La bozza di decreto delegato che interviene in materia di sanzioni tributarie adeguandole al principio di proporzionalità - operazione peraltro sollecitata in ambito unionale e auspicata dalla stessa Corte Costituzionale - fa qualcosa di sorprendente: deroga al principio del favor rei, limitando l’applicazione delle sanzioni più favorevoli alle sole violazioni commesse successivamente alla data di entrata in vigore delle nuove norme, con conseguente sopravvivenza delle sanzioni più gravose (e sproporzionate, stando alla ratio della modifica legislativa) per le medesime violazioni commesse precedentemente. E, con questo, violando clamorosamente gli artt. 11 e 117 della Costituzione, dal momento che il principio del favor rei costituisce un diritto fondamentale, espressamente codificato dall’art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Una prospettiva che oltretutto la legge delega non aveva affatto preso in considerazione, da cui un eccesso di delega.
Se si parte dalla premessa che il nuovo impianto sanzionatorio che la riforma intende introdurre risponde alla necessità di fare in modo che esso risulti adeguato al principio di proporzionalità sancito dall’art. 49, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si può tranquillamente affermare che l’intento del legislatore è quello di elevare il livello di conformità dell’ordinamento tributario a principi espressi da fonti superiori del diritto di natura internazionale condivisa.
D’altra parte, questa operazione non è affidata al buon cuore del legislatore di turno, ma è proprio un’esigenza giuridicamente cogente di dare concreta attuazione a un principio costituzionale specifico, quello cioè previsto dall’art. 11 della Costituzione.
Se questo è il quadro in cui si può inscrivere il riassetto del sistema sanzionatorio tributario, credo che la scelta di infilarci una deroga espressa al principio del favor rei rappresenti uno sfregio a un’opera in sé, nel complesso, apprezzabile.
Ma la cosa che più colpisce è l’ingenuità dell’iniziativa, come se non si fossero prese in considerazione le conseguenze giuridiche problematiche di una simile scelta.
Profili di incostituzionalità
Un primo problema, il più immediato, che si pone è l’eccesso di delega. E infatti, prevedere una deroga a un diritto fondamentale qual è il principio del favor rei in un decreto delegato, nel silenzio assoluto sul punto della legge delega, è facilmente indicabile come una previsione che va ben al di là dei criteri e delle direttive stabiliti in merito dalla legge delega, dove si parla solo di “razionalizzazione dei sistemi sanzionatori amministrativo e penale per semplificarli e renderli più coerenti con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, tra cui, in particolare, quelli di predeterminazione e proporzionalità alla gravità delle condotte”.
Ma i problemi di costituzionalità di questa deroga sono anche altri.
Nel ricostruire il fondamento costituzionale del principio del favor rei occorre fare riferimento all’orientamento della Corte Costituzionale.
Per la Corte Costituzionale il principio del favor rei ha un duplice, e concorrente, fondamento.
Uno, di matrice nazionale, da individuare nell’art. 3 della Costituzione (e non invece nell’art. 25 della Costituzione). Il principio di uguaglianza, infatti, impone, fra le altre cose, di equiparare in linea di massima il trattamento sanzionatorio degli stessi fatti, indipendentemente dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma più favorevole.
Un altro, di matrice internazionale, che ha trovato ingresso nel nostro ordinamento attraverso l’art. 117, comma 1 della Costituzione, riconducibile all’art. 7 CEDU nella interpretazione che di questa norma ha fatto la giurisprudenza di Strasburgo, nonché chiaramente individuabile nell’art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, norma, questa, rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 della Costituzione.
Quanto poi, all’estensione del principio del favor rei in materia di sanzioni amministrative, la Corte Costituzionale ha fatto proprio l’orientamento della Corte di Strasburgo equiparando le stesse alle sanzioni penali (considerandole quindi sostanzialmente penali) tutte le volte che esse abbiano una natura e una funzione punitiva e non semplicemente riparativa. Secondo la Corte EDU, infatti, per qualificare una sanzione come penale occorre fare riferimento principalmente alla natura e alla gravità della sanzione, laddove per natura si deve intendere l’attitudine afflittiva della stessa, e per gravità, invece, si intende il massimo edittale di una sanzione pecuniaria. E qui, il fatto stesso che le sanzioni tributarie siano sproporzionate e che ne sia stata mitigata la misura dal legislatore riformatore proprio in quest’ottica, ebbene mi pare che la gravità delle sanzioni previste in precedenza sia praticamente in re ipsa.
Con questi elementi e con quest’orientamento già espresso dalla Corte Costituzionale in materia,
credo che si possa affermare la probabile incostituzionalità della previsione di deroga al favor rei, atteso che, per la stessa Corte Costituzionale, la derogabilità al principio del favor rei è suscettibile di vaglio di compatibilità costituzionale, in considerazione del fatto che, legittimamente, esso “può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo […]. Con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma più favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole” (Corte Cost., sentenza 393 del 2006).
Fermo restando il problema di eccesso di delega, di cui si è detto prima, anch’esso costituzionalmente rilevante.
In definitiva, se fosse confermata questa deroga, la norma potrebbe finire davanti alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia UE, ma potrebbe anche essere semplicemente disapplicata dal giudice nazionale una volta riscontrato il contrasto con il diritto sancito dall’art. 49, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.