martedì 16/05/2023 • 06:00
Nell'ambito della platea di ammortizzatori sociali, viene previsto dal Decreto Lavoro un ulteriore istituto di sostegno al reddito, da ritenersi residuale e subordinato alla totale fruizione degli altri ammortizzatori sociali. La richiesta sarà soggetta ad un esame da parte del Ministero del Lavoro, che dovrà vigilare sulla sussistenza dei presupposti.
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Non è la prima volta che il Legislatore interviene in materia di ammortizzatori sociali riconoscendo in capo alle imprese in difficoltà la possibilità di usufruire della cosiddetta Cassa integrazione guadagni in deroga.
A tal proposito si sottolinea come, in linea generale, gli ammortizzatori sociali in deroga costituiscano misure di sostegno e sussidio al reddito, concesse in via temporanea e solitamente in concomitanza di particolari congiunture storico ed economiche, in favore delle imprese e dei lavoratori che, in caso contrario, risulterebbero esclusi dalla tutela ordinaria nei casi di interruzione o sospensione delle attività lavorative.
In questo senso la misura introdotta dall'art. 30 DL 48/2023, meglio noto come Decreto Lavoro, non rappresenta un elemento di novità nel panorama lavoristico italiano: già nel 2009 infatti la Legge 203/2008 aveva introdotto la possibilità, “in deroga” alla allora vigente normativa e previ specifici accordi governativi e per periodi di tempo non superiori a dodici mesi, di ottenere trattamenti di Cassa integrazione guadagni e mobilità ulteriori – in deroga, per l'appunto – anche con riferimento ad interi settori produttivi e/o ad aree regionali.
La CIG in deroga negli anni
In linea di continuità con la posizione assunta dal Legislatore nel 2009 in materia di ammortizzatori sociali in deroga, si sono poste poi le due più significative riforme dello scorso decennio: la riforma Fornero (Legge 92/2012) e la riforma del lavoro c.d. Jobs Act (2014-2015), entrambe promotrici della cosiddetta riorganizzazione degli ammortizzatori sociali che ha interessato il nostro ordinamento proprio nel triennio dl 2012 al 2015.
In materia di ammortizzatori in deroga, la Legge Fornero (art. 2, c. 64), che già aveva posto le basi per una rivisitazione sistematica dell'impianto complessivo del sostegno al reddito, riconosceva l'erogazione di trattamenti di integrazione salariale e di mobilità per periodi non superiori a dodici mesi, sulla base di “specifici accordi governativi”. Nel caso di più proroghe (comma 66), tali erogazioni venivano concesse esclusivamente nel caso di frequenza di “specifici programmi di reimpiego, anche mirati alla riqualificazione professionale”.
A due anni dall'entrate in vigore della Legge 92/2012, risulta varato il decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 83473 del 2014 recante “nuovi criteri per l'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga”.
Tra le novità, il Decreto ministeriale disponeva come il trattamento di integrazione salariale in deroga potesse essere concesso o prorogato ai lavoratori subordinati sospesi dal lavoro o con prestazione di lavoro a orario ridotto per le seguenti causali, in parte riprese anche dall'odierno legislatore nel Decreto Lavoro: situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori, situazioni aziendali determinate da congiunture temporanee di mercato, crisi aziendali e ristrutturazione o riorganizzazione.
Qual è la portata della nuova misura?
Tornando alle recenti novità, vale a questo punto la pena interrogarsi in merito alla portata delle previsioni introdotte dall'art. 30 Decreto Lavoro, recante “Cassa integrazione guadagni in deroga per eccezionali cause di crisi aziendale e riorganizzazione”.
La misura, come riportato al primo periodo del comma 1, che ne individua l'ambito di applicazione soggettivo, è rivolta alle “aziende che abbiano dovuto fronteggiare situazioni di perdurante crisi aziendale” nonché ai datori di lavoro che “non siano riuscite a dare completa attuazione, nel corso del 2022, ai piani di riorganizzazione e ristrutturazione” originariamente previsti per ragioni afferenti ad una prolungata indisponibilità dei locali aziendali e, in ogni caso, per cause non imputabili al datore di lavoro.
Analogamente alle previsioni di cui al 2014 e in linea con la finalità dello strumento, vengono ammesse a tale beneficio esclusivamente le società che abbiano fronteggiato, per cause non imputabili all'imprenditore, situazioni “di perdurante crisi aziendale”.
Invero, il periodo storico di riferimento risulta caratterizzato, anche a livello economico, dalle conseguenze della pandemia e dalla perdurante crisi bellica ed energetica, che hanno messo a dura prova molteplici realtà sul territorio italiano.
Nei confronti delle società così individuate, il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali può autorizzare, in deroga alle disposizioni di cui agli articoli 4 e 22 D.Lgs. 148/2015, un ulteriore periodo di Cassa integrazione salariale straordinaria in deroga (appunto), con lo scopo di salvaguardare il livello occupazionale e il patrimonio di competenze acquisito dai lavoratori occupati dai datori di lavoro di cui al primo periodo del comma 1.
Per quanto attiene alla normale durata del trattamento economico, a tal fine si ricorda, come la durata massima complessiva del trattamento di integrazione salariale, disciplinata dall'art. 4 del richiamato D.Lgs. 148/2015, venga normalmente fissata in 24 mesi complessivi fruibili in un quinquennio mobile, fatte salve le ulteriori previsioni contenute nell'articolo 22, che fornisce disposizioni in merito alla durata nell'ambito delle integrazioni salariali straordinarie.
Il comma 1 dell'articolo 30 prevede quindi, in via transitoria, una fattispecie di prolungamento non oltre il 31 dicembre 2023 del trattamento straordinario di integrazione salariale. Tale possibilità, come esposto dal dossier della Camera Senato del 9 maggio 2023 n. 685, si ritiene “ammessa in continuità con le tutela già autorizzate e, quindi, anche con effetto retroattivo”, fermo restando il rispetto del limite di spesa di cui al comma 2, individuato in 13 milioni di euro per il 2023 e a 0,9 milioni di euro per il 2024.
Conclusioni
Sicuramente l'ammortizzatore sociale derogatorio disposto dall'art. 30 risulta confinato, sia per previsione normativa che per valutazione numerica (13 milioni di euro potrebbero non essere molti) ad ipotesi residuali e che ben corroborino le condizionalità richieste dal Decreto Lavoro.
Ad esempio, dovrà rilevarsi il perdurare della crisi aziendale e la necessità di maggior tempo per completare il piano di riorganizzazione e/o ristrutturazione che saranno stati implementati nelle richieste degli ordinari strumenti di tutela.
Nell'attesa della conversione in legge, c'è da chiedersi se tale ammortizzatore derogatorio possa dirsi compatibile con una successiva (anche non preventivabile) se non contestuale apertura di una procedura di licenziamento collettivo ex art 4 e 24 della Legge 223/91. Chissà cosa ne penserà il Ministero.
Staremo a vedere.
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