Con un intervento sorprendentemente efficace, viene corretta la versione originaria del decreto delegato che modifica lo Statuto del contribuente. Nel dettaglio, viene:
ripristinato il ruolo attuativo delle disposizioni dello Statuto rispetto alla Costituzione, e ampliato rispetto ai principi dell'ordinamento dell'Unione europea e a quelli della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
introdotto l'obbligo di motivazione specifica nelle ipotesi di mancato accoglimento delle osservazioni difensive del contribuente in sede di contraddittorio pre-contenzioso;
disegnata in modo efficiente la disciplina delle reazioni dell'ordinamento tributario ai casi di illegittima o illecita acquisizione delle prove, prevedendo nel primo caso l'annullabilità dell'atto definitivo (art. 7-bis, comma 1) e nel secondo caso l'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge (art. 7-quinquies): un modo convincente di dare attuazione al principio di legalità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 della Costituzione.
L'intervento delle commissioni parlamentari
Lo schema di decreto delegato che modifica lo Statuto del contribuente supera il vaglio delle commissioni di Camera e Senato non senza subire significativi miglioramenti. Qui ci soffermiamo su quelli più rilevanti.
Nella prima versione del governo, il decreto presentava imprecisioni e lacune che avevo segnalato nei miei precedenti contributi.
Anzitutto l'incongruenza dell'eliminazione della matrice attuativa di taluni principi della Costituzione attribuita in origine alle norme dello Statuto del contribuente. Questa matrice, in realtà, aveva consentito alla giurisprudenza costituzionale e a quella di legittimità di assegnare alle norme dello Statuto una funzione interpretativa importante, vale a dire la funzione di vincolare l'interprete, in caso di dubbio o contrasto, a prediligere, nell'interpretazione delle norme tributarie, quella maggiormente conforme alle disposizioni dello Statuto.
La prima versione del decreto attuativo si limitava a dichiarare che le disposizioni dello Statuto “si conformano” alla Costituzione, all'ordinamento dell'Unione europea e ai principi della Carta europea dei Diritti dell'Uomo. Ma in realtà questa autodichiarazione di conformità dello Statuto a fonti del diritto di rango superiore era totalmente priva di senso giuridico, atteso che nessuna norma ordinaria può non conformarsi alle fonti del diritto di rango superiore. E quindi non c'era bisogno di auto-dichiararlo.
L'intervento delle commissioni parlamentari è stato propizio. È stata cioè ripristinata la matrice attuativa delle disposizioni dello Statuto, estendendola a tutte le norme della Costituzione, ai principi dell'ordinamento dell'Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Rispetto al passato, quindi, di diverso avremo una congerie di principi superiori non meglio individuati, di cui le disposizioni dello Statuto vanno intese come attuative. Ma tanto basta a riconoscere alle stesse la funzione di criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria, pur senza doverlo scrivere. E infatti, questa funzione era stata ampiamente riconosciuta dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione, proprio in virtù della matrice attuativa di principi costituzionali, già in precedenza espressamente ascritta alle norme dello Statuto del contribuente.
L'obbligo di motivazione
Altra modifica in corso d'opera – la più importante – è l'inserimento dell'obbligo di motivazione specifica a carico dell'Amministrazione finanziaria che, in esito al contraddittorio, non accolga le osservazioni del contribuente. Questa in realtà era una previsione ben espressa nella legge delega e inspiegabilmente scomparsa nella prima versione del decreto delegato. È stata recuperata e inserita, rendendo effettivo l'obbligo generale di contraddittorio di nuova introduzione nello Statuto. C'è da dire che questa previsione avrà probabilmente un ruolo di maggiore responsabilizzazione dell'Amministrazione finanziaria nell'adozione degli atti di accertamento, producendo al tempo stesso un effetto disincentivante verso accertamenti poco fondati e incoraggiante in direzione di accertamenti di più elevata qualità.
L'invalidità degli atti tributari
Un altro ambito di intervento è stato poi quello della nuova disciplina della invalidità degli atti tributari, un altro cavallo di battaglia della riforma. Della precedente versione avevo criticato la mancanza di una definizione concettuale di nullità. Mentre era stata data una dettagliata descrizione della sfera applicativa dell'annullabilità (cioè della invalidità relativa) non era stata data alcuna definizione di cosa debba intendersi per nullità di un atto tributario. Lasciando interamente al legislatore futuro il compito di individuare espressamente i casi di nullità. L'intervento correttivo ha colmato questa lacuna specificando che sono nulli gli atti dell'Amministrazione finanziaria viziati per difetto assoluto di attribuzione di potere ovvero adottati in violazione o elusione di giudicato. Oltre a quelli che saranno espressamente indicati come tali dal legislatore futuro per vizi pure specificamente indicati.
L'acquisizione delle prove
Un'ultima correzione – anche questa molto importante – è quella del nuovo articolo 7-quinquies dello Statuto del contribuente.
Nella versione originaria, era stata introdotta una norma sull'inutilizzabilità delle prove che, per come era stata scritta, si poneva in conflitto con l'art. 7-bis comma 1.
Circoscrivere l'inutilizzabilità ai soli casi di permanenza dei verificatori in azienda oltre i 30 giorni e a quelli di violazione dei diritti fondamentali della persona (questi ultimi - attesa la natura inviolabile dei relativi diritti - già peraltro indicati dalla giurisprudenza di legittimità come limite costituzionale insuperabile per definizione) appariva un depotenziamento di fatto della previsione introdotta dall'art. 7-bis circa l'annullabilità degli atti impugnabili anche per violazione delle norme sul procedimento, incluse cioè tutte quelle che disciplinano i poteri istruttori dell'Amministrazione finanziaria.
La nuova formulazione, non solo risolve l'apparente conflitto di norme, ma pone queste due in un rapporto di complementarietà, nel senso che, laddove la violazione di legge all'origine dell'acquisizione probatoria sia, non già di norme sul procedimento tributario, ma di norme, ad esempio, su altri procedimenti (come nel caso di prove acquisite nel procedimento penale di cui è stato poi autorizzato l'utilizzo ai fini fiscali) oppure di norme sostanziali (penso, ad esempio, al furto di dati o all'acquisizione degli stessi in violazione delle norme sulla privacy o della segretezza della corrispondenza informatica), ebbene in questi casi pur non operando il rimedio dell'annullabilità (perché le norme violate non riguardano il procedimento tributario) opererebbe quello dell'inutilizzabilità delle prove raccolte in modo illecito.
Con questa previsione, il legislatore fa fare un salto di qualità alla disciplina del procedimento tributario. E questo perché, anzitutto, dà una specifica e ben chiara attuazione pratica all'art. 97 della Costituzione in materia tributaria, nella sua declinazione di principio di legalità dell'azione amministrativa, e poi introduce una disciplina coerente alla reazione dell'ordinamento tributario ai diversi casi di violazione di legge: l'annullabilità per la violazione di norme di matrice amministrativa, l'inutilizzabilità per la violazione di norme imperative di matrice diversa da quella amministrativa.