sabato 30/03/2024 • 06:00
Nel volgere di pochi giorni nel mese di marzo, l’Agenzia delle Entrate ha fornito due diverse risposte a interpello in materia di welfare aziendale. Si tratta degli interpelli 1° marzo 2024 n. 57 e 21 marzo 2024 n. 74. Tali risposte appaiono in qualche misura contraddittorie sul piano sostanziale. Alcuni concetti fondamentali in materia sembrano richiedere una migliore definizione.
Interpello 57 La società istante intende attribuire alle lavoratrici madri in congedo parentale un credito welfare il cui controvalore monetario sarebbe pari alla differenza tra l’indennità di congedo parentale erogata dall’INPS e “il cento per cento della retribuzione mensile lorda”. Il parere dell’Agenzia è contrario: le erogazioni prospettate concorrono a formare l’imponibile fiscale (e previdenziale). Interpello 74 La società istante intende fornire un servizio di mobilità sostenibile ai propri dipendenti per il tragitto casa-lavoro-casa, attraverso un’applicazione informatica che consente la scelta tra: carsharing relativamente all'uso di soli veicoli con motore elettrico; ricarica elettrica di autovetture o motoveicoli; bikesharing; scootersharing relativamente all'uso di soli veicoli con motore elettrico; monopattino elettrico; utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico locale (biglietto singolo o abbonamento a treno, metro, bus, traghetti, etc.). Sono esclusi i lavoratori che siano assegnatari di autovetture aziendali concesse in uso promiscuo. I lavoratori effettuano la scelta sull’applicazione e i costi sono addebitati al datore di lavoro. Il parere dell’Agenzia è favorevole al regime agevolativo del servizio offerto; il relativo controvalore monetario può quindi essere tenuto esente da imposizione. Parametri e argomentazioni utilizzati nelle risposte Per quanto riguarda l’interpello sulla mobilità sostenibile, la domanda dell’istante individua con precisione la norma su cui si fonda la non imponibilità dei benefit: l’art. 51 c. 2 lett. f) del Tuir, per il quale non concorrono a formare l’imponibile fiscale (e previdenziale) le opere e i servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie omogenee di dipendenti per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto (la norma richiama l’art. 100 Tuir). Da qui, l’Agenzia ricorda la consolidata prassi in base alla quale le opere e i servizi offerti: devono essere messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti; le opere e i servizi devono riguardare esclusivamente erogazioni in natura e non erogazioni sostitutive in denaro; le opere e i servizi devono avere le finalità “sociali” richiamate dalla norma. Sul primo punto, a quanto pare, la categoria omogenea di dipendenti è costituita da tutti i dipendenti che non siano assegnatari di un veicolo aziendale concesso in uso promiscuo; sul secondo punto, il requisito è garantito dalla circostanza per cui l’applicazione addebita il costo direttamente al datore di lavoro, mantenendo l’estraneità del dipendente rispetto al rapporto commerciale tra l’azienda e il terzo erogatore del servizio. Sull’ultimo punto, che appare qui dirimente, sia l’istante sia l’Agenzia si intrattengono più a lungo. L’istante, in particolare, intende riconnettere la finalità sociale dei benefit offerti ai principi del PNRR e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, agli obiettivi del Green Deal europeo, alle norme (c.d. decreto rilancio) che hanno introdotto l’obbligo della figura del mobility manager nelle aziende di maggiori dimensioni che hanno unità locali nei centri urbani più grandi. In sostanza, l’incentivo all’uso di servizi di mobilità sostenibile avrebbe ricadute positive sul piano sociale (minor inquinamento, riduzione del traffico veicolare, etc.), favorendo la socializzazione dei lavoratori e svolgendo nei loro confronti una funzione educativa (quest’ultima, per inciso, è l’unica espressamente richiamata dalla norma agevolativa). La risposta – negativa – relativa alle lavoratrici madri, molto più breve, si fonda essenzialmente sui seguenti parametri: i benefit non devono rispondere a finalità retributive; i benefit devono essere offerti alla generalità o a categorie di dipendenti. Su tali basi l’Agenzia ritiene che, poiché il valore dei benefit è tale da integrare la retribuzione “persa” dalle lavoratrici, si tratta allora di erogazioni in sostituzione di retribuzione fissa o variabile, che per ciò stesso rispondono a finalità retributive. Ma la circostanza che appare dirimente, in questo caso, e che rappresenta in un certo senso una novità nella prassi dell’Agenzia, sarebbe data dal fatto che le lavoratrici madri in congedo parentale non costituiscono una categoria omogenea di dipendenti. La categoria omogenea, infatti, andrebbe individuata sulla base di una distinzione legata alla tipologia di prestazione lavorativa, perché attraverso tale criterio si garantirebbe che le erogazioni non siano giustificate da caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente. Osservazioni Premesso che: la normativa agevola alcune tipologie di erogazioni segnatamente per la loro rilevanza sociale negli ambiti dell’educazione, istruzione, etc.; il riferimento alle categorie omogenee è utile, strumentalmente, per evitare l’erogazione di trattamenti ad personam, ossia trattamenti di favore, in presenza dei quali si presume che la rilevanza sociale sia ridotta a vestito formale per erogazioni che hanno finalità del tutto diverse; la risposta sulla mobilità sostenibile si incentra sulla finalità dei benefit, mentre nella risposta relativa alle lavoratrici madri le indubbie finalità sociali delle erogazioni prospettate non sono tenute in nessun conto. Tuttavia, senza con ciò voler negare l’utilità sociale dei servizi di mobilità sostenibile, si potrebbe quantomeno dubitare che il legislatore, nel richiamare i “servizi di educazione” pensasse ai lavoratori adulti e normodotati. D’altro canto, l’Agenzia ritiene che le erogazioni alle lavoratrici madri in congedo parentale abbiano carattere retributivo perché il loro controvalore monetario integra la retribuzione persa. Questa affermazione non sembra del tutto condivisibile: il criterio di quantificazione del benefit potrebbe ben costituire un “indizio” in questo senso, ma non appare sufficiente a mutare o definire la natura dell’erogazione stessa, che appare subito indubbiamente volta al sostegno della maternità, in assenza di prestazione lavorativa. Quanto alla circostanza per cui le lavoratrici madri non costituirebbero una categoria omogenea nel senso inteso dal legislatore, si deve ritenere necessaria una riflessione più approfondita, se non un intervento del legislatore stesso; se il concetto di categoria omogenea diviene – improvvisamente – connesso con grande rigore alla tipologia di prestazione lavorativa, si corre il rischio che la sua applicazione si tramuti in un vuoto formalismo, travalicando quella che sembra essere la ratio stessa del concetto: impedire trattamenti ad personam, ossia indebiti favoritismi, la cui sussistenza andrebbe verificata in concreto. Ad ogni modo, se l’essere assegnatari di un veicolo in uso promiscuo può essere una condizione legata alla prestazione dovuta, il non esserlo non lo è necessariamente, se non in termini negativi. Da un punto di vista sostanziale, mentre da un lato, forse, si potrebbe obiettare che anche il possesso di un veicolo elettrico è una caratteristica personale, come potrebbe esserlo l’essere residenti in luoghi non raggiunti da servizi di mobilità sostenibile, trovandosi così esclusi dal relativo benefit, dall’altro sembra comunque difficile poter presumere favoritismi nei confronti di lavoratrici assenti dal lavoro, mentre è indubbio che non si possa negare la rilevanza sociale del sostegno alla maternità. L’Agenzia non nega, naturalmente, tale rilevanza, ma in virtù di un approccio che, apparendo eccessivamente formale, fa sì che tale aspetto non venga nemmeno preso in considerazione.
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