lunedì 08/01/2024 • 06:00
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto sul processo tributario (D.Lgs. 220/2023) ha apportato alcune modifiche alla disciplina delle spese del giudizio. Cosa è stato ritoccato rispetto al testo non definitivo? E le nuove norme sono costituzionalmente legittime?
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Modifiche alle spese di lite nel processo tributario
Con il D.Lgs. 220/2023 è stata modificata la disciplina delle spese di lite nel processo tributario, con applicazione anche ai processi pendenti al 5 gennaio 2024.
In particolare, le modifiche hanno riguardato:
Ebbene, la seconda e la terza aggiunta sono pienamente condivisibili.
Difatti, il nuovo decreto legislativo, dopo aver introdotto espressamente nel processo tributario i canoni di sinteticità e chiarezza, ha altresì contemplato le conseguenze della loro eventuale violazione ad opera delle parti, prevedendo unicamente riflessi sulle spese di lite e giammai sulla validità degli atti. È stata risolta così una questione che si era affacciata negli ultimi tempi nella giurisprudenza, dando luogo anche ad incondivisibili sanzioni draconiane. È ora superata anche la discussione sull'applicabilità al processo tributario del c.d. decreto Nordio sulla forma degli atti, adottato ai sensi dell'art. 46 disp. att. al c.p.c., atteso che sussiste ora una disciplina speciale prevista dal comma 2-bis dell'art. 79 (sulla scorta della quale sarà adottato un decreto dal Ministro dell'economia e finanze) e che le conseguenze in tema di spese sono state disciplinate del comma 2-octies dell'art. 15 e nel comma 3 dell'art. 17-ter D.Lgs. 546/92. Peraltro, la nuova regola processuale tributaria prevede l'obbligo, e non la facoltà, per il giudice di tener conto della violazione dei precetti di chiarezza e sinteticità, a differenza di quanto accade per il processo civile.
Anche nel caso delle violazioni delle regole del processo telematico, ferma restando la loro irrilevanza ai fini della validità degli atti, è stata sancita solo la obbligatoria ponderazione ai fini delle spese di lite ad opera della parte che si sia distaccata dal comportamento previsto.
Ciò che non è convincente, però, è la prima disposizione.
Le criticità rilevate
L'idea di fondo che ha mosso il legislatore delegato è quella di un forte stimolo alla risoluzione dei conflitti in sede procedimentale anziché in sede processuale, anche alla luce dell'ormai quasi generalizzata estensione del contraddittorio preventivo. Ed allora ecco l'obbligatoria (il presente indicativo “sono compensate” non lascia dubbi) compensazione allorquando la parte sia vittoriosa sulla base di documenti “decisivi” prodotti “solo” nel corso del giudizio. Questa nuova regola è inopportuna ed è di dubbia legittimità.
Inopportuna poiché essa trascura ciò che avviene con non trascurabile frequenza nella dialettica tra il contribuente e l'ufficio. Non è raro, difatti, che a seguito dell'incontro e della produzione di documenti e chiarimenti, l'amministrazione finanziaria rettifichi il tiro, introducendo nuove linee di contestazione.
E' ben vero che ciò obbligherebbe a sviluppare ulteriormente il contraddittorio, rappresentando al contribuente i nuovi addebiti, ma nella prassi ciò difficilmente accade, anche per l'usuale schiacciamento delle attività di verifica a ridosso dei termini di decadenza dell'emissione degli atti. E che si tratti di temi non conosciuti al contribuente è ben chiaro: non solo esiste già una considerevole convenienza a risolvere le questioni nel procedimento anziché nel processo, ma occorre anche considerare che se il “documento decisivo” fosse stato richiesto dall'amministrazione finanziaria e non fornito dal contribuente, quest'ultimo incorrerebbe nella preclusione disposta dall'art. 32, quarto comma, DPR 600/73. La “mossa a sorpresa”, consistente nel non svelare nel procedimento le proprie linee difensive e temuta dal legislatore, sarebbe in realtà autolesionistica.
Sotto il profilo della legittimità del provvedimento adottato si possono poi porre numerosi dubbi.
Anzitutto, esiste un insanabile profilo di eccesso di delega. Nella legge delega n. 111 del 2023 non esiste il minimo richiamo ad una regola siffatta né essa è anche lontanamente desumibile dai richiami effettuati al contraddittorio procedimentale (essendo richiamato dall'art. 19 il coordinamento con la nuova disciplina di cui all'articolo 4, comma 1, lettera h), riguardante l'autotutela, ma non anche con la lettera f, relativa al contraddittorio procedimentale). Si tratta quindi di una superfetazione del legislatore delegato (invero stemperata rispetto alle prime ipotesi prospettate, ma ciò non è di aiuto alcuno), che è andato al di là dei principi e criteri direttivi che il delegante aveva assegnato.
Inoltre, restano sullo sfondo il principio di diritto di difesa e di effettività della tutela nonché del giusto processo, sanciti dall'art. 24 e 111 Cost. e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali UE e dall'art. 6 TUE. Occorre difatti chiedersi se sia compatibile con il diritto di difesa una norma che preveda che le spese di lite per la parte vittoriosa restino comunque a carico della stessa parte, in un processo che già per i soli contributi unificati non è a buon mercato. E se sia giusto un processo che disponga ciò. In realtà, la configurazione del processo tributario come “processo per ricchi” non pare rispettosa dei principi superiori.
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