lunedì 12/06/2023 • 06:00
Quando il lavoro agile è svolto al di fuori dell'Italia è necessario prestare attenzione ad alcune implicazioni previdenziali. Il presupposto per l'applicazione dei regolamenti comunitari sulla sicurezza sociale è che si sia in presenza di un distacco.
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La possibilità di eseguire la prestazione lavorativa da un paese diverso dall'Italia introduce, infatti, un elemento di transnazionalità che va opportunamente gestito, senza per questo confondere la fattispecie del lavoro agile dall'estero – una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa dotata di una maggiore flessibilità spazio-temporale rispetto all'ipotesi tipica – dalla diversa fattispecie del distacco che ha rilevanti e diverse conseguenze sia dal punto di vista contrattuale sia dal punto di vista previdenziale.
Come già detto in occasione dell'analisi connessa alle implicazioni in materia di tutela contro gli infortuni sul lavoro, la fattispecie del lavoro agile transnazionale può essere inquadrata nelle fattispecie tipiche della trasferta, del trasferimento o del distacco con le connesse implicazioni dal punto di vista amministrativo e gestionale, oppure può derivare da una scelta condivisa tra lavoratore e datore di lavoro di eseguire la prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali e non solo dall'Italia, ma anche da un domicilio temporaneo all'estero.
È un'ipotesi analoga alle fattispecie tipiche sopra riportate ma a differenza della trasferta e del distacco, non vi è alcun interesse diretto da parte del datore di lavoro.
Cosa accade allora dal punto di vista previdenziale quando un lavoratore, regolarmente assunto in Italia e in possesso di Accordo di lavoro agile, venga episodicamente autorizzato dal proprio Responsabile e dalla Direzione aziendale ad eseguire la prestazione lavorativa dall'estero, da un paese comunitario, ma al di fuori delle ipotesi tipiche di invio all'estero per conto e nell'interesse del datore di lavoro italiano?
Il primo elemento a venire in considerazione, quello dal quale partire per la soluzione del caso è sempre quello connesso con la valutazione della posizione contrattuale di partenza del lavoratore. Tale presupposto assume rilevanza anche da un punto di vista previdenziale potendo determinare in caso di lavoro dall'estero, la non applicazione del principio della territorialità, che impone sempre l'obbligo del pagamento dei contributi nel luogo di esecuzione della prestazione lavorativa.
Innanzitutto, va confermato che la disciplina di legge che regola il Lavoro agile (artt. 18 e ss. L. 81/2017) non pone preclusioni particolari di natura contrattuale allo svolgimento della prestazione lavorativa da un paese diverso dall'Italia.
L'art. 18, c. 1, L. 81/2027 stabilisce che : “le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
Dal tenore della norma deriva in modo espresso:
Quando le parti abbiano sottoscritto l'Accordo di lavoro agile nell'ambito di un rapporto di lavoro regolato dalla legge italiana – come legge principale di regolazione del rapporto di lavoro scelta dalle parti - lo svolgimento episodico e non prolungato della prestazione lavorativa dall'estero e in particolare da un altro paese comunitario, non ha particolari conseguenze dal punto di vista contrattuale e ciò sia in forza delle regole del diritto internazionale privato sia grazie alla presenza dell'ordinamento comunitario.
Da un punto di vista contrattuale, in base alle regole del diritto internazionale privato – Regolamento n. 593/2008 (Roma I) – quando le parti abbiano determinato che il rapporto di lavoro è regolato dalla legge italiana, il Paese in cui il lavoro è svolto abitualmente non si considera cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo (art. 8).
Inoltre, sempre da un punto di vista strettamente contrattuale, in ambito comunitario vige il diritto di libera circolazione disciplinato dal Trattato istitutivo dell'Unione Europea (art. 45 TFUE) e regolato in modo più specifico dalla Dir. 2004/38/CE (attuata in Italia dal D.lgs. 30/2007) la quale all'art. 6 stabilisce espressamente che: “i cittadini dell'Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d'identità o di un passaporto in corso di validità”. In ambito comunitario, pertanto, entro i limiti che sono previsti dal Trattato e dalle norme comunitarie, non è possibile limitare il diritto di libera circolazione e di soggiorno, nel rispetto comunque delle disposizioni di pubblica sicurezza che ogni Stato membro abbia adottato al proprio interno. Si tratta di uno dei diritti fondamentali dell'Unione europea, esercitabile in quanto si è in possesso dello status di cittadino comunitario prima ancora di quello di lavoratore comunitario.
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