giovedì 07/03/2024 • 06:00
Con la bozza di Decreto sulle sanzioni tributarie, il Legislatore della riforma fiscale interviene sul principio di specialità ritoccando il profilo procedimentale ma anche quello sanzionatorio. Quali sono le conseguenze?
Nell'ambito di attuazione della riforma fiscale, il legislatore, con la bozza del decreto sulle sanzioni, si occupa di affinare i meccanismi di funzionamento del principio di specialità, e lo fa in due direzioni: sotto il profilo procedimentale, inserendo l'art. 9-bis nello Statuto del contribuente; sotto il profilo sanzionatorio, cercando di coordinare la sovrapposizione tra sanzione penale e sanzione amministrativa. Il risultato non è soddisfacente, perché lascia più dubbi di quelli presenti nella passata disciplina. Il profilo procedimentale del principio di specialità Il ne bis in idem procedimentale consiste nella previsione della possibilità per l'Amministrazione finanziaria di esercitare l'azione di accertamento per ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta. Si tratta di una limitazione che risponde a esigenze di certezza dei rapporti tra Fisco e contribuente, e che tuttavia era già presente nel sistema di accertamento dell'IVA e delle imposte sui redditi, non in forma di principio generale, ma di regola che impedisce l'integrabilità di un accertamento se non in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (art. 43, comma 3 DPR 600/1973 e art. 57 DPR 633/1972). Con l'introduzione dell'art. 9-bis nello Statuto del contribuente, in realtà, non si assiste ad un effettivo cambiamento rispetto al passato, e questo perché la nuova norma fa salve le specifiche disposizioni che prevedono diversamente. Quindi restano ferme le norme che prevedono la possibilità per l'Agenzia delle entrate di emettere accertamenti parziali, senza pregiudizio dell'azione accertatrice. Ora, si tratta di una deroga espressa al principio di ne bis in idem procedimentale, oltretutto con un'ampiezza tale da rendere praticamente insindacabile la scelta di procedere a un accertamento parziale (che non preclude l'ulteriore azione accertatrice) piuttosto che a un accertamento globale. E questo dipende dalle condizioni fissate dalla legge per attivare un accertamento parziale (art. 41-bis DPR 600/1973 e art. 54, comma 4 DPR 633/1972). Sono infatti condizioni che non si limitano a legittimare l'accertamento parziale nei soli casi di segnalazioni ricevute da altri uffici o dalla Guardia di finanza, ma riguardano anche tutti i casi (insindacabile giudizio dell'organo accertatore) in cui, nell'esercizio degli ordinari poteri istruttori, l'Agenzia delle entrate acquisisce elementi utili all'accertamento. Quindi, di fatto, il principio enunciato dall'art. 9-bis dello Statuto del contribuente rischia di restare un principio solo sulla carta, a meno che non si metta mano alla norma sull'accertamento parziale, fissando criteri di utilizzo più chiari e stringenti, tanto da fargli assumere quel carattere di eccezionalità che teoricamente dovrebbe connotare una norma che deroga a un principio generale. Purtroppo, sul piano interpretativo, temo che non sia possibile alcun ridimensionamento della portata della norma sull'accertamento parziale, e questo perché è lo stesso art. 9-bis a fare salve espressamente le specifiche disposizioni che prevedono diversamente. Il profilo sanzionatorio del principio di specialità Sul versante delle sanzioni, l'intervento del legislatore della riforma è piuttosto confuso. Infatti, resta fermo il principio (art. 19 D.lgs. 74/2000) in base al quale, se per uno stesso fatto è prevista sia la sanzione penale che quella amministrativa, si applica la sola sanzione speciale, dove per speciale deve intendersi quella penale le cui fattispecie possiedono elementi specializzanti rispetto a quelle sanzionate sul piano amministrativo (ad esempio, soglie di punibilità o connotati specifici delle condotte, oltre ovviamente all'elemento psicologico del dolo). Il legislatore della riforma lascia intatto questo principio, apportando tuttavia alcune modifiche nelle modalità di applicazione dello stesso. Conferma l'irrogabilità della sanzione amministrativa e la sua non eseguibilità fino a provvedimento penale definitivo, salvo che si tratti di provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. Estende la non eseguibilità della sanzione amministrativa anche alla società o all'ente quando nei suoi confronti può essere disposta una sanzione amministrativa in base al D.lgs. 231/2001 in tema di responsabilità dell'ente, nello specifico, per reati tributari. Resta incomprensibile l'esatta funzione e la portata concreta dell'art. 21-ter introdotto dal legislatore della riforma. E questo perché, nel prevedere la riduzione della sanzione per un fatto già colpito da altra sanzione irrogata – è indifferente se applicata nel procedimento penale o in quello amministrativo – implicitamente ammette la cumulabilità della sanzione penale e di quella amministrativa, cumulabilità che però è esclusa proprio dal principio di specialità enunciato dall'art. 19. Resta infine irrisolto il paradosso dell'accessibilità al patteggiamento nel procedimento penale e alle circostanze attenuanti speciali, previo pagamento dell'intero debito tributario, incluse le sanzioni amministrative (art. 13-bis D.Lgs. 74/2000) che invece dovrebbero essere escluse quando per lo stesso fatto si applica la sanzione penale. Il che evidentemente contrasta con il principio di specialità che richiede invece l'applicazione di una sola sanzione per uno stesso fatto punibile.
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