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giovedì 21/09/2023 • 06:00

Impresa Transizione ESG

Rendicontazione di sostenibilità: le modifiche alla Direttiva due diligence

Continua l’iter della proposta di Direttiva due diligence delle imprese ai fini della sostenibilità, l’obbligo di comunicare informazioni di carattere non finanziario, incluse procedure di dovuta diligenza. Il Parlamento UE suggerisce approccio One Health, analisi di contesto e due diligence di gruppo.

di Andrea Quaranta - Environmental risk manager

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  • Tempo di lettura 9 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Le procedure di dovuta diligenza

Tutti parlano di sostenibilità: il problema è “come” se ne parla.

L’Europa, ad esempio, negli ultimi anni ha emanato una serie di provvedimenti in materia societaria che non solo hanno introdotto alcuni principi di sostenibilità, ma hanno anche previsto l’obbligo – per determinate imprese – di dover comunicare informazioni di carattere non finanziario in specifici ambiti, fra i quali spiccano “le politiche, comprese le procedure di dovuta diligenza” (la c.d. due diligence).

Questa è una delle considerazioni contenute nei considerando della direttiva che, a fine 2022, ha modificato quei provvedimenti in materia societaria, rendendoli ancora più green.

Considerazioni sulla due diligence a latere della direttiva che ha introdotto la sostenibilità nei principi di rendicontazione societaria

A livello di gruppo

È necessario che le holding che comunicano informazioni a livello di gruppo assicurino un’adeguata comprensione dei rischi e degli impatti delle loro controllate, comprese, se del caso, informazioni sulle loro procedure di dovuta diligenza.

L’approfondimento

Gli obblighi di rendicontazione dovrebbero essere precisati in maniera sufficientemente dettagliata per garantire che le imprese comunichino informazioni sulla loro resilienza relative ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità.

Le imprese dovrebbero essere tenute a comunicare:

  • informazioni sulla loro strategia aziendale e sulla resilienza del modello e della strategia aziendali relative ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità;
  • eventuali piani per garantire che il loro modello e la loro strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile.

La coerenza

Per garantire la coerenza con gli strumenti internazionali (fra i quali le linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali e le linee guida dell’OCSE sul dovere di diligenza per la condotta responsabile delle imprese), gli obblighi di comunicazione delle procedure di dovuta diligenza dovrebbero essere precisati in maggior dettaglio

La catena del valore

Le procedure di dovuta diligenza riguardano l’intera catena del valore dell’impresa, comprese le sue attività, i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e le sue catene di fornitura.

Sovrapponibilità e settorialità

Le imprese dello stesso settore sono spesso esposte a rischi simili legati alla sostenibilità e spesso hanno un impatto simile sulla società e sull’ambiente. I confronti tra imprese dello stesso settore sono particolarmente utili per gli investitori e per altri utilizzatori delle informazioni sulla sostenibilità.

I principi di rendicontazione di sostenibilità settoriali sono particolarmente importanti nel caso di settori associati ad elevati rischi di sostenibilità per l’ambiente, i diritti umani e la governance.

La nuova rendicontazione di sostenibilità

Sulla base delle considerazioni, sopra sintetizzate, il legislatore europeo ha modificato la precedente disciplina sulla rendicontazione finanziaria, introducendo al suo interno le procedure di dovuta diligenza, che le aziende di maggiori dimensioni devono attuare per individuare, monitorare, prevenire, mitigare, rimediare o porre fine ai principali impatti negativi, effettivi e potenziali, legati alle loro attività e per porvi rimedio, e identificano la modalità con cui le imprese le affrontano.

Le procedure di dovuta diligenza fanno parte delle informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione, che le imprese tenute devono includere nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità.

Tali informazioni devono includere, infatti, oltre alla descrizione:

  • del modello e della strategia aziendali dell’impresa (che deve indicare la relativa resilienza in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità; le opportunità per l’impresa connesse alle questioni di sostenibilità; i piani dell’impresa atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile);
  • degli obiettivi temporalmente definiti connessi alle questioni di sostenibilità;
  • del ruolo degli organi;
  • delle politiche dell’impresa;
  • dei rischi;
  • degli indicatori pertinenti per la comunicazione delle informazioni.

anche quella delle procedure di dovuta diligenza e dei principali impatti negativi (effettivi o potenziali) legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura, delle azioni intraprese per identificare e monitorare tali impatti.

I principi: la Commissione UE ha tempo fino al 30 giugno 2024

La Commissione europea ha tempo fino al 30 giugno 2024 per specificare le ulteriori informazioni complementari che le imprese sono tenute a comunicare in relazione alle questioni di sostenibilità e agli ambiti di rendicontazione, con particolare riferimento allo specifico settore in cui operano.

Nel frattempo, la direttiva specifica quali sono i principi che devono ispirare la rendicontazione di sostenibilità:

  • assicurare la qualità delle informazioni comunicate (devono essere comprensibili, pertinenti, verificabili, comparabili e rappresentate fedelmente);

Le informazioni che le imprese sono tenute a comunicare riguardo ai fattori ambientali:

  • la mitigazione dei cambiamenti climatici, anche per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra;
  • l’adattamento ai cambiamenti climatici;
  • le risorse idriche e marine;
  • l’uso delle risorse e l’economia circolare;
  • l’inquinamento;
  • la biodiversità e gli ecosistemi.
  • evitare di imporre alle imprese un onere amministrativo sproporzionato, anche tenendo conto, nella misura più ampia possibile, dell’attività svolta nell’ambito di iniziative di normazione a livello internazionale in materia di rendicontazione di sostenibilità;
  • specificare, da un lato, le informazioni che le imprese sono tenute a comunicare riguardo a specifici fattori ambientali, sociali, di diritti umani e di governance e, dall’altro, le informazioni prospettiche, retrospettive, qualitative e quantitative, a seconda dei casi, che le imprese sono tenute a comunicare.

Direttiva due diligence e l’effetto trascinamento

Gli attori principali della due diligence saranno le grandi aziende, che dovranno, tuttavia, trascinare le PMI della loro catena del valore, valutando i relativi rapporti d’affari in ottica risk-based per individuare, prevenire e arrestare/attenuare i succitati impatti negativi:

  • non limitandosi ad includere generiche clausole etiche nei contratti con le controparti, o a certificazioni di sostenibilità,
  • ma valutando preventivamente il grado ragionevole di possibilità che i partner commerciali rispettino i principi, sopra sintetizzati, e
  • intervenendo, in caso di impatti negativi, affinché i partner reprobi adottino misure adeguate a prevenire o rimediare a tali impatti.

Insomma, viene chiesto alle grandi aziende un ruolo proattivo di diffusione dei principi di sostenibilità, sulla scia di quelli che regolano la CSR, la Corporate Social Responsibility.

Le novità suggerite dal Parlamento UE

Poche settimane fa il Parlamento UE ha iniziato il suo “processo di miglioramento” della proposta di direttiva relativa alla Due Diligence delle imprese ai fini della sostenibilità.

Le principali novità suggerite dal Parlamento UE consistono:

“One Health”, come definito dall’Organizzazione mondiale della sanità, è un «approccio integrato e unificante che mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi»: in sostanza, la salute degli esseri umani e quella degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale, compresi gli ecosistemi, sono strettamente interconnesse e interdipendenti.

  • nel riconoscimento dell’approccio “One Health” (ponendo il settore sanitario al centro della nuova strategia sull’adattamento ai cambiamenti climatici),
  • nell’analisi del contesto (il contesto, nella sua più ampia accezione, infatti, determina la significatività dell’impatto: per questo motivo occorre considerare anche il “contesto corporate”);
  • nella disciplina della diligenza a livello di gruppo (alle società madri il compito di intraprendere azioni che possano contribuire al dovere di diligenza delle loro affiliate);

con un focus sui provvedimenti da adottare, sugli aspetti contrattuali, sulla necessità di un piano di transizione e sulla necessità di dialogo costruttivo.

Le criticità della Direttiva due diligence: si fa presto a dire sostenibilità

Tutto molto bello, e molto condivisibile.

Ma c’è più di un problema da risolvere, che lo stesso legislatore UE (sembra solo) ipotizza(re):

  • i costi amministrativi, innanzitutto (evitare di imporre alle imprese un onere amministrativo sproporzionato);
  • la difficoltà che le imprese potrebbero incontrare nella raccolta di informazioni presso i vari soggetti della loro catena del valore;
  • il contesto globale di riferimento;
  • il difficile equilibrio da ricercare nella regolazione degli aspetti contrattuali (spesso, infatti, le condizioni contrattuali sono imposte a un fornitore unilateralmente da parte di un acquirente, e qualsiasi violazione delle stesse potrebbe presumibilmente comportare un’azione unilaterale da parte dell’acquirente quali una cessazione o un disimpegno: tale azione unilaterale, sottolinea il Parlamento, “non è adeguata nel contesto del dovere di diligenza e provocherebbe probabilmente in quanto tale impatti negativi”.

Senza contare i costi economici.

Già, perché i conti bisogna farli con l’oste: perché, se è vero che la finalità di tutto l’apparato normativo è condivisibile (è innegabile che imprima una forte accelerazione verso la transizione ESG), è altrettanto vero che le divere economie mondiali viaggiano a “diverse velocità ESG”, e – soprattutto – tanti altri interrogativi a cui occorre non solo e non tanto dare una risposta teorica, ma trovare una soluzione pratica.

Quali leve potrebbero avere le aziende europee nei confronti di fornitori che, a titolo di esempio, utilizzano massicciamente il carbone?

È possibile, o anche solo ipotizzabile, sospendere o addirittura cessare i contratti in essere? Con quali conseguenze economiche sulle società europee? Come potrà, tale situazione, influire sull’accesso al mercato dei capitali da parte dell’azienda europea?

Come si può vedere, si fa presto a parlare di sostenibilità…

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