La recente legge 9 agosto 2023, n. 111, recante delega al Governo per la riforma fiscale, non detta specifiche disposizioni sul tema dei controlli delle dichiarazioni; di conseguenza, essa non si preoccupa di stabilire particolari criteri direttivi per coordinare l'attività di controllo con quella di accertamento. È verosimile che il legislatore non abbia ravvisato particolari criticità nel settore, in considerazione della netta distinzione tra i due generi di attività.
È noto, invero, che controllo ed accertamento rispondono ad esigenze del tutto diverse.
Attività di controllo
La prima attività, che è disciplinata dagli artt. 36 bis e 36 ter DPR 600/1973 per le II.DD. e 54 bis DPR 633/1972 per l'IVA e rientra nell'ambito dei servizi affidati alle competenze degli Uffici Territoriali istituiti presso ciascuna Direzione Provinciale dell'Agenzia, si ricollega agli oneri di dichiarazione del contribuente e tende a correggere gli errori materiali e di calcolo eventualmente commessi o a rettificare i dati che risultino privi di corrispondenza nella documentazione giustificativa di supporto.
Accertamento
L'attività di accertamento rientra invece tra le funzioni degli “Uffici controlli” delle stesse Direzioni Provinciali e tende a verificare, a seguito di apposita istruttoria e di debite valutazioni, la correttezza della dichiarazione sotto il profilo “sostanziale” (e, pertanto, la veridicità degli elementi dichiarati e la loro conformità con il sistema normativo).
Sono altresì note le differenze di ordine procedurale tra le due attività e le diversità dei loro effetti: le maggiori imposte che risultano dovute a seguito dell'attività di controllo sono direttamente iscritte a ruolo a titolo definitivo ai sensi dell'art. 14 del dpr 602/1973 (previa comunicazione al contribuente ed invito a provvedere al versamento spontaneo entro il termine di 30 giorni con riduzione delle sanzioni, ordinariamente pari al 30% dell'imposta dovuta ai sensi dell'art. 13, comma 1, del d.lgs. 471/1997); l'importo dovuto può essere altresì rateizzato, ai sensi dell'art. 3 bis del d.lgs. 462/1997. L'accertamento di ordine sostanziale di competenza degli uffici controlli è destinato invece a sfociare nell'adozione di un provvedimento impositivo motivato (avviso di accertamento o atto di recupero), con ogni conseguente riflesso sulla determinazione delle sanzioni irrogabili e sulle modalità della riscossione.
La diversità dei due generi di attività non esclude tuttavia l'esistenza di criticità nella loro pratica attuazione.
L'esperienza rivela infatti frequenti casi di interferenze tra le attività delle Direzioni Territoriali e degli Uffici controlli dell'Agenzia, con conseguenti riflessi sull'efficienza del sistema fiscale, che la legge delega si propone di razionalizzare e semplificare.
Controlli automatizzati
Un primo fenomeno che merita di essere approfondito è rappresentato dalle tendenze “espansive” dei controlli automatizzati eseguiti dall'Agenzia, che non raramente tendono ad invadere l'ambito proprio dell'attività di accertamento.
La casistica giurisprudenziale e l'esperienza concreta rivelano l'esistenza di pratiche con cui l'Amministrazione finanziaria tende ad avvalersi della procedura ex art. 36 bis, dpr 600/1973, per procedere all'immediata iscrizione a ruolo di imposte determinate mediante attività di carattere sostanzialmente “accertativo”, come nei casi di negazione di benefici fiscali concessi sotto forma di crediti di imposta (cfr. Cass., 14876/2021; 24747/2020; 7960/2019, 14949/2018), o di disconoscimento di crediti IVA (cfr. Cass., 23098/2020; 12469/2020) o di compensazioni infragruppo (cfr. Cass. 30791/2018), o di determinazione dell'imposta dovuta da società “non operative” (cfr. Cass., 41840/2021).
Questo orientamento non sembra legittimo.
La giurisprudenza sopra citata pone una chiara linea di confine tra i due generi di attività, con ogni opportuna conseguenza applicativa, allorché afferma che: “la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi dell'art. 36 bis [dpr 600/73: ndr] e dell'art. 54 bis dpr 633/1972, è ammissibile, e può evitare l'attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo (Cass. n. 14070 del 2011, n. 12762 del 2006)” (Cass., 14949/2018, cit.) Ed invero, "In tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie, l'iscrizione a ruolo della maggiore imposta, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis è ammissibile solo quando il dovuto sia determinato mediante un controllo meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente o di una correzione di errori materiali o di calcolo, non potendosi, invece, con questa modalità, risolvere questioni giuridiche, sicché il disconoscimento, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di un credito d'imposta non può avvenire tramite emissione di cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, senza essere preceduta da un avviso di recupero di credito di imposta […]" (Cass. 11292/2016. Nello stesso senso, Cass., 7960/2019, cit., che richiama Cass. 5785/2018 e 11292/2016).
In tali circostanze, dunque, il ricorso al controllo automatizzato finisce per by-passare la disciplina che regola l'attività accertativa, con conseguente sviamento dei principi che regolano la motivazione, la determinazione delle sanzioni e la procedura di riscossione.
Controllo formale e sostanziale
Il secondo fenomeno meritevole di considerazione riguarda il caso, non infrequente, in cui siano astrattamente configurabili le condizioni per procedere sia al controllo formale che a quello sostanziale.
Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un credito di imposta che non sia stato esposto nel quadro RU della dichiarazione, sia stato indebitamente utilizzato in compensazione e sia ritenuto non spettante o inesistente. In tali ipotesi, la sovrapposizione delle competenze dell'Ufficio Territoriale e dell'Ufficio controlli origina delicati problemi, che rimangono affidati alle prassi amministrative, piuttosto che alla elaborazione giurisprudenziale.
Si ritiene che, in tali circostanze, la soluzione può razionale sarebbe quella di procedere ad una analisi unitaria della fattispecie, che presuppone un'opportuna sinergia tra le funzioni dei diversi Uffici competenti. In questo modo, sarebbe possibile esaminare congiuntamente tutti i profili di ordine formale e sostanziale che possono giustificare la pretesa fiscale e tener conto di tutte le violazioni eventualmente ravvisabili per irrogare la giusta sanzione, salvo il rispetto dei criteri moderatori previsti dal d.lgs. 472/1997.
Tuttavia, non si ravvisano disposizioni normative, né istruzioni di prassi, che consentano di svolgere un procedimento unitario e di adottare un unico provvedimento. In tali circostanze, le soluzioni astrattamente possibili sono quelle della duplicazione degli atti impositivi (in evidente contrasto con il principio del ne bis in idem) o della prevalenza dell'atto emanato per primo (che, impedendo la prosecuzione dell'attività dell'Ufficio concorrente, potrebbe pregiudicare l'esame di profili rilevanti della fattispecie).
Per le ragioni che precedono, occorre ritenere che la distinzione ontologica tra i due generi di attività non esclude la sussistenza di questioni meritevoli di approfondimento, sia per meglio definire le rispettive sfere di operatività, sia per assicurare una migliore efficienza dell'azione amministrativa. Potrebbe trattarsi di un nuovo tema di indagine per il legislatore delegato, qualora si ritenesse che la legge delega ne offra l'occasione.