martedì 23/07/2024 • 06:00
Qualsiasi processo di governance dell’intelligenza artificiale deve basarsi sull’etica per scongiurare il rischio che l’uomo ne diventi ostaggio. Non è il diritto del lavoro a poter mettere a segno questo obiettivo, ma occorre che ai produttori di sistemi decisionali automatizzati vada imposto di tutelare nei rispettivi contesti organizzativi le persone e le loro diversità.
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Oramai, è noto. È sull'etica che deve ergersi qualsiasi processo di governance dell'intelligenza artificiale per scongiurare il rischio che l'uomo, da profittevole utilizzatore, ne diventi ostaggio.
E non è il diritto del lavoro a poter mettere a segno questo obiettivo. Sono quattro le domande che devono illuminare il ragionamento:
Andiamo con ordine.
Il diritto nasce nel segno di un paradosso: muove dal fine etico di garantire a ciascuno il suo ma è incapace di obbligare la morale di ciascuno al rispetto di quella serie di doveri universali che realizzerebbero quel fine. Su questo piano, si è consumato il tradimento dell'etica di Kant secondo cui, invece, essa era un imperativo iscritto allo stesso modo nella morale di tutti, di cui la legge avrebbe dovuto semplicemente scolpire le sembianze in testi ordinati.
Di questa situazione, è interprete per eccellenza il diritto del lavoro che, se Kant avesse avuto ragione, non sarebbe mai nato. Il buon senso, la buona fede, il discernimento, la comprensione dell'altrui bisogno avrebbero dovuto far parte di default dell'equipaggio di ciascun capitalista nella relazione con il lavoratore. Ed invece, per limitare l'arbitrio del primo, il più forte, sul secondo, il più debole, è dovuto scorrere tanto sangue, si sono consumate tante lotte, sono state prodotte tante leggi. Il potere del capitale è stato, in definitiva, compresso negli stretti margini della “regola”. Così ad esempio per un licenziamento disciplinare, così per un licenziamento collettivo, così per un trasferimento di azienda.
Gli strumenti del diritto del lavoro
La “regola”, tuttavia, per venire al secondo interrogativo, nel rapporto con l'intelligenza artificiale, soccombe e non garantisce la tenuta del diritto del lavoro. Per una ragione semplice.
Perché le parti in campo non sono più le stesse: un uomo forte contro un uomo debole. Ma c'è una parte forte: l'intelligenza artificiale, contro due parte deboli: capitalista e lavoratore.
E così, si rivelano armi “spuntate” tutti gli strumenti pensati dal diritto del lavoro alla luce delle tradizionali parti in campo.
Lo è, ad esempio, l'obbligo di trasparenza nel caso di “utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati ai fini della assunzione o del conferimento dell'incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell'assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l'adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori” introdotto dall' articolo 4 del d.lgs. n. 104 del 2022, di recepimento della direttiva europea 1159 del 2019, che ha introdotto l'articolo 1bis al d.lgs. n. 152 del 1997.
Ma anche quello previsto dal Regolamento 679/2016, c.d. GDPR, che ha modificato il D.Lgs. 196/2003.
Anacronistico è anche ogni tentativo di estendere all'intelligenza artificiale il dovere di monitoraggio sulla sicurezza, che l'articolo 18, comma 3bis, D.Lgs. 81/2008 (c.d. Testo Unico sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro pone a carico del datore di lavoro) impone al datore di lavoro.
Qual è del resto la reale efficace di informare il lavoratore di essere soggetto ad un trattamento gestito dagli algoritmi se non ci sono rimedi risolutivi per evitarlo? O obbligare il datore di lavoro ad un monitoraggio sugli effetti del machine learning se esso rimane nocivo?
Discriminazione algoritmiche
Primo e importante riflesso di questo stato di cose, per balzare al terzo interrogativo, sono le discriminazioni algoritmiche. Nella notte della “regola”, l'intelligenza artificiale si alimenta del bias di chi l'ha creata: dell'uomo bianco di razza caucasica.
E così, i lavoratori fragili, le donne, gli anziani, le persone con disabilità, di colore diverso, o di razza ed etnie scontano, ad esempio, forti difficoltà nel recruitment, nei processi di carriera, nei piani di successione all'interno delle aziende.
Contro questa tendenza, si scagliano del resto sia la Comunicazione del 20 ottobre 2020 della Commissione Europea sia il recente Intelligence Artificial Act, che all'articolo 6 ha qualificato come alti i rischi che l'intelligenza artificiale genera per selezione o la gestione di persone in forma singola o aggregata.
Le soluzioni
Ed allora, per rispondere all'ultimo interrogativo, ad essere piegate alla vecchia buona “regola” non devono essere le intelligenze artificiali ma, ancor prima, quelle umane che le generano. È ai produttori di sistemi decisionali automatizzati a dover imporsi di tutelare nei rispettivi contesti organizzativi le persone e le loro diversità e di realizzare le intelligenze artificiali secondo questo paradigma.
In definitiva, l'intelligenza artificiale è uno straordinario strumento nelle mani dell'uomo. Ma, perché prosperi, c'è bisogni che impari i versi della poesia che compongono la persona. Evviva l'intelligenza artificiale. Evviva l'algoretica.
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Vedi anche
È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 12 luglio 2024, il Regolamento 1689/2024/UE che detta regole armonizzate sull'intelligenza artificiale
di
Massimiliano Nicotra - Avvocato, senior partner di Qubit Law Firm & Partners
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