La Legge 111/2023 di riforma del sistema fiscale, tra le altre disposizioni, all'articolo 17, recante principi e criteri direttivi in materia di procedimento accertativo, di adesione e di adempimento spontaneo, contempla l'applicazione generalizzata del principio del contraddittorio preventivo.
Segnatamente, la legge prevede addirittura la nullità degli atti che dovessero essere emessi in assenza del previo contraddittorio, “fuori dei casi dei controlli automatizzati e delle ulteriori forme di accertamento di carattere sostanzialmente automatizzato”.
Al netto della conventio ad excludendum prevista per controlli e accertamenti automatizzati, la disposizione è certamente da salutare con favore in quanto potrebbe evitare procedimenti accertativi sia per correzione del tiro da parte dell'Amministrazione finanziaria sia per condiscendenza del contribuente, dinanzi alla fondatezza della pretesa in fieri.
Il “superamento” dell'art. 5-ter D.Lgs. 218/97
Il nostro ordinamento attualmente prevede una forma di contraddittorio preventivo, disciplinata dall'art. 5-ter D.Lgs. 218/97 entrato in vigore il 1° luglio 2020, piuttosto in sordina per le note vicende dell'emergenza pandemica.
Tale disposizione, rubricata “invito obbligatorio”, oltre a prevedere una nutrita serie di circostanze per le quali l'obbligo non trova applicazione non prevede alcuna sanzione di nullità per l'atto accertativo che, dovendo incorrere nel previo contraddittorio, viene invece emanato direttamente e in violazione della disposizione in parola.
A poco vale che il quinto comma dell'articolo in esame sancisca come il mancato avvio del contraddittorio “comporta l'invalidità dell'avviso di accertamento”, in quanto il contribuente, in un caso del genere, è onerato della cosiddetta “prova di resistenza” da produrre dinanzi al giudice tributario con la dovuta conseguente impugnazione.
Pertanto, l'invalidità dell'atto potrà essere dichiarata soltanto se “il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato”: vale a dire, insomma, che l'inefficienza e la violazione di legge perpetrate dall'Amministrazione finanziaria si traducono in un adempimento a carico del contribuente che i giudici, peraltro, ancora faticano a ritenere assolto con la proposizione dei motivi di ricorso.
Un passo in avanti: a metà, però
La legge delega va quindi nella giusta direzione di tutelare il contribuente, prevedendo la sanzione espressa della nullità nel caso in cui lo stesso venga raggiunto “direttamente” da un avviso di accertamento.
Non solo: anche il procedimento di contraddittorio pare ispirato all'effettività, laddove viene previsto un termine non inferiore a sessanta giorni a favore del contribuente per formulare osservazioni sulla proposta di accertamento.
E sin qui tutto bene.
La legge delega prosegue prevedendo l'ulteriore obbligo, a carico dell'ente impositore, “di formulare espressa motivazione sulle osservazioni formulate dal contribuente”, senza però contemplare la sanzione espressa di nullità degli atti emessi, sostanzialmente, inaudita altera parte.
La questione non è di poco conto, atteso che la giurisprudenza di legittimità dominante ritiene che la mancata esposizione nell'atto impositivo delle osservazioni promosse dal contribuente nell'ambito di un procedimento contraddittorio non determina la sanzione di nullità o di invalidità dell'accertamento a carico dell'ente impositore.
Su tutte, è sufficiente ricordare le pronunce della Cassazione n. 8378/2017 e n. 20781/2016 con le quali è stato sancito come “all'obbligo dell'Amministrazione Finanziaria di “valutare” le osservazioni presentate dal contribuente ai sensi dell'art. 12, c. 7, Legge 212/2000 non si aggiunge l'ulteriore obbligo di esplicitare detta valutazione nell'atto impositivo, a pena di nullità», atteso che “la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tali da impedire la produzione di ogni effetto” o, ancora, la n. 29487/2018 con quale è stato affermato che “la lesione del contraddittorio endoprocedimentale sussiste le sole volte in cui l'Ufficio ha manifestato apertamente di non aver considerato le deduzioni difensive esposte dal contribuente nel termine dilatorio – com'è avvenuto nel caso di specie (…) - e non quando lo stesso ufficio le ha, anche implicitamente, considerate e disattese all'atto di emanare l'accertamento”.
Un “nuovo” contraddittorio a metà?
Pertanto, si profila la prospettiva di avete un istituto giuridico di nuova fattura con possibili vulnus sul versante dell'effettiva efficacia: concepire la nullità per la sola violazione di “apertura” del procedimento – rectius la mancata convocazione e la notifica “diretta” dell'atto – e non prevedere analoga sanzione per la “chiusura” del procedimento – ossia la notifica dell'atto impositivo carente delle ragioni che hanno indotto l'ufficio a non accogliere le ragioni prospettate dal contribuente – a mio avviso reitera il sostanziale squilibrio tra le parti che attualmente caratterizza tutte le forme di contraddittorio (procedimentalizzato e non).
Allo stato, non è peraltro ipotizzabile che nell'ambito dell'attività di redazione del relativo decreto delegato si possa porre mano alla questione risolvendo, ove ce ne fosse la volontà, la lacuna in esame.
A tal proposito è opportuno ricordare che, per consolidata giurisprudenza costituzionale, le disposizioni contenute nella legge delega concorrono a formare, in quanto “norme interposte”, il parametro di costituzionalità dei decreti legislativi delegati (Corte costituzionale, sentenza n. 59/2016): il contrasto tra norma delegata e norma delegante per eventuale inosservanza dei principi e criteri direttivi o per esorbitanza dell'oggetto della delega, perciò, determina la violazione indiretta dell'art. 76 Cost., integrando la fattispecie tipica del vizio di eccesso di delega.