martedì 05/09/2023 • 06:00
Le speranze riposte in bioeconomia, biotecnologia e scelte politiche (PNRR) per imparare a disaccoppiare lo sviluppo dall’uso delle risorse naturali, mentre i dati del Global Risk Report 2023 confermano la crescita esponenziale dell’accumulo di sostanze inquinanti e del fabbisogno di materie prime.
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Sull’autostrada per l’inferno climatico, con il piede sull’acceleratore
Nell’affermare che “il 2022 è stato un altro anno di inusitata complessità, particolarmente sfidante per il numero e l’intensità di fenomeni esponenziali e per la loro velocità di mutamento, sia sul piano generale, che per il settore della Bioeconomia circolare”, il Segretario Generale dell’ONU Guterres ha efficacemente rappresentato la situazione: «siamo su un’autostrada per l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore».
Complessità e velocità, se mal gestite, portano “dritto-dritto” là: i dati che emergono al Global Risk Report del 2023 ci danno “la misura dello spazio sempre più limitato che l’uomo lascia alla natura” e documentano la crescita esponenziale dell’accumulo di sostanze inquinanti e del fabbisogno di materie prime.
I rischi Nel futuro (che in parte già adesso…), i rischi maggiori potranno essere causati dal fallimento delle politiche e delle misure per mitigare e adattare il cambiamento climatico, per fermare la perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi, per scongiurare l’instabilità sociale e l’aumento dei flussi migratori, senza contare le questioni etiche poste dalle nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, le biotecnologie, la digitalizzazione in relazione alla gestione dei big data e alla tutela della privacy. |
Le materie prime sono scarse, e non dallo scoppio della guerra in Ucraina o dal lockdown: le cause vanno ricercate più in là nel tempo.
Nell’attuale scenario, che presenta rischi ma anche opportunità che dovremo saper cogliere se vorremo rilanciare le sostenibilità (su tutte, quella ambientale, sociale ed economica) è, e sarà sempre di più, essenziale disaccoppiare lo sviluppo dall’uso delle risorse naturali, imparando a “fare di più con meno”.
La bioeconomia e il fattore tempo
Il fattore tempo è fondamentale, anche per fare quel salto culturale imprescindibile per cambiare rotta.
Ma anche la scelta del «cosa» (e del «come») fare, è vitale.
In questo contesto, il ruolo della Bioeconomia è cruciale: il crescente ricorso a input di natura bio-based (biologici e rinnovabili) consente, infatti, di ridurre l’utilizzo di risorse non rinnovabili, garantendo una maggiore efficienza e la sostenibilità delle filiere.
La pandemia globale, infatti, ha rivelato le fragilità dell’attuale modello di produzione e consumo, spingendo ad adottare approcci sostenibili che tengano conto della necessità di integrare la prospettiva sociale, economica e ambientale.
La Bioeconomia propone proprio di stabilire un nuovo equilibrio tra queste dimensioni, e si sta confermando un «meta-settore» rilevante per la nostra economia, che potrà avere prospettive di sviluppo ancora più importanti, se saremo in grado di riconoscere il suo valore all’interno della legislazione europea sulla transizione ecologica e degli investimenti previsti nel PNRR.
La bioeconomia (fonte: Europe’s Bioeconomy Strategy) è “la produzione di risorse biologiche rinnovabili e la trasformazione di tali risorse e dei rifiuti della loro produzione in prodotti a valore aggiunto quali alimenti, mangimi, bioprodotti e bioenergia”. Pilastro della transizione ecologica, la bioeconomia circolare è in grado di contribuire all’implementazione del Green New Deal, decarbonizzando l’economia, diminuendo l’utilizzo di risorse non rinnovabili e massimizzando l’efficienza e la sostenibilità di quelle rinnovabili. |
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I numeri della bioeconomia |
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1.740 |
I miliardi di euro generati dalla bioeconomia in Europa |
7.600.000 |
Le persone occupate nel settore della bioeconomia |
3° |
Il posto occupato dall’Italia in Europa |
415,3 miliardi di € |
Output italiano stimato nel 2022 |
1° e 2° |
I posti occupati rispettivamente da Germania (583,3 miliardi di €) e Francia (452 miliardi di €) |
11% |
Quota della bioeconomia nel mercato italiano |
Il ruolo della Bioeconomia nel Bel Paese, e il lavoro ancora da fare
Nel settore della Bioeconomia il nostro Paese – che già possiede non solo competenze all’avanguardia ed impianti primi nel loro genere, ma anche una serie di bio-prodotti unici e in continua evoluzione a servizio delle filiere del Made in Italy e del Made in EU, oltre a progetti di territorio che hanno già dimostrato di essere in grado di disaccoppiare sviluppo e uso di risorse – si è dotato di un “Piano d’azione (2020-2025) per l’attuazione della strategia italiana per la bioeconomia”, che descrive:
Le quattro linee generali d’intervento:
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Tuttavia, affinché la Bioeconomia possa esprimere a pieno il proprio impatto sul sistema socio-economico italiano, occorre, secondo il Piano:
Le biotecnologie per una nuova «rivoluzione industriale»
Le biotecnologie sono una delle principali leve innovative della bioeconomia: le principali applicazioni biotecnologiche nella Bioeconomia sono nell’area della Agricoltura e dell’Industria e Ambiente.
Biotecnologia (biotech) è un termine generico con il quale si indicano tutte le applicazioni tecnologiche della biologia e quei processi che, usando sistemi biologici e organismi viventi, riescono a generare prodotti o processi nuovi o modificati. L’impiego tipico delle biotecnologie riguarda l’uso di microrganismi per il settore agroalimentare, oppure nello smaltimento di rifiuti organici, oltre che nel settore farmaceutico e medico: della grande branca delle biotecnologie fanno parte anche lo sviluppo e l’impiego di OGM. |
Il recente «Rapporto BioInItaly 2023 - Le imprese di biotecnologie in Italia. Aggiornamento congiunturale 2023» sulle imprese di biotecnologie in Italia di Assobiotec ed ENEA ha evidenziato che il comparto ha vissuto una forte crescita del fatturato nel 2021 e si attende un consolidamento del dato per il 2022.
I numeri del biotech in Italia |
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800 |
Le imprese |
13.700 |
Gli addetti |
13 miliardi |
Il fatturato |
74% |
Il peso delle biotecnologie per la salute |
30% |
Tasso di crescita annuale nel biennio 2021-2022 |
50% |
La percentuale del biotech concentrata nell’ambito della salute umana |
82% |
Micro e piccole imprese |
8 |
Le grandi imprese del biotech (>250 dipendenti) |
90% 80% |
Le percentuali, rispettivamente, del fatturato e del peso degli investimenti delle prime 4 regioni del biotech (Lombardia, Lazio, Toscana e Piemonte) |
L’Italia del biotech, ha commentato il Presidente di Assobiotec-Federchimica, “ha numeri ancora piccoli, quando paragonati ad altri Paesi con cui pure siamo in competizione, ma uno straordinario potenziale se consideriamo che un recente studio EY ci dice che a livello globale il biotech triplicherà il proprio valore fra il 2020 e il 2028” (globalmente da 485 mld€ a 1.447 mld€, in Europa da 137 mld€ a 418 mld€).
Finalmente, prosegue, “nel nostro Paese ci sono oggi diversi elementi che possono far crescere e correre il settore:
Anche l’Italia avrà un Piano Nazionale per le Biotecnologie: l’annuncio-traguardo
L’annuncio del ministro è arrivato lo scorso 31 maggio nella cornice dell’Assemblea pubblica di Assobiotec: il Ministero delle Imprese e del Made in Italy – questo è il messaggio – “è al lavoro per dotare l’Italia di un Piano industriale per il biotech. Un traguardo importante per una tecnologia che è motore di innovazione delle Life science e della Bioeconomia meta settori che sommati, in Italia, valgono circa il 20 del PIL Nazionale”.
Una “scelta obbligata”, perché l’agenda è dettata da altri Stati che hanno giocato d’anticipo:
Da noi, al momento, soltanto un annuncio, definito tuttavia “traguardo”, invece che un (“pre”) punto di partenza…
Un errore di prospettiva (anche comunicativa), perché la sostenibilità non è un traguardo, ma un obiettivo in perenne movimento, come l’utopia descritta da Eduardo Galeano…
“L'utopia è là nell'orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino 10 passi e l'orizzonte corre 10 passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l'utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare”. |
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