giovedì 29/06/2023 • 06:07
Ai fini della determinazione dell’Aiuto alla crescita economica non si deve tenere conto dell’incremento del capitale proprio dovuto a riserve indisponibili, tra cui rientrano quelle da rivalutazione dei beni d’impresa.
La riserva da rivalutazione dei beni d'impresa non rileva ai fini dell'Aiuto alla crescita economica (ACE), ma viene “liberata”, divenendo rilevante ai fini del calcolo dell'agevolazione, attraverso il processo di ammortamento. Nella determinazione del reddito d'impresa assume rilevanza anche il calcolo dell'ACE, introdotta attraverso l'art. 1, DL 201/2011, come successivamente modificato e integrato. L'agevolazione consiste in una deduzione dal reddito dell'importo che corrisponde all'applicazione del rendimento nozionale, individuato per il periodo d'imposta 2022 nell'1,3%, alla variazione in aumento del patrimonio netto rispetto a quello esistente alla data di chiusura dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2010. La rivalutazione dei beni dell'impresa Se questa è la descrizione generale dell'agevolazione, uno dei temi tornati alla ribalta in questi ultimi anni è quello che riguarda la rilevanza o meno, sempre ai fini ACE, dell'eventuale riserva da rivalutazione dei beni dell'impresa. Oltre alla rivalutazione prevista dall'articolo 1, c. 696, L 160/2019, ha riscosso notevole interesse quella inserita all'interno dell'art. 110, DL n. 104 del 2020, che poteva essere solo civile ovvero anche fiscale, attraverso il pagamento di un'imposta sostitutiva. A fronte della rivalutazione dei beni, l'impresa deve stanziare una riserva da rivalutazione, al netto dell'eventuale imposta sostitutiva pagata, riserva che va collocata all'interno del patrimonio netto con l'effetto, naturalmente, di aumentarlo. L'art. 5, c. 2, DM del 3 agosto 2017, che ha dato attuazione all'ACE in sostituzione del DM del 14 marzo 2012, stabilisce che rilevano come elementi positivi della variazione del capitale proprio, ossia del patrimonio netto, oltre che ai conferimenti in denaro effettuati dai soci anche «gli utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili». Il successivo comma 6, del citato art. 5, dispone che ai fini del comma 2 si considerano riserve di utili non disponibili le riserve che risultano essere state formate con utili diversi da quelli realmente conseguiti, in quanto derivanti da processi di valutazione, nonché le riserve che sono formate con utili realmente conseguiti che, però, per disposizioni di legge, sono o divengono «non distribuibili né utilizzabili ad aumento del capitale sociale né a copertura di perdite». Nell'esercizio in cui viene meno la indisponibilità delle riserve, esse assumono rilevanza purché si siano formate successivamente all'esercizio in corso al 31 dicembre 2010. Se questo è, quindi, il dettato normativo, le riserve da rivalutazione risulterebbero formate a seguito di processi di valutazione e, quindi, non disponibili. Con la circ. AE n. 21/E del 3 giugno 2015, l'Agenzia delle entrate, preso atto che nella relazione illustrativa al decreto istitutivo dell'ACE viene affermato che costituiscono elementi positivi della variazione del capitale proprio le riserve disponibili derivanti dalla “riclassificazione” di riserve indisponibili, ha chiarito che «per quanto concerne le riserve da rivalutazione, iscrivibili a seguito delle previsioni contenute in leggi speciali nonché in applicazione dell'obbligo di deroga di cui al comma quarto dell'art. 2423 del codice civile, si evidenzia come tali riserve siano al momento della nascita non rilevanti ai fini dell'ACE, in quanto riconducibili alla nozione di “riserva da utili non disponibili” individuata nella relazione al decreto ACE». Le predette riserve, sottolinea ancora l'Agenzia, rilevano come incremento di capitale proprio ai fini ACE per la quota dei maggiori valori successivamente realizzati sempre che si tratti, come detto, di riserve indisponibili formate a decorrere dal periodo d'imposta 2011. Sul tema l'Agenzia delle entrate è tornata attraverso la risposta ad interpello n. 889 del 30 dicembre 2021, con la quale oltre a ribadire quanto già asserito con la citata circ. AE 21/E del 2015, ha evidenziato come al pari delle operazioni di cessione o dismissione dei beni, l'ammortamento dei valori rivalutati rappresenta «realizzo dei maggiori valori che da "virtuali" si fanno "reali"», facendo partecipare il costo rivalutato dei beni strumentali al risultato economico dell'impresa, concretizzandone il valore che da stimato diventa effettivo. In pratica, affinché le riserve di utili concorrano alla determinazione della base ACE è necessaria la presenza della duplice e contestuale condizione che si tratti di riserve derivanti da utili effettivi e che siano distribuibili, ovvero utilizzabili o per copertura perdite o per aumenti di capitale. Osservazioni In presenza, quindi, di riserve da rivalutazione, formate dopo il 2010, esse sono da considerarsi inizialmente indisponibili e non rilevanti ai fini ACE per poi essere, via via, “liberate” e, quindi, rilevanti ai fini dell'agevolazione in commento, attraverso il processo di ammortamento o di realizzo dei beni rivalutati. Con riferimento alle modalità di determinazione dell'importo dell'ammortamento destinato a “liberare” la riserva da rivalutazione, si dovrà fare riferimento solo alla quota parte riferita al valore rivalutato, che va diminuita dell'imposizione subita sulla rivalutazione e portata in diminuzione della riserva, nonché della eventuale fiscalità differita, portata sempre in diminuzione della riserva. Se, per esempio, è stata iscritta in bilancio una riserva da rivalutazione anche fiscale (c.d. in sospensione d'imposta), di cui all'art. 110, DL 104/2020, al netto dell'imposta sostitutiva del 3%, l'ammortamento che va a liberare detta riserva sarà dato dal 97% dell'ammortamento calcolato sul maggior valore attribuito al bene attraverso la predetta rivalutazione.
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Francesco Barone
- Dottore commercialista e Revisore legaleRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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