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mercoledì 28/02/2024 • 06:00

Lavoro Dalla Cassazione

Ambiente lavorativo stressogeno: quali responsabilità del datore di lavoro

Il Giudice deve valutare attentamente la presenza di un’ambiente di lavoro stressogeno, anche in assenza di mobbing. La Cassazione, con ordinanza 16 febbraio 2024 n. 4279, chiarisce che il datore di lavoro è tenuto a adottare tutte le misure necessarie per proteggere l'integrità fisica e morale dei dipendenti.

di Marcello Buzzini - Avvocato in Milano - Studio Legale Failla & Partners

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  • Tempo di lettura 5 min.
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Il datore potrebbe essere ritenuto responsabile, anche se il mobbing non c'è

Di recente, pare essersi consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in merito alla responsabilità del datore di lavoro, indifferentemente sia privato che pubblico, per i danni alla salute subiti dai propri dipendenti, nonostante la mancanza, nella vicenda esaminata, di un comportamento identificabile come “mobbing sul lavoro” per mancanza di intenti persecutori, ugualmente sarebbe possibile individuare una violazione dell'articolo 2087 c.c. (“L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”).

Questa specifica violazione può ravvisarsi laddove il datore, anche in maniera inavvertita, consenta la persistenza di un ambiente professionale stressante, provocando così nocumento alla salute dei lavoratori.

Analogamente, l'inottemperanza alle prescrizioni dell'art. 2087 c.c. può configurarsi qualora vengano adottati comportamenti da parte dei responsabili aziendali che, pur non essendo intrinsecamente illegittimi, possano comunque generare disagio o tensione.

Nello specifico, alla fine del 2023 la Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un dipendente di una società di telecomunicazioni.

La Corte d'Appello, all'esito del giudizio di secondo grado, aveva rilevato la sussistenza di comportamenti poco corretti posti in essere dal supervisore, inclusa una modalità di controllo sul lavoro oggettivamente stressogena, ma non aveva infine concesso al dipendente il risarcimento del danno per mobbing.

La relativa domanda, infatti, era stata respinta per mancata prova della reiterazione della condotta riferita ai singoli fatti mobbizzanti, in particolare, non ritenendo significativa la circostanza che il dipendente avesse subito un attacco ischemico durante una discussione accesa con il suo supervisore.

La Corte di Cassazione ha invece riformato la pronuncia d'appello, accogliendo dunque la richiesta risarcitoria avanzata, sul presupposto che “in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento, ovvero la sua integrità psicofisica, la dignità, l'identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica." (Cass. Civ., Sez. lavoro, Ord.18/10/2023, n. 28959).

L'ordinanza della Cassazione n. 4279/2024

Con l'ordinanza n. 4279 del 16 febbraio 2024, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha avuto modo di rimarcare, qui nell'ambito del pubblico impiego, il principio giuridico (valevole però, lo si ribadisce, anche per il settore privato), per cui, sebbene non sia stata accertata l'esistenza di un'ipotesi di mobbing sul luogo di lavoro, il giudice deve comunque indagare se il datore di lavoro abbia adottato tutte le precauzioni necessarie per proteggere l'integrità fisica e morale dei dipendenti.

In proposito, dal punto di vista squisitamente processuale, è compito del lavoratore dimostrare il danno e il nesso causale con l'ambiente lavorativo, mentre spetta al datore di lavoro provare di aver invece adottato tutte le misure preventive necessarie.

Viene così mantenuto l'allineamento con le precedenti sentenze della Cassazione che sottolineano, come detto, che l'assenza di mobbing in sé non esclude la responsabilità del datore di lavoro nell'evitare danni alla salute dei dipendenti derivanti da un ambiente lavorativo stressante (Cass. 11 novembre 2022 n. 33428; Tribunale di Roma, Sez. lavoro, sent. 24/03/2023, n. 3077).

E ciò, poiché è considerato illegittimo, ai sensi del citato art. 2087 c.c., che il datore di lavoro, anche solo per mera negligenza, permetta la persistenza di un ambiente lavorativo dannoso per la salute dei dipendenti.

Va sottolineato, peraltro, che non vi è la responsabilità del datore di lavoro in questione, evidentemente, non è né può essere automatica, essendo egli sempre ammesso in giudizio alla prova liberatoria.

Tale prova può consistere nell'aver dapprima implementato le misure e procedure interne più idonee a salvaguardare la “salubrità” dell'ambiente di lavoro, nonché poi nell'aver effettivamente vigilato, con modalità adeguate, affinché in concreto non venissero effettuate/tollerate trasgressioni delle stesse.

Fonte: Cass. 16 febbraio 2024 n. 4279

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