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martedì 26/09/2023 • 06:00

Impresa In vigore dal 10 ottobre

Efficienza energetica: la nuova direttiva UE tra inclusione e trasparenza

La direttiva UE 2023/1791 stabilisce un quadro comune di principi e misure per promuovere l’efficienza energetica nell’UE, al fine di garantire sia il conseguimento degli obiettivi in materia di efficienza energetica che la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, riducendo la dipendenza dalle importazioni.

di Andrea Quaranta - Environmental risk manager

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  • Tempo di lettura 11 min.
  • Ascolta la news 5:03

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È stata finalmente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale UE del 20 settembre 2023 la nuova direttiva sull’efficienza energetica o, per meglio dire, la rifusione di quella precedente, al fine di rendere più intellegibile la normativa a seguito delle “varie e sostanziali modifiche” intervenute in questi anni, compresa quella che ha originato la necessità di ristrutturare l’impalcatura legislativa.

Un primo commento a caldo

La nuova direttiva stabilisce:

  • un quadro comune di misure per promuovere l’efficienza energetica nell’Unione, al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi in materia e di contribuire alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, riducendone la dipendenza dalle importazioni di energia);
  • norme idonee a rendere l’efficienza energetica una priorità in tutti i settori, a rimuovere gli ostacoli sul mercato dell’energia e a superare i fallimenti del mercato che frenano l’efficienza nella fornitura, nella trasmissione, nello stoccaggio e nell’uso dell’energia.

In questo contributo forniremo un primo commento a caldo della direttiva (pubblicata il 20 settembre 2023), riservandoci di approfondire successivamente alcuni aspetti di uno dei “trending topic” degli ultimi anni: l’efficienza energetica.

Il principio dell’efficienza energetica al primo posto

L’«efficienza energetica al primo posto» è quel principio che prevede di tenere nella massima considerazione, nelle decisioni di pianificazione energetica, di politica e di investimento, le misure alternative di efficienza energetica efficienti in termini di costi volte a rendere più efficienti la domanda e la fornitura di energia, in particolare per mezzo di risparmi negli usi finali dell’energia efficienti in termini di costi, iniziative di gestione della domanda, e una maggiore efficienza nella conversione, trasmissione e distribuzione di energia, che consentano comunque di conseguire gli obiettivi di tali decisioni.

La direttiva, che prevede la fissazione di contributi nazionali indicativi in materia di efficienza energetica per il 2030, contribuisce all’attuazione del principio che pone l’efficienza energetica al primo posto, “aiutando così anche a trasformare l’Unione in una società inclusiva, giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva”.

Fra i molti compiti che gli Stati membri dovranno svolgere, spiccano quelli relativi:

  • alla valutazione di soluzioni di efficienza energetica (ivi comprese le risorse sul versante della domanda e la flessibilità del sistema) sia nelle decisioni strategiche e di pianificazione che in quelle relative ai grandi investimenti (quelli di valore superiore a 100.000.000 di € o a 175.000.000 di € per i progetti di infrastrutture di trasporto nei sistemi energetici e nei settori non energetici, ove essi incidano sul consumo di energia e sull’efficienza energetica);
  • all’«alleviamento della povertà energetica»;
  • all’individuazione dei soggetti responsabili del monitoraggio dell’applicazione del principio «l’efficienza energetica al primo posto»;
  • all’applicazione di metodologie di analisi costi-benefici in grado di “valutare adeguatamente i benefici più ampi delle soluzioni di efficienza energetica”.

Nel fissare i rispettivi contributi nazionali indicativi di efficienza energetica gli Stati membri tengono conto:

  1. dell’obiettivo dell’Unione relativo al consumo di energia finale nel 2030 (che non deve essere superiore a 763 Mtep), e di quello relativo al consumo di energia primaria, che non deve essere superiore a 992,5 Mtep;
  2. delle misure previste dalla direttiva e di quelle intese a promuovere l’efficienza energetica negli Stati membri e a livello di Unione;
  3. di qualsiasi fattore pertinente che influisca sugli sforzi di efficientamento (le azioni e gli sforzi tempestivi in materia di efficienza energetica; la distribuzione equa degli sforzi nell’Unione; l’intensità energetica dell’economia; le rimanenti possibilità di risparmi energetici efficaci in termini di costi);
  4. di altre circostanze nazionali che incidano sul consumo di energia (a mero titolo di esempio: le variazioni nelle importazioni ed esportazioni di energia; l’evoluzione del mix energetico e la diffusione di nuovi combustibili sostenibili; lo sviluppo di tutte le fonti rinnovabili, dell’energia nucleare, della cattura e dello stoccaggio del carbonio; la decarbonizzazione delle industrie ad alta intensità energetica; etc…)

Le analisi costi -benefici

Nella scelta delle metodologie, occorrerà tener conto dell’intero ciclo di vita e della prospettiva a lungo termine, dell’efficienza del sistema e dei costi, della sicurezza dell’approvvigionamento e della quantificazione dal punto di vista sociale, sanitario, economico e della neutralità climatica nonché dei principi della sostenibilità e dell’economia circolare nella transizione verso la neutralità climatica.

Nell’applicare il principio «l’efficienza energetica al primo posto», gli Stati membri devono promuovere e, ove siano necessarie analisi costi-benefici, garantire l’applicazione di metodologie di analisi costi-benefici che consentano, se del caso, di valutare adeguatamente i benefici più ampi delle soluzioni di efficienza energetica, e devono renderle pubbliche.

Tale tipologia di analisi deve essere svolta anche nella valutazione:

  • globale del riscaldamento e del raffrescamento, che ogni Stato membro deve presentare nell’ambito del proprio piano nazionale integrato per l’energia e il clima: ai fini della valutazione globale, infatti, gli Stati membri devono effettuare un’analisi costi-benefici relativa al loro territorio in base alle condizioni climatiche, la fattibilità economica e l’idoneità tecnica. Lo scopo è quello di agevolare l’individuazione delle soluzioni più efficienti in termini di uso delle risorse e di costi in modo da soddisfare le esigenze in materia di riscaldamento e raffrescamento;
  • della fattibilità economica dell’aumento dell’efficienza energetica della fornitura di calore e raffrescamento.
  • In questo caso, le analisi costi-benefici comportano un’analisi economica che “contempla un’analisi finanziaria che rispecchia le effettive transazioni di flussi di cassa connesse con gli investimenti in singoli impianti e con il loro funzionamento”.

I progetti con risultati positivi in termini di costi/benefici sono quelli in cui la somma dei benefici attualizzati nell’analisi economica e finanziaria supera la somma dei costi attualizzati (surplus costi-benefici).

Lo Stato deve dare l’esempio

Gli Stati membri – si legge nei “considerando” – dovrebbero svolgere un «ruolo esemplare», assicurando che “tutti i contratti di rendimento energetico, gli audit energetici e i sistemi di gestione dell’energia siano eseguiti nel settore pubblico in linea con le norme europee o internazionali, o che nei comparti del settore pubblico ad alta intensità energetica si faccia ampio ricorso agli audit energetici”.

Sono tre le modalità con le quali gli Stati membri dovrebbero “dare l’esempio” di virtuosità energetica:

  1. la prima è quella di «ruolo guida» che il settore pubblico dovrebbe svolgere in materia di efficienza energetica (il consumo complessivo di energia finale degli enti pubblici, nel loro insieme, dovrà essere ridotto almeno dell’1,9 % l’anno rispetto al 2021, con ampia libertà lasciata agli Stati circa le modalità attuative con le quali raggiungere questo obiettivo minimal);
  2. la seconda, invece, riguarda il «ruolo esemplare» degli edifici degli enti pubblici (in questo caso, l’«obiettivo (minimal) garantito» è il raggiungimento di una quota annuale di ristrutturazione pari al 3% della superficie coperta utile totale degli edifici riscaldati e/o raffrescati di proprietà, per “trasformarli in edifici a emissioni zero o quanto meno in edifici a energia quasi zero”);
  3. la terza, infine, prevede (per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori che concludono contratti pubblici di appalto e concessione di valore pari o superiore a specifiche soglie) l’acquisto esclusivo di prodotti, servizi, edifici e lavori ad alta efficienza energetica, salvo nei casi in cui ciò non sia tecnicamente fattibile.

L’efficienza nell’uso e nella fornitura dell’energia

L’efficienza nell’uso dell’energia deve essere raggiunta attraverso una serie di misure, che possono essere sintetizzate con alcune parole chiave:

  • obblighi (di risparmio energetico, innanzitutto; di adozione di regimi di efficienza energetica e di “lettura da remoto”);
  • misure politiche alternative (ai regimi obbligatori di efficienza energetica);
  • sistemi di gestione e audit energetici (obbligatorio per le imprese con un consumo annuo medio di energia superiore a 85 TJ nei tre anni precedenti, considerati tutti i vettori energetici);
  • informazioni e data center.
  • In generale, la direttiva prevede specifiche informazioni di fatturazione, consumo e costi dell’accesso alle stesse.

L’efficienza nella fornitura di energia, invece, prevede, oltre alla valutazione e alla pianificazione del riscaldamento e del raffrescamento, anche:

  • i criteri che i sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento devono soddisfare per garantire un consumo più efficiente dell’energia primaria e aumentare la quota di energia rinnovabile nella fornitura di riscaldamento e raffrescamento immessa nella rete;
  • le modalità con le quali gli Stati membri dovranno esercitare le funzioni di regolatori.

Il minimal

I requisiti stabiliti dalla direttiva sono – sottolinea il legislatore comunitario – “minimi”, e non impediscono certo ai singoli Stati membri di mantenere o introdurre misure più rigorose, purché conformi al diritto dell'Unione.

Negli allegati la direttiva specifica i requisiti minimi (in larga parte di tipo informativo) in materia di:

Il settore delle TIC è un altro settore importante che riceve crescente attenzione.

Nel 2018 il consumo di energia dei centri dati nell'Unione è stato di 76,8 TWh, e si prevede che entro il 2030 salirà a 98,5 TWh, con un aumento del 28%. Tale aumento in termini assoluti, si sottolinea nella direttiva, “può essere visto anche in termini relativi: nell'Unione i centri dati hanno generato il 2,7 % della domanda di energia elettrica nel 2018 e, se il loro sviluppo prosegue sulla traiettoria attuale, raggiungeranno il 3,21 % entro il 2030. La strategia digitale dell'Unione ha già evidenziato la necessità di centri dati ad elevata efficienza energetica e sostenibili e ha sollecitato misure di trasparenza per gli operatori delle telecomunicazioni in merito alla loro impronta ambientale”.

  • monitoraggio e pubblicazione della prestazione energetica dei data center (entro il 15 maggio 2024, e successivamente con cadenza annuale, gli Stati membri impongono ai titolari e ai gestori di centri dati sul loro territorio con una domanda di potenza di tecnologia dell'informazione installata pari ad almeno 500 kW di rendere pubbliche le informazioni elencate nell’allegato VII);
  • fatturazione e informazioni di fatturazione basata sul consumo effettivo di gas naturale (la direttiva contiene anche alcuni “consigli utili” in merito ai “luoghi” nei quali dove i clienti possono ottenere “informazioni e consigli sulle misure di efficienza energetica disponibili, profili comparativi sui loro consumi di energia, nonché le specifiche tecniche delle apparecchiature a energia al fine di ridurre il consumo delle stesse”);
  • informazioni di fatturazione e consumo per riscaldamento, raffrescamento e acqua calda per uso domestico, che devono essere fornite con unna frequenza “minima”.

“Minimi” sono anche i criteri per gli audit energetici, compresi quelli realizzati nel quadro dei sistemi di gestione dell’energia.

La responsabilizzazione dei consumatori

L’informazione è il trait d’union con la successiva normativa che pone al centro la responsabilizzazione dei consumatori: la direttiva, infatti, rafforza la tutela dei consumatori introducendo diritti contrattuali di base per il teleriscaldamento, il teleraffrescamento e l’acqua calda per uso domestico, in coerenza con il livello dei diritti, della protezione e della responsabilizzazione che la direttiva (UE) 2019/944 ha introdotto per i clienti finali nel settore dell’energia elettrica.

I consumatori, infatti, dovrebbero poter disporre di informazioni semplici e univoche sui loro diritti, e l’introduzione di diritti contrattuali di base può contribuire, tra l’altro:

  • alla corretta comprensione dell’assunto di base della qualità dei servizi offerti dal fornitore nel contratto;
  • a ridurre al minimo i costi nascosti o supplementari che potrebbero derivare dall’introduzione di servizi aggiornati o nuovi dopo la firma del contratto senza una chiara comprensione e un accordo da parte del cliente.

Ecco, allora, che la direttiva stabilisce:

  • i contenuti (minimi?) del contratto che i clienti finali hanno il diritto di avere;
  • le modalità attraverso le quali gli Stati membri, in collaborazione con le autorità regionali e locali, se del caso, dovranno far sì che le informazioni sulle misure di miglioramento dell’efficienza energetica, sulle azioni individuali e sui quadri finanziari e giuridici disponibili siano trasparenti, accessibili e divulgate largamente a tutti i pertinenti attori del mercato;
  • che, nel caso in cui i partenariati esistenti non contemplino a sufficienza l’efficienza energetica, la Commissioni ne istituisca di specifici, con sotto-partenariati per ciascun settore mancante, in grado di riunire i principali portatori di interessi, tra cui le parti sociali, in settori quali TIC, trasporti, finanze ed edilizia, in modo inclusivo e rappresentativo;
  • che gli Stati membri adottano le misure appropriate per responsabilizzare e tutelare le persone in condizioni di povertà energetica, i clienti vulnerabili, le persone appartenenti a famiglie a basso reddito e, se del caso, le persone che vivono negli alloggi sociali.
La «povertà energetica» è l’impossibilità, per una famiglia, di accedere a servizi energetici essenziali che forniscono livelli basilari e standard dignitosi di vita e salute, compresa un’erogazione adeguata di riscaldamento, acqua calda, raffrescamento, illuminazione ed energia per alimentare gli apparecchi, nel rispettivo contesto nazionale, della politica sociale esistente a livello nazionale e delle altre politiche nazionali pertinenti, a causa di una combinazione di fattori, tra cui almeno l’inaccessibilità economica, un reddito disponibile insufficiente, spese elevate per l’energia e la scarsa efficienza energetica delle abitazioni.

Fonte: Dir. UE 2023/1791 (GU UE 20 settembre)

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