Introdotto dichiaratamente in via sperimentale, il contratto di espansione, giusto l'art. 41 D.Lgs. 148/2015, consente, in occasione di processi di reindustrializzazione e riorganizzazione che comportano, in tutto o in parte, una modifica strutturale dei processi aziendali, finalizzata al progresso e allo sviluppo tecnologico dell'attività, nonché la conseguente esigenza di modificare le competenze professionali mediante un loro più razionale impiego e, in ogni caso, prevedendo l'assunzione di nuove professionalità, il ricorso ad un accordo, da raggiungere in sede governativa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o con le loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero la rappresentanza sindacale unitaria laddove presenti, finalizzato a gestire in maniera concordata tale momento essenziale di modifica della organizzazione aziendale. Per tali ragioni il contratto di espansione è considerato un contratto di natura gestionale, in quanto destinato a disciplinare tale momento di transizione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali e la supervisione del Ministero del lavoro.
Il requisito dimensionale
Il dato della forza lavoro è uno degli elementi fondamentali per avere riconosciuto il diritto al ricorso al contratto di espansione, ed è stato anche quello su cui è intervenuto più volte il legislatore. Il limite minimo, inizialmente fissato in 1.000 unità, è stato via via oggetto di interventi di modifica al ribasso, per promuovere la diffusione dello strumento, inizialmente modesta. Si è avuto quindi un primo intervento, ad opera della Legge di Bilancio 2021, che introducendo il comma 1-bis all'art. 41, aveva inserito due diversi limiti, inferiori:
almeno 500 unità lavorative in caso di ricorso alla cassa integrazione, nell'ambito del processo riorganizzativo;
almeno 250 unità qualora potesse applicarsi ai lavoratori da sostituire lo scivolo a pensione.
Il Decreto Sostegni bis ha ulteriormente abbassato il riferimento alle unità lavorative, richiedendo che queste non siano inferiori alle 100 unità, esclusivamente per il 2021.
Il requisito dimensionale è stato infine ulteriormente abbassato, per effetto della Legge di Bilancio 2022 (Legge 234/2021), che ha introdotto il comma 1-ter, per il quale “per gli anni 2022 e 2023 il limite minimo di unità lavorative in organico di cui al comma 1 non può essere inferiore a cinquanta, anche calcolate complessivamente nelle ipotesi di aggregazione stabile di imprese con un'unica finalità produttiva o di servizi”.
Il contenuto del contratto
Scorrendo i requisiti richiesti per il contratto di espansione, si evidenzia la speciale finalizzazione dell'accordo, infatti, come previsto dal secondo comma dell'art. 41, il contratto deve indicare:
il numero dei lavoratori da assumere e l'indicazione dei relativi profili professionali compatibili con i piani di reindustrializzazione o riorganizzazione;
la programmazione temporale delle assunzioni;
l'indicazione della durata a tempo indeterminato dei contratti di lavoro, compreso il contratto di apprendistato professionalizzante di cui all'art. 44 D.Lgs. 81/2015;
relativamente alle professionalità in organico, la riduzione complessiva media dell'orario di lavoro e il numero dei lavoratori interessati, nonchè il numero dei lavoratori che possono accedere al trattamento previsto dal comma 5.
Come premesso, si tratta evidentemente di requisiti che, tutti, denotano il carattere funzionale alle finalità cui il contratto di espansione è preordinato, per cui è fondamentale che la loro indicazione corrisponda in maniera concreta agli obiettivi sostanziali che si intendono raggiungere con il processo di riorganizzazione. La circostanza ad esempio che non ci sia alcuna indicazione rispetto al rapporto tra le risoluzioni dei rapporti e le nuove assunzioni (con l'eccezione delle imprese o gruppi di imprese con un organico superiore a 1.000 unità di particolare rilevanza strategica, in linea con i programmi europei, ai quali è riconosciuto un ulteriore periodo di 12 mesi per la riduzione dei versamenti a carico del datore di lavoro, se si impegnano ad effettuare almeno una assunzione per ogni tre lavoratori che abbiano prestato il consenso allo scivolo pensionistico di cui al comma 5-bis), richiede che la discrezionalità riconosciuta all'azione del datore di lavoro, venga esercitata pur sempre nell'alveo tracciato dal legislatore e finalizzata agli scopi prefissi con il contratto di espansione. Tanto più in considerazione della previsione, esplicita, contenuta dal quarto comma, che assegna espressamente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la verifica del progetto di formazione e di riqualificazione, nonché il numero delle assunzioni (laddove ciò è indicativo, come nell'ipotesi del già ricordato comma 5-bis).
Gli sbocchi possibili
a) Lo scivolo a pensione
Nell'ambito della gestione del progetto di ricambio del personale, possono accedere allo scivolo a pensione i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, che abbiano maturato il requisito minimo contributivo, o anticipata di cui all'articolo 24, c. 10, DL 201/2011 conv. in legge 214/2011 (42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
La soluzione è perseguita nell'ambito di “accordi di non opposizione e previo esplicito consenso in forma scritta dei lavoratori interessati” (ergo: candidatura spontanea), nel qual caso è il datore di lavoro a riconoscere per tutto il periodo e fino al raggiungimento del primo diritto a pensione, a fronte della risoluzione del rapporto di lavoro, un'indennità mensile, ove spettante comprensiva dell'indennità NASpI, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, così come determinato dall'INPS. Qualora il primo diritto a pensione sia quello previsto per la pensione anticipata, il datore di lavoro versa anche i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto, con esclusione del periodo già coperto dalla contribuzione figurativa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro.
b) La riduzione dell'orario di lavoro
Per i lavoratori privi dei requisiti utili all'accompagnamento a pensione è possibile ricorrere ad una riduzione oraria in regime di integrazione salariale, con il riconoscimento della contribuzione figurativa ai sensi degli artt. 3 e 6 D.Lgs. 148/2015.
La riduzione media oraria non può essere superiore al 30% dell'orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati al contratto di espansione. Per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell'orario di lavoro può essere concordata, ove necessario, fino al 100% nell'arco dell'intero periodo per il quale il contratto di espansione è stipulato.
Anche in questo caso i benefici sono riconosciuti nei limiti complessivi dello stanziamento previsto per ogni anno, con compiti specifici di vigilanza e monitoraggio sul punto assegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e all'Inps. Se nel corso della procedura di consultazione emerge il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, il Ministero non può procedere alla sottoscrizione dell'accordo governativo e conseguentemente non può prendere in considerazione ulteriori domande di accesso ai benefici.