Il tema del “salario minimo” risulta oggi di grande attualità sia per il significativo incremento del costo della vita a cui solo in minima parte si riesce a far fronte con misure di aiuto statali, che per l'obbligo per i giudici di attuare il precetto del giusto salario costituzionale, alla luce delle indicazioni sovranazionali provenienti dall'Unione Europea e dall'ordinamento internazionale, contenute anche nella recente Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022 “relativa a salari minimi adeguati nell'Unione Europea termine”, in attesa del suo recepimento.
In mancanza del recepimento della direttiva comunitaria e in assenza di un “salario legale” come si può individuare correttamente il salario minimo?
Le indicazioni della Cassazione
La Cassazione, nella pronuncia n. 27711 del 2 ottobre 2022, fornisce alcune indicazioni accogliendo il ricorso del lavoratore e pronunciando i principi seguenti di diritto:
“1.- Nell'attuazione dell'art. 36 della Cost. il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art. 36 Cost., anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata.
2.- Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe.
3.- Nella opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost. il giudice, nell'ambito dei propri poteri ex art. 2099,2° comma c.c., può fare altresì riferimento, all'occorrenza, ad indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022.”
La giusta retribuzione
Nella pronuncia la Suprema Corte ribadisce che il parametro di riferimento da tenere a mente nel nostro ordinamento è l'articolo 36 della Costituzione che prevede il principio costituzionale della giusta retribuzione riconosciuto in capo ad ogni lavoratore.
In particolare, l'art. 36, della Costituzione garantisce due diritti distinti:
1- quello ad una retribuzione «sufficiente» che dà diritto ad «una retribuzione non inferiore agli standard minimi necessari per vivere una vita a misura d'uomo», ovvero ad «una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa». Il valore soglia di povertà assoluta viene calcolato ogni anno dall'Istat relativamente ad un paniere di beni e servizi essenziali per il sostentamento vitale differenziandolo in ragione dell'età, dell'area geografica di residenza del singolo e dei componenti della famiglia;
2- e quello ad una retribuzione «proporzionata» che garantisce ai lavoratori «una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell'attività prestata». Tali concetti di sufficienza e di proporzionalità mirano a garantire al lavoratore una vita non solo non povera ma persino dignitosa; orientando il trattamento economico non solo verso il soddisfacimento di meri bisogni essenziali, ma verso qualcosa in più che la recente Direttiva UE sui salari adeguati all'interno dell'Unione n. 2022/2041 individua nel conseguimento anche di beni immateriali ( “ oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio, si potrebbe tener conto anche della necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali”).
In altre parole, l'uno stabilisce «un criterio positivo di carattere generale», l'altro «un limite negativo, invalicabile in assoluto».
La valutazione del giudice
Ne consegue che il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art. 36 Cost.
Per la valutazione del giusto salario minimo costituzionale può operarsi anche un riferimento ad altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe, oltre che ad indicatori economici e statistici, in attuazione della Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022.
Non può, in altri termini, operare una presunzione relativa di corrispondenza ai principi costituzionali dei trattamenti economici previsti dai contratti collettivi, anche stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Orbene, i parametri individuati dalla giurisprudenza sono certamente di aiuto nell'individuazione del trattamento minimo retributivo, purtuttavia, rendono incerta la gestione del costo retributivo in quei settori che, pur applicando i contratti collettivi nazionali sottoscritti da OOSS comparativamente più rappresentative a livello nazionale, rischiano di vedere censurato tale trattamento in sede di contenzioso.
Pensando, quindi, a determinati settori non appare così ridondante la richiamata direttiva comunitaria, che garantirebbe comunque una giusta retribuzione – e una certezza del costo del lavoro – anche in quei settori in cui la contrattazione collettiva risulta inadeguata ai parametri dell'articolo 36.
Fonte: Cass. 2 ottobre 2023 n. 27711