martedì 26/09/2023 • 06:00
Il diritto del lavoratore che assiste un disabile grave al trasferimento deve essere compatibile con le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro. Il diritto non si configura come un diritto assoluto ma richiede un bilanciamento di interessi. A stabilirlo è la Cassazione, con l’ordinanza n. 26343 del 12 settembre 2023.
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Il caso trae origine dal ricorso presentato da una dipendente avverso la sua datrice di lavoro affinché, ai sensi dell'art. 33, c. 5, Legge 104/92, venisse assegnata alla sede di residenza del congiunto disabile o, comunque, a quella più prossima sull'assunto che non vi erano ragione ostative.
La dipendete, soccombente in primo grado, si rivolgeva alla Corte d'appello territorialmente competente che, in parziale accoglimento del ricorso presentato, dichiarava il suo diritto ad essere trasferita presso una sede prossima al congiunto, condannando la datrice di lavoro ai conseguenti adempimenti.
La società soccombente ricorreva così in cassazione, affidandosi a 3 motivi cui resisteva la lavoratrice con controricorso.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, investita della causa, ha innanzitutto osservato che il diritto del lavoratore che assiste con continuità un disabile in situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio ai sensi dell'art. 33, c. 5, Legge 104/92 può essere esercitato al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell'assunzione, in costanza di rapporto. Ciò si desume sia dal tenore letterale della disposizione normativa che dalla funzione solidaristica posta a tutela e a garanzia dei diritti del disabile previsti dalla Costituzione e dalla Convezione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratifica e resa esecutiva con la Legge 18/2009 (cfr. Corte Cassazione n. 6150/2019).
Le misure previste dall' art. 33, c. 5, Legge 104/92 devono intendersi, a parere della Corte di Cassazione, come “razionalmente inserite in un ampio complesso normativo – riconducibile all'art. 3, comma 2, Cost - che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l'assistenza familiare e, dall'altro, devono coesistere con altri valori costituzionali” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 24105/2017). Pertanto, continua la Corte di Cassazione, “le posizioni giuridiche soggettive in capo agli interessati (…) vanno individuate quali diritti soggettivi (e non interessi legittimi) ma richiedenti, di volta in volta, un bilanciamento necessario di interessi, con il relativo onera probatorio in capo al datore di lavoro” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 7120/2018).
Certamente, il diritto al trasferimento di cui all'art. 33, c. 5, Legge 104/92 deve essere compatibile con le “esigenze economiche, produttive o organizzative” del datore di lavoro e non è sufficiente la vacanza del posto a cui il lavoratore richiedente, familiare dell'handicappato, aspira. Tale condizione esprime una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa di coprirla. In sostanza, il diritto de quo non si configura come assoluto ed illimitato, in quanto l'inciso “ove possibile” contenuto nella disposizione richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto.
Nel caso in esame, ad avviso della Cassazione, i giudici di merito si sono proprio ispirati a tali principi, accertando che la società datrice, benché onerata, aveva omesso di fornire la prova che nel bilanciamento delle esigenze organizzative tra la sede richiesta e quella ricoperta vi erano ragioni che precludevano il trasferimento della lavoratrice.
Secondo la Cassazione, il diritto ad ottenere il trasferimento non era limitato nella sua estensione territoriale alla sola sede di residenza dell'invalido da assistere, dovendosi tenere conto delle aree limitrofe, nello specifico anche fuori regione, il cui interesse specifico era testimoniato dal fatto che la lavoratrice aveva presentato domande di trasferimento anche per tali sedi al fine di avvicinarsi.
In tale contesto era, quindi, onere della datrice di lavoro dimostrare che vi era una situazione di “eccedentarietà” tale da non consentire il trasferimento della lavoratrice in nessuna delle sedi prossime a quella di residenza dell'invalido da assistere. Invece, era stato accertato che, pur nella copertura delle sedi, la società aveva proceduto ad assegnazioni anche in esubero e ciò era sintomatico dell'insussistenza delle ragioni ostative al trasferimento la cui funzione è quella di assicurare speciale tutela a coloro che siano chiamati ad assistere familiari con disabilità.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato, condannando la lavoratrice al pagamento delle spese di giudizio.
Fonte: Cass. 12 settembre 2023 n. 26343
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