mercoledì 06/09/2023 • 06:00
Il 18 agosto la corte distrettuale della Columbia (US) ha affermato che un'opera creata autonomamente da un sistema di intelligenza artificiale, senza cioè alcun contributo umano, non può essere tutelata dalla legge sul diritto d'autore. Quali sono le motivazioni e come sarebbe stato deciso il caso secondo la legge italiana?
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Siamo ormai abituati a vedere quali e quanti prodigi siano in grado di realizzare i sistemi di intelligenza artificiale generativa (generative ai systems). Sappiamo anche che possono generare testi, opere letterarie, opere visive e audiovisive del tutto simili a quelle realizzate dall'uomo. In molti casi non è dato distinguerne l'origine, umana o artificiale: chi, di fronte ad un'immagine elaborata da Midjourney o ad una presentazione scritta da ChatGPT, sarebbe in grado di escludere che siano il frutto dell'elaborazione umana?
Uno degli interrogativi che i giuristi si sono sin da subito posti è se anche queste opere dell'intelletto (ancorché artificiale) possano essere tutelate dalla legge sul diritto d'autore. Può, in altre parole, un sistema di intelligenza artificiale essere considerato autore ai sensi della legge sul diritto d'autore?
Una recente decisione della corte distrettuale della Columbia, Stati Uniti (Thaler v. Perlmutter, No. 22-1564 (D.D.C. Aug. 18, 2023)) si è espressa in modo negativo, sostenendo che, secondo il diritto nordamericano, l'opera creata autonomamente da un sistema di intelligenza artificiale, senza cioè alcun contributo umano, non può costituire oggetto di tutela come opera dell'ingegno secondo la legge sul diritto d'autore (nei sistemi di common law chiamato copyright).
La decisione è stata emessa all'esito di un procedimento giudiziale promosso dallo scienziato informatico Stephen Thaler, proprietario di un sistema di intelligenza artificiale denominato Creativity Machine. Thaler si era rivolto alla corte distrettuale per annullare la decisione del U.S. Copyright Office, l'ufficio competente – tra l'altro – per il rilascio dei certificati di registrazione delle opere dell'ingegno, che aveva negato la qualifica di opera tutelabile all'opera d'arte figurativa intitolata "A Recent Entrance to Paradise" realizzata in totale autonomia dalla Creativity Machine.
Abbiamo già riferito della battaglia legale intrapresa da Thaler al fine di ottenere il riconoscimento della qualifica di inventore in capo ad un sistema di intelligenza artificiale. Una medesima battaglia è stata intrapresa da Thaler affinché un sistema di intelligenza artificiale venga riconosciuto autore di un'opera dell'ingegno tutelata dal diritto d'autore. Anche in questo caso, l'iniziativa dello scienziato americano, sebbene non abbia (sino ad ora) raggiunto i risultati da quest'ultimo sperati, ha senz'altro contribuito ad alimentare il dibattito giuridico in merito all'impatto che una tecnologia di frontiera, come l'intelligenza artificiale, ha sull'industria della creatività.
Quale è stata la motivazione alla base della decisione della corte statunitense?
Secondo il giudice d'oltre oceano, in conformità a quanto già espresso dal U.S. Copyright Office, la legge americana in materia di diritto d'autore protegge solo le opere derivanti in tutto o in parte da un atto creativo umano. La carenza di un contributo, seppur minimo, da parte di un essere umano nella generazione dell'opera determina l'impossibilità di applicare la normativa a tutela delle opere dell'ingegno.
Il giudice americano, infatti, dopo aver riconosciuto che nel corso della sua lunga storia l'istituto del diritto d'autore (copyright) è stato più volto interpretato in modo estensivo, al fine di comprendere nell'ambito della sua tutela anche lavori realizzati mediante l'uso di strumenti tecnologici, ha tuttavia osservato come tutti gli adattamenti siano stati operati senza mai mettere in discussione il principio secondo cui la creatività umana, ancorché espressa mediante l'uso di strumenti tecnologici, è una condizione sine qua non per la tutela. Così è avvenuto, ad esempio - ci ricorda il giudice americano - per le fotografie, in relazione alle quali, dopo i primi tentennamenti, si è pervenuti al riconoscimento della loro tutela, ma a condizione che nella realizzazione dell'opera fotografica venga accertata la presenza di un apporto umano, che si estrinseca nelle scelte operate dal fotografo in merito al soggetto o al luogo ritratto, alla posizione dei soggetti o degli oggetti, nella selezione delle inquadrature e delle angolazioni e via dicendo.
La tutela del diritto d'autore, invece – ribadisce il giudice americano - non si è mai estesa sino a ricomprendere opere generate da nuove tecnologie operanti senza direttive umane.
Il fondamento di una tale conclusione risiede, secondo la corte, negli stessi principi costituzionali che giustificano l'attribuzione di un'esclusiva in capo all'autore di un'opera creativa in ragione della funzione dell'istituto quale incentivo per la promozione e la diffusione delle conoscenze artistiche. Secondo il giudice americano, tale esigenza non è codificata nella legge americana con riguardo alle opere create da “[n]on-human actors”. Il giudice ha poi richiamato alcuni precedenti nei quali è stata esclusa la tutela come opera dell'ingegno proprio in ragione della carenza di creatività umana: ciò è accaduto per esempio con riguardo ad un libro che, secondo la rappresentazione del richiedente la registrazione, incorporava le parole di “esseri celestiali” (celestial bodies) (Urantia Found. v. Kristen Maaherra, 114 F.3d 955, 958–59 (9th Cir. 1997)).
Da notare che, nella domanda di registrazione rivolta al U.S. Copyright Office, Thaler aveva indicato come autore la Creativity Machine, precisando che l'opera era stata creata autonomamente da un algoritmo informatico in esecuzione all'interno di una macchina. Sulla base di tale presupposto di fatto, la corte americana non ha preso in considerazione situazioni più complesse in cui l'intervento umano si aggiunge a quello della macchina, limitandosi a statuire, escludendo la tutela, in relazione all'ipotesi in cui la creazione è addebitabile in toto alla macchina.
Ma se così non fosse, quanto intervento umano sarebbe necessario affinché l'utilizzatore dell'intelligenza artificiale possa essere qualificato autore dell'opera generata?
La negazione della tutela da parte della corte ha poi escluso che il giudice si occupasse dell'altra questione che era stata posta alla sua attenzione, vale a dire l'attribuzione della titolarità del diritto d'autore in capo a Stephen Thaler nella sua qualità di titolare della Creativity Machine e ciò in virtù dell'operare della dottrina del “work for hire”.
Va osservato, infine, che la decisione non sarebbe stata diversa ai sensi della legge italiana sul diritto d'autore (legge 22 aprile 1941, n. 633 – l.d.a.) secondo cui la protezione spetta alle “opere dell'ingegno di carattere creativo…qualunque ne sia il modo o la forma di espressione” (art. 1 l.d.a.), che spettano al proprio autore a titolo originario per la sola “creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale” (art. 6 l.d.a.). Il tenore letterale delle norme richiamate sembra con evidenza far propendere per la tesi secondo cui anche secondo il diritto italiano la creatività umana è un requisito imprescindibile affinché si possa parlare di opera dell'ingegno tutelata.
Ciò detto, de iure condendo rimane la necessità di prevedere, sempre nell'ottica della premiazione degli investimenti e al fine dell'incentivazione della diffusione di contenuti una qualche (diversa) forma di protezione anche per le opere realizzate dall'ingegno artificiale.
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