Nullità e annullabilità
L'intento di creare una netta distinzione tra nullità e annullabilità trae origine dalle diversità concettuale di queste categorie in teoria generale del diritto.
La nullità attiene ai vizi che incidono profondamente sugli effetti dell'atto al punto da invalidarne la stessa esistenza sin dalla sua origine. Si tratta in sostanza di vizi che precludono qualsiasi possibilità che l'atto possa avere effetti.
Naturalmente, le implicazioni giuridiche di questa patologia connaturate alla propria identità concettuale sono ovvie: se l'atto non può dirsi esistente, il relativo vizio può essere rilevato ance d'ufficio in qualunque stato e grado del giudizio e senza limiti di tempo (è imprescrittibile). Questa è una categoria che viene classificata come invalidità assoluta.
L'annullabilità, invece, riguarda vizi che non precludono l'esistenza dell'atto e i relativi effetti, e riguarda in genere difformità dello stesso rispetto al paradigma legale. I vizi di annullabilità possono essere eccepiti solo dalla parte lesa entro termini perentori. Qui siamo nell'area dell'invalidità relativa.
Nel nostro ordinamento la disciplina più completa di tali categorie è quella del codice civile in materia di invalidità del negozio giuridico. Dal 2005, con gli art. 21-septies e 21-octies L. 241/90, anche in materia amministrativa è stata introdotta una disciplina legale di invalidità degli atti ispirati alla distinzione concettuale nota in teoria generale del diritto. Con una rilevante differenza rispetto alla teoria civilistica delle invalidità in materia di contratti. Qui la regola è la nullità e l'eccezione è l'annullabilità, nella disciplina del regime di invalidità degli atti amministrativi, la regola è l'annullabilità e l'eccezione è la nullità. E questo, secondo il Consiglio di Stato, per esigenze di certezze dell'azione amministrativa.
Nel progetto di riforma tributaria, la legge delega ha espressamente previsto l'introduzione di una disciplina generale delle cause di invalidità degli atti impositivi e degli atti della riscossione. E lo ha previsto nell'ambito del riassetto del compendio normativo dello Statuto del contribuente, le cui disposizioni peraltro costituiscono principi generali dell'ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice di tutta la legislazione tributaria. Nel decreto in commento, la scelta appare chiara e coerente con la natura della materia tributaria. Si ispira infatti alla disciplina dell'invalidità degli atti amministrativi di cui alla L. 241/90 negli artt. 21-septies e 21-octies. Con alcune rilevanti incertezze.
Osservazioni
Il decreto prevede la disciplina amministrativa dell'annullabilità di cui all'art. 21-octies L. 241/1990, ma sulla nullità manca una definizione concettuale (presente invece nella disciplina amministrativa all'art. 21-septies) e rimette tout court alle leggi future la previsione espressa dei casi di nullità. Lasciando intendere, piuttosto nitidamente, che la qualificazione del vizio di invalidità assoluta dipenderà esclusivamente dalle scelte discrezionali del legislatore, senza alcun vincolo concettuale.
Le ragioni di questa scelta non sono chiare e soprattutto, essendo venuto meno il riferimento concettuale, non si capisce quale sarà il destino delle svariate previsioni di nullità contenute nelle leggi tributarie vigenti, ivi incluso lo Statuto del contribuente. Nella peggiore delle ipotesi, è quantomeno necessaria una norma di interpretazione autentica che converta in annullabilità, in blocco, tutte le previsioni di nullità attualmente previste dalle leggi tributarie.
Quindi, l'obiettivo fissato dalla legge delega di una disciplina generale delle cause di invalidità degli atti impositivi e di riscossione può dirsi un obiettivo monco. E, soprattutto, l'ibridità della soluzione contenuta nel decreto in oggetto non permette agevolmente, in quanto consapevolmente espressa nell'art. 7ter, un rinvio sul piano interpretativo alla definizione concettuale contenuta nell'art. 21-septies L. 241/90.