Se il Decreto Lavoro non fosse già stato soprannominato “decreto 1° maggio” si sarebbe sicuramente potuto denominarlo il “decreto del buon senso”.
Il legislatore è partito da esigenze e ha fornito risposte, ha semplificato, ordinato ed ha finalmente reso nuovamente possibile rinvenire una ratio sottesa. Nulla di sbalorditivo quindi, “semplicemente” buon senso, tanto e apprezzato buon senso.
È già da qualche anno che fanno scalpore sedicenti indigenti vittime di un lavoro forse mal pagato che, grazie a rimostranze spesso capricciose rese pubbliche su social, sono diventati improbabili influencer di chi cerca pretesti. Questi hanno fatto e continuano a fare più rumore rispetto agli ormai innumerevoli annunci di ricerca del personale che ormai sono affissi ad ogni angolo delle nostre città e davanti ad ogni azienda (ma che nessuno sembra vedere) o rispetto agli interventi di economisti prestigiosi, ma ahimè ormai sconosciuti ai più, perché non si sono ancora emancipati apparendo in post che divengono virali.
Siamo nell’epoca in cui non è più il lavoratore a doversi candidare e cercare poi di performare al meglio in colloqui di lavoro che fanno sudare le mani, ma sono le aziende a doversi faticosamente inventare strategie per rendersi “appetibili” a tutti i costi per poter da un lato attrarre risorse (introvabili) e dall’altro trattenere quelle trovate. Sono le aziende oggi a dover rispondere a domande del tipo “Ma qual è la vision dell’azienda? Quali azioni di sostenibilità sono intraprese?”. Il ché non è sbagliato (tutt’altro) ma è diverso rispetto al passato! E allora sono le politiche attive a doversi impegnare affinché tutte le risorse, anche quelle che non possono permettersi di essere così selettive, possano trovare un lavoro e trovare dignitosamente una propria collocazione ed allo stesso tempo le aziende riescano a trovare le risorse di cui hanno bisogno vitale.
Alle aziende, quindi, mancano i lavoratori mentre ai lavoratori manca il lavoro e, nonostante propagandistici slogan, il decreto in commento va esattamente in questa direzione, ponendo enfasi sulle politiche attive e convogliando le risorse destinate a quelle passive in favore di quei nuclei familiari in oggettiva situazione di fragilità, ancor più se in essi sono presenti lavoratori con gravi disabilità (il tema dei care givers è purtroppo, da sempre, di una drammatica attualità).
Le finalità del decreto, come il legislatore stesso evidenzia, sono quindi tutte urgenti e necessarie o addirittura straordinarie: come non potrebbero esserlo in questo periodo storico che ci ha visti sopravvivere addirittura ad una pandemia -che si è riverberata anche in una caotica proliferazione di testi legislativi dettati da una gestione emergenziale- e si palesa con una spinta propulsiva verso strumenti di supporto alle aziende ed una declinazione di interventi che hanno come denominatore comune quello di accompagnare riforme economiche volte ad un “nuovo” equilibrio perché “nuovo” è il mercato che viviamo.
Il decreto prevede una serie di strumenti:
Sotto il vessillo di nuove misure nazionali di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale delle fasce deboli e l’introduzione di percorsi di lavoro, di formazione, di istruzione, di politica attiva, nonché di inserimento sociale il governo ha provveduto alla revisione, da tanti attesa e da tanti contrastata, del reddito di cittadinanza;
Un significativo irrobustimento dell’azione di Governo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, al fine di contrastare il crescente numero di infortuni sul lavoro e di intervenire per migliorare e ampliare il relativo sistema di tutele, anche economiche, dei lavoratori ma anche degli studenti impegnati in percorsi di alternanza scuola lavoro;
Un rafforzamento dell’attività ispettiva, per garantire il contrasto alle frodi nell’applicazione delle nuove misure di contrasto all’esclusione sociale, a tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro e volta ad una efficace lotta al lavoro sommerso e al caporalato;
La revisione, tanto attesa, della regolazione della materia dei contratti a tempo determinato. Nonostante i più si fossero già spesi postulando una totale liberalizzazione del contratto a tempo determinato, il legislatore ha invece optato per una impostazione meno clamorosa mantenendo la acasualità per i primi 12 mesi e l’equilibrato limite massimo di 24 mesi, ma, rimuovendo il confinamento a mero simbolo di precarietà, ne suggerisce un utilizzo ragionevolmente contenuto.
La semplificazione, attesissima, delle procedure contrattuali introdotte nel torrido agosto 2022 a carico del Decreto Trasparenza, Legge 104/2022, anche questa con buon senso e spirito di semplificazione, ammettendo un rinvio alla disciplina contrattual-collettiva ed alla normativa, nonchè introducendo l’obbligo di consegnare o mettere a disposizione dei lavoratori, anche mediante pubblicazione sul sito web, i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali e gli eventuali regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro.
Non in ultimo ulteriori previsioni in materia di contratto di espansione e di altre politiche attive.
Ora si aprirà il contradditorio tra i “detrattori a qualunque costo” e i sostenitori di una riforma che, invero, ad aziende e tecnici del diritto non può che creare sollievo. Ma è un teatrino dei ruoli che in Italia non può non esserci e che per gli operatori del diritto è divenuta una prassi consolidata.
FONTE: DL 4 maggio 2023 n. 48