Il contraddittorio generalizzato
L'art. 6-bis dello Statuto del contribuente che introduce nell'ordinamento tributario l'obbligo di contraddittorio generalizzato pre-accertamento è entrato in vigore il 18 gennaio 2024 con il decreto delegato 219/2023.
Dal giorno successivo gli uffici dell'Agenzia delle entrate avrebbero dovuto comunicare ai contribuenti oggetto di accertamento lo schema di provvedimento per consentire loro l'accesso agli atti del fascicolo e la formulazione delle controdeduzioni nei termini fissati dalla legge (almeno sessanta giorni).
In modo del tutto inatteso, il 29 febbraio il ministero diffonde un atto d'indirizzo rivolto agli uffici dell'Agenzia delle entrate, con il quale, in base a un potere conferito da una norma del decreto 219/2023 (potere d'indirizzo interpretativo) sposta in avanti la decorrenza di un'altra norma del decreto 219/2023, e cioè quella relativa all'obbligo di contraddittorio.
Il tutto motivato da un'interpretazione palesemente errata dell'art. 6-bis dello Statuto del contribuente.
L'atto d'indirizzo, infatti, ritiene che lo spostamento in avanti della decorrenza del 6-bis sia dovuta al fatto che per alcuni accertamenti (come quelli automatici e quelli in esito a controlli formali) non risulta applicabile la regola del contraddittorio, e che l'individuazione analitica di tali accertamenti sia rimessa a un decreto ministeriale di prossima emanazione.
Quindi, secondo la logica ministeriale, finché non viene emanato il decreto ministeriale che individua nominativamente gli accertamenti esclusi dal principio del contraddittorio, questo non può essere applicato a nessun accertamento.
Ora, si tratta evidentemente di un'interpretazione che prima ancora di avere problemi di tecnica esegetica, ha problemi di comprensione semantica del linguaggio utilizzato nell'art. 6-bis. Questo, infatti, riconoscendo in via generale l'obbligo del contraddittorio ad eccezione di casi specifici da individuarsi con decreto ministeriale, non determina affatto una sospensione di efficacia della regola generale. Al contrario, determina la sospensione dell'efficacia dell'eccezione, la cui operatività è subordinata alla pubblicazione di un decreto ministeriale che stabilisca con esattezza quali accertamenti sono esclusi dall'obbligo del contraddittorio.
Cosa prevede il decreto sulle Agevolazioni fiscali
Fino a quando non ci sarà il decreto ministeriale, il contraddittorio dovrà applicarsi a tutti gli accertamenti, nessuno escluso. E questo, dal giorno in cui è entrato in vigore il decreto 219/2023.
Che questa sia l'interpretazione ricavabile dalla formulazione del testo dell'art. 6-bis e che l'interpretazione ministeriale non sia corretta è testimoniato dal fatto che gli autori dell'atto d'indirizzo non si sono fidati della solidità di quella interpretazione, al punto da suggerire l'inserimento, nel decreto sulle Agevolazioni fiscali (DL 39/2024), di una norma (all'art. 7) che prevedesse lo spostamento al 30 aprile 2024 dell'entrata in vigore dell'art. 6-bis dello Statuto del contribuente. Con il risultato di peggiorare la situazione. Vediamo perché.
Innanzitutto, il fatto che il legislatore della riforma tributaria che si propone testualmente di rafforzare la certezza del diritto e il principio di legittimo affidamento adotti una legge retroattiva per invalidare la vigenza di un importante diritto di partecipazione del contribuente al procedimento tributario, proprio uno dei cavalli di battaglia della riforma tributario in atto, violando esattamente quei principi che dice di voler rafforzare con la riforma, ebbene tutto questo costituisce un incredibile paradosso che nuoce gravemente all'immagine del legislatore riformatore.
In secondo luogo, la norma che si intende adottare ben difficilmente potrà superare il vaglio di legittimità costituzionale in merito ai suoi effetti retroattivi.
E questo, perché essa non ha né formalmente né sostanzialmente una funzione interpretativa dell'art. 6-bis. E infatti, non viene qualificata espressamente come norma d'interpretazione autentica ai sensi dell'art. 1, comma 2 dello Statuto del contribuente, né il suo contenuto rappresenta, anche su un piano meramente sostanziale, uno dei possibili significati attribuibili all'art. 6-bis. In tal senso, la Corte costituzionale ha precisato che l'intrinseca retroattività di una norma interpretativa è giustificabile solo se questa abbia effettivamente tale funzione, e questo dipende dal fatto che essa non sia novativa di una norma preesistente, ma adotti uno dei significati possibili ricavabili dalla formulazione della stessa norma preesistente.
Quindi ci troviamo di fronte a una norma non interpretativa che ha un effetto retroattivo sulla vigenza di un diritto del contribuente (quello al contraddittorio di cui all'art. 6-bis dello Statuto) negandone la spettanza dall'entrata in vigore del decreto delegato 219/2023 che lo ha previsto, e fino al 30 aprile 2024.
In questi casi, la Corte costituzionale (sent. 145/2022) - in continuità con la giurisprudenza della Corte EDU che per la retroattività delle leggi richiede la sussistenza di ragioni imperative di interesse generale - ha chiaramente affermato che i limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, al di fuori della materia penale, vanno individuati nei principi della ragionevolezza, della tutela del legittimo affidamento, della coerenza e certezza dell'ordinamento e del rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla funzione giudiziaria, sottolineando l'importanza dei principi di legittimo affidamento dei cittadini e di certezza del diritto, da considerarsi come principi di civiltà giuridica (Corte cost. sent. 234/2007).