Con lo Studio n. 69-2023/T, il Consiglio Nazionale del Notariato analizza la controversa questione della soggettività passiva del trust per l'imposta sul valore aggiunto.
Già le corti di merito avevano affermato, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, che il trust non fosse un soggetto giuridico dotato di una propria personalità e che il trustee fosse l'unico riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante di un soggetto inesistente, ma come legittimato a disporre del diritto.
Da questa ricostruzione si faceva derivare la necessità, ai fini della corretta tassazione, di dare rilevanza alla posizione soggettiva del trustee, con la conseguenza che l'operazione doveva considerarsi al di fuori del campo applicativo dell'IVA ove il trustee fosse una persona fisica che cedeva un bene al di fuori dell'esercizio dell'attività d'impresa.
In occasione dell'introduzione dei trust fra i soggetti passivi IRES non è stato infatti integrato il DPR 633/72 e le indicazioni di prassi sul punto sono assai scarne e risalenti, atteso che nei recenti indirizzi operativi diramati la questione non è stata affrontata.
Un punto di partenza è costituito, invece, dall'interpretazione giurisprudenziale. In tempi recenti la Corte di Cassazione si è infatti espressa in merito alla soggettività passiva del trust ai fini IVA assumendo l'orientamento che andremo subito ad esaminare.
In definitiva dalle pronunce (Cass 17563/2021 e Cass. 20808/2022) emergono due visioni:
la prima, riferibile all'amministrazione finanziaria, per cui l'attività svolta dal trustee, in adempimento del patto fiduciario, risulta rilevante ai fini dell'integrazione o meno del presupposto del tributo e trova il suo riferimento soggettivo nel trust;
la seconda, propugnata dalla giurisprudenza, secondo cui in assenza di una specifica previsione normativa la soggettività passiva del trust non può essere riconosciuta in alcun comparto impositivo. Di regola, dunque, secondo la Cassazione, ai fini IVA l'operazione è riferibile solo al disponente e va ricondotta all'attività da questi svolta nella propria sfera imprenditoriale. Il trust parrebbe dunque da intendersi, in questa visione, quale mera “articolazione” dell'impresa del disponente, ferma restando la funzione cui è deputata la segregazione: la preservazione dei beni per consentire, in alcuni casi, la devoluzione ai beneficiari, in altri casi, la tutela e la soddisfazione dei creditori (trust liquidatori, trust di garanzia).