sabato 29/07/2023 • 06:05
L’attenzione sempre maggiore alla sostenibilità sta conducendo all’evoluzione del piano Transizione 4.0 verso il paradigma Industria 5.0, di cui vi è già traccia nella proposta di modifica al PNRR del 27 luglio 2023. Il nuovo pacchetto di incentivi non può prescindere dal meccanismo di funzionamento del Pillar 2 e da come verrà implementato in Italia.
La leva fiscale è sicuramente uno dei principali strumenti a cui fa ricorso il legislatore per incentivare le imprese ad investire in determinate aree o in determinate tipologie di asset al fine di perseguire gli obiettivi di politica economica ed industriale posti a livello nazionale ed internazionale. Il Piano Industria 4.0, che ha visto i natali nel 2016, si contraddistingueva e si contraddistingue tutt'ora per una serie articolata di incentivi, prevalentemente di natura fiscale, finalizzati alla trasformazione digitale e tecnologica delle imprese. Il paradigma 4.0 si imperniava, in particolare, su tre pilastri fondamentali, ovverossia: la disponibilità e l'elaborazione intelligente di quantità enormi di dati (big data) a costi sempre più bassi; la robotica e automazione avanzata, con nuove e più evolute possibilità di interazione complessa uomo-macchina; connettività spinta, interconnettendo l'intera catena del valore attraverso dispositivi e sensoristica intelligente (Internet delle cose). Il Piano si è in parte successivamente evoluto includendo a partire dal 2020 nuovi obiettivi in un'ottica green e con un'attenzione particolare alla sostenibilità, con incentivi e misure ad hoc. Non a caso, come noto, il piano era stato ribattezzato “Transizione 4.0” per recepire i nuovi orientamenti e, con la legge di Bilancio 2022, gli è stata allungata la vita di vari anni, a seconda dei casi, ancorché con aliquote agevolative decisamente meno premianti. L'inclusione delle misure del Piano Transizione 4.0 all'interno del PNRR, per gli anni 2020-2022, ha consentito di co-finanziare le agevolazioni con le risorse europee derivanti dal Dispositivo per la Ripresa e Resilienza, ma ne serviranno sicuramente ulteriori per riformularlo alla luce dei nuovi obiettivi fissati a livello europeo secondo il paradigma “Industria 5.0”. D'altra parte, ferme restando le innegabili complessità interpretative iniziali (soprattutto con riguardo al credito d'imposta ricerca e sviluppo), il Piano ha di fatto supportato le imprese nella ricerca e negli investimenti in nuove tecnologie, consentendo il raggiungimento di ottimi risultati a livello di sistema Paese così come evidenziato dai recenti studi dell'Osservatorio Transizione Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano. L'evoluzione degli incentivi tra Industria 5.0 e Pillar 2 Sebbene gli incentivi del Piano Transizione 4.0 siano stati, come già detto, depotenziati, è nota da tempo l'intenzione del Governo di ridisegnare il set di agevolazioni alla luce dei nuovi indirizzi di matrice europea in ambito Industria 5.0. Tale intenzione sta, peraltro, prendendo forma proprio in questi giorni, stando alle proposte di revisione del PNRR del 27 luglio 2023: si prevedono, infatti, nuove misure che tengano conto dei nuovi obiettivi del Piano REPowerEU, finalizzato alla transizione energetica e all’affrancamento graduale dai combustibili fossili. Non si tratta, in realtà, di una vera e propria nuova rivoluzione industriale, ma di una rivisitazione dei pilastri del Piano Industria 4.0 secondo una logica evoluta: lo sviluppo tecnologico e l'inclusione dell'intelligenza artificiale nei processi produttivi aziendali devono accompagnarsi alla tutela del benessere dei lavoratori e alla sostenibilità ambientale, nonché abilitare l'impresa a reagire tempestivamente alle modificazioni del mondo che la circonda. Le parole chiave utilizzate nel rapporto pubblicato dalla Commissione europea nel gennaio 2021 intitolato appunto “Industry 5.0” consistono in human-centricity, sostenibilità e resilienza, che di fatto si sposano con gli aspetti su cui le imprese sono chiamate a rendicontare nei bilanci di sostenibilità (o, meglio, nel Corporate Sustainability Reporting che interesserà dal 2025 in poi un numero sempre maggiore di imprese). Ecco che si sta, quindi, andando verso un pacchetto di misure che incentivino gli investimenti atti a ridurre l’impiego di risorse energetiche a parità di performance o il ricorso a fonti energetiche rinnovabili, accelerando la riconversione sia della dotazione di beni strumentali sia dei processi produttivi. Che forma dare ai nuovi incentivi? La scelta della tipologia di incentivo, dal punto di vista tecnico, non è irrilevante. La strada sembra essere ancora quella dei crediti d’imposta, a cui si era già fatto ricorso per il Piano Transizione 4.0. Questa tipologia di incentivo concede, in principio, un vantaggio anche a chi si trova in una posizione di perdita fiscale, diversamente dalle misure che operano a diretta riduzione delle imposte dovute tramite extra-deduzioni (si pensi, ad esempio, alla nuova Patent Box o alla deduzione ACE). Non sembra comunque che l’incentivo nella forma di detassazione del reddito sia una strada abbandonata: si pensi, ad esempio, a quanto prospettato nella Legge delega sulla riforma fiscale con riguardo alla possibile introduzione di un'aliquota IRES ridotta a fronte della “promessa” da parte dell'impresa di effettuare investimenti qualificati e in nuove assunzioni nei due esercizi successivi. Non è tutto però: il nuovo pacchetto di incentivi non può prescindere dalla valutazione degli impatti connessi alla disciplina della global minimum tax del 15% concepita in ambito OCSE, nota come Pillar 2, illustrata nel documento “Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy – Global Anti-Base Erosion Model Rules (Pillar two)”. L'implementazione del Pillar 2 in Italia e l'impatto sugli incentivi Secondo le regole del Pillar 2 (“Globe rules”), i gruppi multinazionali che conseguono ricavi oltre determinate soglie in almeno due dei quattro esercizi precedenti dovranno “garantire” che in tutti i paesi in cui sono presenti tramite società o stabili organizzazioni venga scontata un'aliquota effettiva d'imposta (c.d. effective tax rate o ETR) almeno pari al 15%. L'eventuale differenza tra l'ETR e l'aliquota minima costituirebbe la c.d. top-up tax, che, in linea di principio, secondo un approccio top-down, andrebbe corrisposta nel paese in cui risiede la società più in alto alla catena, salvo una serie articolata di regole che potrebbero spostare la “riscossione” della top-up tax in altri paesi in cui risiedono sub-holding o altre società del gruppo. In questo contesto, è evidente come, nella misura in cui in un paese trovino applicazione agevolazioni fiscali che, in base ai tecnicismi delle Globe Rules, comportino una riduzione dell'ETR sotto il 15%, il beneficio concesso in un detto paese verrebbe di fatto neutralizzato dal prelievo della top-up tax operato in un altro paese. Ecco che, in questo contesto, è fondamentale studiare attentamente la fisionomia degli incentivi, privilegiando eventualmente i crediti d'imposta nella conformazione attuale, per i quali è previsto l'utilizzo in compensazione con imposte e contributi senza limiti temporali: tali caratteristiche dovrebbero consentire, infatti, all'incentivo di rientrare nella definizione di “qualified refundable tax credits” e, come tali, sempre in base alle Globe Rules, impattare in maniera meno significativa sulla riduzione dell'ETR. Le evoluzioni del pacchetto Transizione 5.0 saranno, di fatto, intrecciate alle modalità di implementazione del Pillar 2 in Italia, nell'attesa di capire se – a prescindere dal periodo transitorio 2024-2026 in cui troveranno applicazione le semplificazioni sui Safe Harbour – si deciderà di introdurre una Qualified Domestic Minimum Top-Up tax che fissi il prelievo impositivo della top-up tax a livello locale, evitando così che si concretizzi di fatto la traslazione del prelievo in capo ad amministrazioni di altri paesi.
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