Il fatto che – dopo il Congresso di Bologna dell’ottobre 2022 interamente dedicato alla sostenibilità – il Congresso CNDCEC 2023 di Torino apra con due sessioni plenarie rivolte agli stessi temi non è figlio di una moda da assecondare o della compiacenza verso temi che appaiono accattivanti, specie per le giovani generazioni e per il vasto pubblico che guarda alle professioni contabili.
Le quali appaiono talora ancora un po’ “meravigliate” di doversi occupare di queste cose, che sembrano esogene al loro mondo, un mondo che ha:
nell’accounting una tradizione antica rivolta alle misurazioni contabili dei valori d’impresa;
nella ricerca del valore aziendale nel suo complesso un finalismo coerente.
È figlio invece di una constatazione che interpella il passato e che guarda al futuro. Interpella il passato perché le professioni contabili portano con sé la tradizione del capitalismo, quale è cresciuto nelle economie liberali.
Tanto in quelle che si sono ispirate a modelli più di tipo anglosassone, molto legati al mercato, quanto in quelle che si sono arricchite di contenuti di economia sociale, come la Soziale Marktwirtschaft tedesca, divenuta da molti anni un ricco terreno sperimentale, dove la compresenza di lavoro e capitale non ha alimentato solo i sistemi di produzione, ma ha rappresentato la base della stessa governance delle imprese.
E anche in queste economie, la cui idea non è stata facilmente condivisa da molti paesi nemmeno in Europa, la misurazione del valore diviene centrale, pur con le sue declinazioni, se è vero che in Germania proprio il “lavoro” è stato ampiamente destinatario degli incrementi di produttività che l’efficienza tedesca è stata in grado di generare, del valore creato dalle imprese, insomma.
Il nuovo ruolo professionisti contabili
Ovunque i professionisti contabili sono stati artefici della misurazione di quei valori e di quel valore: quella rivolta al mercato e al capitale, così come quella rivolta a governance allargate.
E gli strumenti approntati, fondati sulla financial accounting e organizzati in varie forme di financial reporting, hanno ben soddisfatto tali necessità. Lo testimoniano la pervasività del bilancio quale strumento di rendicontazione, funzionale a “reddere rationem” in quei capitalismi.
La situazione non cambia se si considera un modello di capitalismo come quello che la nostra storia ci racconta per i paesi latini e per l’Italia in particolare, dove il ruolo che la famiglia ha avuto, ha e avrà nel contesto delle imprese rende i professionisti veri fiduciari di quelle famiglie.
Sono i professionisti, infatti, i compagni di viaggio degli imprenditori nella ricerca di un valore da accrescere, di una continuità aziendale coessenziale alle loro ragioni di vita e di uno sviluppo che alcuni imprenditori sanno cogliere a vantaggio di loro stessi e delle comunità aziendali coinvolte. Qui, il professionista, misurando i valori d’impresa e il valore dell’impresa, aiuta l’imprenditore a capire se e quando rischiare, iuxta modum, per creare una ricchezza nuova. Per creare sviluppo.
Nulla di questo è passato in questi ultimi anni. Ma tutto questo sta profondamente cambiando.
Lo è per il prorompente affacciarsi di una nuova declinazione del capitalismo, che si rivolge non solo al mercato dei capitali (come nelle economie anglosassoni più tradizionali) o al dittico capitale-lavoro (come nella Soziale Marktwirtschaft tedesca) o alle famiglie (come da noi), ma che abbraccia più soggetti, anch’essi degni di essere parte di quello straordinario progetto che si chiama impresa. Ma che potrebbe essere e si potrebbe chiamare con tanti altri nomi, anche laddove il “capitale” non la fa da padrone: fondazione privata, azienda pubblica, istituzione pubblica, ente del terzo settore.
È – come qualcuno lo ha chiamato – il “capitalismo degli stakeholder”, che declina un mondo in cui l’interesse per chi vuole ricercare gli esiti dell’attività d’impresa (o di qualsiasi organizzazione) è di tutti. E quindi interpella la responsabilità della governance d’impresa verso temi che si allargano rispetto alla sola produzione di valori di risultato economico-finanziario o di valore d’impresa nel suo complesso. Perché indirizza quella responsabilità e quella governance verso l’impatto che le imprese hanno per tutti: innanzitutto l’ambiente e poi il sistema sociale, quest’ultimo non solo rivolto ai lavoratori ma allargato alle comunità tutte. L’acronimo ESG (environment, social, governance), da alcuni anni divenuto di uso comune, ha dietro di sé questa ricchezza e questa storia. E ha davanti nuove prospettive e nuove sfide.
La prima conseguenza è che per questo nuovo capitalismo i valori da ricercare sono anche “altri”, rispetto ai valori economico-finanziari e al valore d’impresa che rendevano affascinanti le professioni contabili nel “vecchio mondo”. Non diversi, ma altri. Perché misurare gli impatti che le imprese determinano in termini ambientali e sociali, o anche solo l’impatto che esse ricevono dalla considerazione dei temi ambientali e sociali, è una questione che può essere affrontata soltanto con una curiosità culturale forte e con una coerente devozione professionale.
La curiosità culturale deve essere alimentata dal convincimento che questa è una strada ineludibile, un “senso unico” dal quale ad oggi non pare possibile ritornare indietro. È il senso di una nuova modernità, di un mondo “post-contemporaneo” che ha la capacità di accompagnare il vecchio mondo, quello contemporaneo, verso nuove destinazioni.
La devozione professionale è quella di chi scopre che l’aggiornamento non è una nuova release di un programma già posseduto, un programma che si domina da tempo e per il quale la formazione ha una continuità coerente rispetto al passato. Qui la formazione ha un impatto forte e stravolgente perché declina nuove categorie, nuove logiche e nuovi valori, nuovi impatti e nuove modalità di misurazione: i valori dell’impatto ambientale e sociale dell’attività d’impresa e l’impatto delle variabili ambientali e sociali sul valore d’impresa.
Se i professionisti vogliono continuare a svolgere quelle funzioni ai quali gli imprenditori li hanno chiamati e li chiamano non possono pensare che tutto questo sia di altri, spetti ad altri soggetti. Perché altrimenti qualcun altro li sostituirà in questi processi e la fiducia che le famiglie imprenditoriali hanno loro riservato nel tempo sarà monca, se i professionisti non saranno capaci di cogliere il senso della nuova modernità, della “post-contemporaneità”.
Conclusioni
Non c’è più tempo da perdere. Presto i nuovi standard di rendicontazione predisposti dall’EFRAG e implementati dalla UE saranno operativi, e coinvolgeranno (dal 1° gennaio 2024) non solo le imprese che già da alcuni anni predispongono la dichiarazione non finanziaria (DNF). Coinvolgeranno (dal 1° gennaio 2025) le altre imprese medio-grandi non ancora abituate a questo, ma soprattutto coinvolgeranno le imprese delle diverse filiere produttive, anche le più piccole – pur non dovendo esse da subito predisporre il bilancio di sostenibilità – che dovranno raccontare ai loro clienti più grandi come esse si pongono rispetto a questi temi. E chi troveranno a loro fianco? Dove saranno i dottori commercialisti allora? Come preserveranno il ruolo di fiduciari dell’imprenditore riguardo ai nuovi temi? Come risponderanno a coloro che tenteranno di sostituirli in questi processi fiduciari? E come potranno aiutare i loro clienti nell’assecondare alle esigenze informative del mercato finanziario e degli istituti di credito che chiederanno alle imprese informazioni su questi aspetti?
Ecco perché fin da subito è necessario che i professionisti approfondiscano l’apparato dei nuovi strumenti di rendicontazione e dei nuovi standard di sostenibilità, e del bilancio di sostenibilità in particolare, che sarà parte della relazione sulla gestione, quella relazione che è “dominio” delle professioni contabili, con le sue sfaccettature tecniche e con le diverse sensibilità che la possono orientare.
Il corpus imponente dei principi EFRAG, implementati dal regolamento delegato approvato lo scorso 31 luglio 2023, il sistema degli standard internazionali della IFRS Foundation (S1 ed S2) approvati nel giugno 2023 nonché il diffuso campo dei molto praticati standard del GRI sempre in corso di aggiornamento sono le vie maestre da seguire per rendere operativa questa rivoluzione culturale e professionale.
Il CNDCEC ha inteso porsi al servizio dei professionisti stimolandoli a questo e, d’ora in poi, anche provvedendo alla formazione e alla redazione di molteplici strumenti di aiuto che verranno presto offerti alla attenzione dei commercialisti.
Accompagnare il passaggio al nuovo capitalismo “post-contemporaneo” equivale a tracciare la via di una rinnovata professione.
Giuffrè Francis Lefebvre è presente al Congresso Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili 2023.
Ti aspettiamo dal 18 al 20 ottobre al Lingotto di Torino allo Stand 39 per scoprire insieme le nuove soluzioni per i professionisti fiscali.