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lunedì 03/07/2023 • 06:00

Fisco Dalla Corte di Cassazione

Il giudicato prevale anche sulla definitività dell’atto

Con la sentenza n. 18241 del 26 giugno 2023 la Corte di Cassazione ha precisato che una corretta interpretazione del giudicato impone che quest’ultimo prevalga anche su eventuali atti impositivi divenuti tali prima della sua formazione.

di Alessia Vignoli - Avvocato cassazionista, professore associato Tor Vergata

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Efficacia del giudicato anche sui versamenti effettuati nelle more del giudizio per la sua formazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18241 del 26 giugno 2023, ha annullato (direttamente e senza rinviare in secondo grado) il diniego allo sgravio delle cartelle di pagamento per il recupero dell'IRAP, riconoscendo che le citate cartelle, pur se emesse in seguito a controllo ex art. 36 bis DPR n.600/1973 e non impugnate, erano in contrasto con la sentenza n. 24788/2015 con cui la medesima Corte aveva stabilito nel merito e nell'ambito di un giudizio di rimborso la non assoggettabilità all'IRAP dei medesimi redditi. 

I giudici in entrambi i gradi di merito avevano, invece, ritenuto irrilevante il giudicato formatosi in un giudizio promosso per il rimborso delle somme versate proprio a fronte delle medesime cartelle, in quanto formatosi successivamente alla definitività delle stesse.

A fondamento dell'istanza di sgravio, il cui diniego ha - come detto - dato origine alla controversia decisa nella sentenza in commento, il contribuente ha posto proprio la citata sentenza n. 24788/2015 sostenendo che, una corretta applicazione del giudicato sostanziale (ex art. 2909 c.c. e 2 quater del D.L. n. 564/1994) impone che la decisione definitiva, che ha escluso la ricorrenza dei presupposti per l'assoggettamento ad IRAP delle risorse reddituali, debba necessariamente comportare l'annullamento di qualsivoglia versamento effettuato nelle more, anche se divenuto definitivo.

La prevalenza del giudicato sull'inoppugnabilità dell'atto e le conseguenze sull'esercizio dell'autotutela

La Corte, dopo aver riconosciuto l'indubbia “specialità” del fisco come creditore, ha condiviso l'interpretazione prospettata dal contribuente. In particolare, la Corte ha sottolineato che anche i rapporti d'imposta pur nella loro peculiarità sono soggetti alla regola del giudicato in senso sostanziale che, in base alla interpretazione pacificamente invalsa presso la Corte (cfr. ord. n. 25798/2017), impone che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato faccia stato ad ogni effetto tra le parti, gli eredi o aventi causa (ex art. 2909 C.C.), senza che tale principio possa essere limitato dalle regole che presiedono alla contestabilità, in via giurisdizionale o amministrativa, degli atti tributari.

In altri termini, il potere che ha la pubblica amministrazione di formare unilateralmente gli atti impositivi o esattivi trova un limite nel caso in cui quello stesso rapporto soggettivo ed oggettivo sul quale quegli atti vadano ad incidere sia stato oggetto di un precedente o successivo giudicato.

Ciò implica che nel caso di giudicato precedente, l'atto impositivo o esattivo che si ponesse in contrasto con il giudicato sarebbe nullo; mentre nel caso di giudicato successivo (come quello del caso di specie dal momento che l'emissione delle cartelle non impugnate dal contribuente sono antecedenti al giudicato del 2015), l'atto impositivo o esattivo in contrasto con il giudicato diventerebbe inefficace.

Sarebbe del resto irragionevole, prima che illegittimo, che, nonostante l'esistenza di un giudicato che ha disposto il rimborso dell'IRAP versata in relazione a determinate annualità da un contribuente che per quei periodi non poteva essere assoggettato alla detta imposta, tale contribuente potesse essere costretto (con un processo esecutivo) a versare somme a titolo di IRAP in relazione alle stesse annualità oggetto del giudicato, solo perché non avesse impugnato delle cartelle emesse sulla base di ruoli formati dall'amministrazione in epoca antecedente al giudicato.

Fonte: Cass. 26 giugno 2023 n. 18241

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