venerdì 28/06/2024 • 06:00
Il Codice della crisi d'impresa disciplina il reato di falso in attestazioni e relazioni commesso dal professionista e dai componenti dell'Organismo di composizione della crisi. Il CNDCEC ha analizzato la disciplina relativa ai reati ascrivibili a tali soggetti, anche alla luce del recente Decreto correttivo del Codice della crisi d'impresa.
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Il 10 giugno 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema del decreto correttivo del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza con il quale ha provveduto a correggere alcuni difetti di coordinamento normativo e ha fornito chiarimenti interpretativi su alcuni dubbi relativi all'applicazione del Codice. In seguito all'approvazione di tale decreto correttivo, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti hanno pubblicato in data 25 giugno 2024 il documento “Falso in attestazioni e relazioni nel Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza”. Il documento analizza la disciplina contenuta nel Codice della crisi d'impresa relativa ai reati ascrivibili ai professionisti indipendenti e ai componenti degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, anche alla luce di alcune novità contenute nel decreto correttivo recentemente approvato dal CDM, Si tratta, nello specifico, delle disposizioni contenute negli artt. 342 e 344 commi 3 e 4 del Codice della crisi d'impresa che affrontano il reato di falso in attestazioni e relazioni commesso dal professionista e dai componenti dell'Organismo di composizione della crisi. Il reato di “falso in attestazioni e relazioni” L'art. 342 D.Lgs. 14/2019 prevede espressamente la responsabilità penale del professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 56 comma 4, 57 comma 4, 58 commi 1 e 2, 62 comma 2 lettera d), 87 comma 3, 88 commi 1 e 2, 90 comma 5, 100 commi 1 e 2, espone informazioni false oppure omette di riferire informazioni rilevanti. La pena prevista è quella della reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 annui. La norma in esame, che ricalca quanto previsto dall'art. 236 bis della legge fallimentare, mira a tutelare la corretta rappresentazione dei fatti, e dunque la veridicità, di quanto attestato dal professionista, il quale assume un ruolo centrale nell'ambito del risanamento delle imprese in crisi. Il documento pubblicato dal CNDCEC evidenzia come, trattandosi di norma penale, non è possibile la sua applicazione analogica o estensiva al di fuori delle ipotesi espressamente elencate dall'art. 342 D.Lgs. 14/2019. Pertanto, il reato si concretizza solo in caso di informazioni false o di omissione di riferire informazioni rilevanti sulla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati; inoltre, sembrerebbe che l'articolo in esame non sia applicabile alle attestazioni contemplate nel decreto correttivo del 10 giugno (es. la proposta di accordo transattivo nel corso delle trattative della composizione negoziata prevista dal comma 9 dell'art. 5 del decreto correttivo). Il delitto previsto dall'art. 342 del Codice della crisi d'impresa è un delitto proprio (ossia può essere commesso solo dal professionista che ha accettato l'incarico di effettuare le relazioni o attestazioni di cui al predetto Codice) e doloso (per cui è necessaria la consapevolezza e la volontà da parte del professionista di dare informazioni false o di omettere di riferire informazioni rilevanti sulla veridicità dei dati). Secondo il documento pubblicato dal CNDCEC, il testo della norma appare di non felicissima formulazione, soprattutto per quanto riguarda la fattispecie dell'omissione. Infatti, mentre l'ipotesi di informazioni false (almeno prima facie) appare di più immediata percezione (consistendo, sostanzialmente, nella comunicazione di un dato storico/numerico non rispondente al vero), più complicata appare la delimitazione della fattispecie di omissione di informazioni. La norma, infatti, utilizza il termine generico di “informazioni rilevanti”, per cui si è posta la necessità di stabilire cosa si intenda con tale terminologia. Da una prima analisi la “rilevanza” richiesta dalla norma sembrerebbe significare che le informazioni omesse debbano essere capaci di incidere sulla rappresentazione della realtà aziendale; deve trattarsi, cioè, di un dato che, se fosse stato conosciuto, i creditori non avrebbero accettato il piano o il tribunale non avrebbe ammesso la proposta. Le sanzioni per i componenti dell'organismo di composizione della crisi I commi 3 e 4 dell'art. 344 del Codice della crisi d'impresa prevedono delle responsabilità penali per i componenti dell'organismo di composizione della crisi. Nello specifico, il terzo comma prevede la reclusione da uno a tre anni e la multa da 1.000 a 50.000 euro per il componente dell'organismo di composizione della crisi che, nella relazione di cui agli articoli 68, 76, 269 e 283, rende false attestazioni sulla veridicità dei dati contenuti nella proposta di cui agli articoli 67 e 75, nell'attestazione di cui all'articolo 268, nella domanda di apertura della liquidazione controllata o nella domanda di esdebitazione di cui all'articolo 283. Il quarto comma prevede un'ulteriore fattispecie di reato a carico dell'organismo di composizione della crisi che, omettendo o rifiutando senza giustificato motivo un atto del suo ufficio, abbia cagionato ai creditori un danno. Il terzo comma dell'art. 344 disciplina, dunque, il reato di falso compiuto dal componente dell'OCC (Organismo di composizione della crisi), similmente a quanto sopra previsto per il professionista attestatore, ma rispetto all'ipotesi di cui all'art. 342 nel caso di componente dell'OCC la sanzione è più lieve. E' opportuno, innanzi tutto, evidenziare che i soggetti attivi dei reati previsti dall'art. 344, commi 3 e 4, del Codice della crisi d'impresa sono esclusivamente i componenti dell'OCC, ovvero i soggetti iscritti nell'elenco di cui al d.m. 202 del 24 settembre 2014 che svolgono la prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento. A differenza della fattispecie sopra esaminata di cui all'art. 342, nel caso dei componenti dell'OCC è prevista unicamente l'ipotesi di false attestazioni e non anche quella delle omissioni di informazioni rilevanti. Il reato in esame sembrerebbe applicabile anche alla nuova ipotesi prevista dal comma 1 dell'art. 41 del decreto correttivo del 10 giugno che prevede che “Quando la domanda di apertura della liquidazione controllata è proposta dal debitore persona fisica, si fa luogo all'apertura della liquidazione controllata se l'OCC attesta, nella relazione di cui all'articolo 269, comma 2, che è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori, anche mediante l'esercizio di azioni giudiziarie”. Il quarto comma prevede, invece, un'ulteriore fattispecie di reato consistente nel danno cagionato dal componente dell'OCC ai creditori in conseguenza dell'omissione di un atto del suo ufficio. La fattispecie richiama quanto previsto dall'art. 328 del codice penale che disciplina il rifiuto di atti d'ufficio da parte del pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio. Nel caso disciplinato dal quarto comma dell'art. 344 D.Lgs. 14/2019, però, non è sufficiente per la configurazione del rato l'omissione o il rifiuto di un atto di ufficio da parte del componente dell'OCC ma occorre, altresì, che tale condotta abbia cagionato un danno ai creditori senza un giustificato motivo. Dall'esame delle norme sopra indicate appare, dunque, evidente l'intento del legislatore di confermare la centralità del ruolo svolto dal professionista e dagli organismi della composizione della crisi d'impresa, evidenziandone, tra l'altro, anche i profili di responsabilità penale connessi alle attestazioni e relazioni da essi effettuate. ...
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