruità del criterio di scelta. Sentenza n. 22/2024: la Consulta ha cancellato l'avverbio “espressamente” dal testo dell'art. 2 che limitava la nullità dei licenziamenti, con la conseguente reintegra nel posto di lavoro, ai soli recessi ove il requisito fosse indicato “espressamente” dalla norma come nel caso, ad esempio, del licenziamento della lavoratrice durante il “periodo protetto” della gravidanza e fino ad un anno dalla nascita del bambino. Conseguenza di ciò, afferma la Corte, sono da considerarsi affetti da nullità, e quindi sanzione della reintegrazione, i casi di licenziamenti irregolari nei casi di: a) superamento del periodo di comporto (art. 2110 c.c.); b) licenziamento per motivo illecito ex art. 1345 c.c.; c) licenziamento ritorsivo del whistleblower (art. 17, c. 4, lett. a, D.Lgs. 24/2023); d) licenziamento del lavoratore che rivendica i propri diritti di informazioni sul suo rapporto di lavoro (art. 14 D.Lgs. 104/2022). Sentenza n. 44/2024 : in questo caso la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Lecce relativa all'art. 1, comma 3, attraverso il quale il Legislatore aveva stabilito che ai dipendenti di una piccola impresa, già in forza prima del 7 marzo 2015, dovessero essere applicate, in caso di superamento della soglia dei 15 dipendenti dopo tale data le “tutele crescenti” e non quelle reintegratorie previste dall'art. 18 Legge 300/1970, come richiesto in giudizio da un lavoratore licenziato. Resta pertanto confermato l'impianto del 2015. Sentenza n.128/2024: la Corte torna sul tema della disciplina dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, in particolare sulla questione della tutela reintegratoria attenuata. Viene dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, c. 2, nella parte in cui non prevede che la tutela reintegratoria attenuata si applichi anche nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora sia dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale addotto dal datore di lavoro. Di particolare “interesse” è la conferma della sola sanzione risarcitoria in caso di violazione della possibilità di ricollocamento (repêchage). La Cassazione con ordinanza del 12 aprile 2024, n. 9937 aveva sostenuto il contrario. Sentenza n. 129/2024: la sentenza prevede che la sanzione, in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, qualora i fatti contestati siano disciplinarmente rilevanti ma punibili con sanzioni conservative secondo il CCNL applicato, deve essere quella della reintegrazione nel posto di lavoro. Ordinanza n. 155/2024: in questo caso la Corte, pur non riferendosi ad alcuna norma del JobsAct, si è pronunciata ancora una volta sul tema dei risarcimenti in caso di licenziamento. Sollecitata dal Tribunale ordinario di Siena, si è espressa sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 legge 183/2010 e, in via subordinata, dell'art. 18 legge 300/70, ritenendo che questi articoli violìno l'art. 3 Costituzione. La questione riguarda la mancata possibilità per i lavoratori a termine di richiedere un'indennità sostitutiva della reintegra, possibilità invece prevista per i lavoratori a tempo indeterminato illegittimamente licenziati. La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione. Fonte: C. Cost. 30 luglio 2024 n. 155
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