venerdì 16/06/2023 • 06:00
La Cassazione, con un’ordinanza interlocutoria, ha rimesso gli atti al Primo Presidente affinché valuti l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione relativa alla sanabilità o meno della mancanza di sottoscrizione digitale sul ricorso per Cassazione notificato da un avvocato dello Stato.
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Il caso
Si trattava di una controversia relativa ad operazioni qualificate dall'Agenzia delle Entrate come soggettivamente inesistenti. In particolare, l'Ufficio aveva contestato ad una srl la detrazione di Iva per l'acquisto di alcune autovetture usate stante l'interposizione fittizia di una società cartiera. I giudici di primo grado avevano respinto il ricorso ma la sentenza veniva riformata in quanto i giudici d'appello avevano ritenuto che il comportamento della srl non dimostrasse la sua consapevolezza di inserirsi in un meccanismo di frode.
L'Agenzia delle Entrate ricorreva, quindi, in Cassazione e la causa, dapprima trattata dalla Sez. VI, veniva rimessa alla trattazione in pubblica udienza dinanzi alla Sez. V con l'ordinanza interlocutoria n. 13879/2022 non essendo stata ravvisata l'evidenza decisoria circa l'eccezione di nullità (rectius, di inesistenza) del ricorso notificato dall'Agenzia delle Entrate, giacché privo di sottoscrizione digitale da parte dell'avvocato dello Stato titolare del fascicolo.
L'eccezione di inesistenza
La srl controricorrente aveva evidenziato come il ricorso in questione fosse un “nativo digitale” ovvero redatto e interamente confezionato in ambiente informatico, e così notificato dall'Agenzia alla società ma senza la firma digitale dell'avvocato dello Stato il cui nominativo era speso in calce al ricorso stesso, quale patrono erariale. A dimostrazione dell'assunto, la società aveva anche prodotto un CD, contenente la PEC di notificazione ricevuta, in formato .xml, che, in effetti, confermava come il ricorso fosse privo di firma digitale. La società invocava il precedente (Cass. n. 3379/2019), attinente ad un ricorso analogico o cartaceo, secondo cui "Il ricorso per Cassazione privo della sottoscrizione dell'avvocato deve considerarsi giuridicamente inesistente e, quindi, inammissibile, in applicazione del principio generale sancito dall'art. 161, comma 2, c.p.c., estensibile a tutti gli atti processuali" (Rv. 652381-01).
I motivi della rimessione degli atti al Primo Presidente
Con l'ordinanza del 9 giugno 2023 n. 16454, la Corte ha osservato che un atto processuale, sol perché informatico, non può di per sé supplire al deficit strutturale da cui esso sia eventualmente affetto, rispetto ai requisiti di forma richiesti dalla norma, salvo che detti requisiti siano direttamente evincibili dal suo corredo informativo.
Viene sul punto richiamata la motivazione delle Sezioni Unite ( n. 22438/2018) nella parte in cui ha affermato che "l'originale del ricorso nativo digitale - in quanto atto processuale - è unico e per essere valido, alla luce di quanto dispone la legge processuale (che è fonte condizionante, anche in via interpretativa, la portata stessa della disciplina recata dalle disposizioni regolamentari e tecniche sul p.c.t.), deve essere sottoscritto con firma (ovviamente) digitale; l'atto così formato e sottoscritto è, quindi, l'atto che l'avvocato provvede a notificare, a mezzo p.e.c., all'indirizzo p.e.c., risultante da pubblici registri, della controparte".
I giudici rimettenti hanno all'uopo sottolineato come la ricerca aliunde della paternità certa del ricorso, mancante della firma digitale, appare problematica, essendo difficile che essa possa desumersi, di per sé, dai dati identificativi informatici del documento stesso (cioè, dalle sue "proprietà") o anche dall'utilizzo di una casella PEC inequivocabilmente riferibile all'avvocato che avrebbe apparentemente redatto il ricorso: il che, specie con riferimento a tale ultimo aspetto, vale sia nel caso di un avvocato del libero foro, sia nel caso della stessa Avvocatura dello Stato, non potendo comunque escludersi un accesso alla medesima casella PEC del mittente da parte di soggetto diverso dal suo titolare (e, per di più, privo della necessaria qualifica), a prescindere dal fatto che si tratti di soggetto autorizzato o meno. Del resto, è solo l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale a determinare la presunzione (relativa) di riconducibilità della stessa al suo titolare, ex art. 20, comma 1-ter, del C.A.D., non anche l'uso della casella PEC del mittente, per quanto ovviamente personale.
Il riferimento all'Avvocatura dello Stato
Nell'ordinanza interlocutoria in commento, con specifico riferimento all'Avvocatura dello Stato, i giudici di legittimità hanno osservato come sia certamente vero che la difesa da essa assunta abbia carattere impersonale e che i suoi rappresentanti siano, dunque, pienamente fungibili nel compimento degli atti processuali nell'ambito di un medesimo giudizio, sicché "l'atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l'atto, unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale abilitante alla difesa" (Cass. n. 4950/2012; Cass. n. 13627/2018). Tuttavia, pur in tale ipotesi, appare imprescindibile ai giudici rimettenti che l'atto processuale debba essere comunque riferibile con certezza ad avvocato dello Stato perfettamente identificabile (anche se diverso dal suo materiale estensore), perché il patrocinio assunto dall'Avvocatura - sotto il profilo del rispetto delle forme processuali - esclude solamente la necessità del rilascio della procura speciale (ex art. 365 c.p.c.) ma non l'assunzione di paternità circa il contenuto dell'atto, riconducibile evidentemente alla sottoscrizione.
Per i suddetti motivi, trattandosi di questione di particolare importanza, i giudici hanno ritenuto opportuno trasmettere gli atti al Primo Presidente affinché valuti se investire le Sezioni Unite per la contestualizzazione del principio già dalle stesse in precedenza affermato (n. 22438/2018) in una fattispecie dove non vi sarebbe neppure la possibilità di ricorrere, ai fini dell'attribuzione della paternità certa dell'atto, alla firma per autentica in calce alla procura speciale, non essendo essa necessaria nell'ipotesi in cui la parte sia abilitata ad avvalersi dell'Avvocatura dello Stato.
Fonte: Cass. 9 giugno 2023 n. 16454
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