lunedì 08/05/2023 • 06:00
Oggi alla Camera dei deputati sarà presentato il libro “Diversità e inclusione. Gli impatti nella realtà lavorativa e le nuove regole per la certificazione per la parità di genere”. Ne parleranno l’autore Ciro Cafiero, Elena Bonetti, già Ministra per le Pari Opportunità e Antonella Sciara, direttore QuotidianoPiù di Giuffrè Francis Lefebvre.
Cosa non ha funzionato sull’inclusione? Nonostante molte leggi nazionali, comunitarie ed internazionali, a tutela del genere, delle disabilità, dell’età, della razza, delle minoranze linguistiche, delle appartenenze politiche e religiose, le fila mondo del lavoro continua ad infoltirsi di “esclusi”. Di “diversi” schiacciati il sotto il peso di predominanti maggioranze. La disparità di genere è una delle cifre più importanti di questo fallimento. Bastano tre esempi. Primo: il tasso di occupazione femminile è minore di quello maschile di oltre 20 punti percentuali. Secondo: in tutta l’Unione europea soltanto il 15% degli uomini ha un lavoro precario a fronte del 27% delle donne, il cui 80% è adibito a mansioni di basso rilievo. Terzo: la differenza retributiva di genere è stimata intorno al 5% (circa € 946,00 euro annui di minor stipendio per le lavoratrici) ma, nel settore privato, tale differenza impenna a circa 24%, sul totale delle ore lavorate. L’interpretazione del concetto di uguaglianza Le regioni del fallimento sono, essenzialmente, due. La prima è stata il travisamento del concetto costituzionale di uguaglianza, predicato all’articolo 3 della Carta, in quello di egualitarismo. La tutela della diversità è stata sacrificato sull’altare della parità dei diritti “a tutti i costi”. La missione affidata ai Padri Costituenti al legislatore è invece quella di un delicato bilanciamento tra le istanze della collettività e i bisogni di ogni singola persona. Ad essere vietato non è, infatti, il riconoscimento delle diversità, “ad personam”, ma soltanto l’abuso di esso in danno degli interessi generali. Due persone possono essere uguali per il colore dei capelli ma diversi per quello degli occhi o per l’altezza. Oppure pur avendo il medesimo colore dei capelli, possono essere giudicati uguali rispetto ad un terzo privo di capelli. Eguaglianza e diversità convivono, dunque, in armonia. Secondo Carlo Esposito, noto giurista del passato: “un diritto che non distinguesse situazione da situazione e considerassi eguali tutte le situazioni non sarebbe un diritto difficilmente pensabile; ma sarebbe un diritto impensabile, perché non disporrebbe niente.” Già Mortati sottolineava la legittimità delle deroghe dettata dalle leggi costituzionali e dalla natura delle cose. Il mancato coinvolgimento di imprese e territori La seconda ragione del fallimento è stata il mancato coinvolgimento degli attori prossimi alle diversità, e come tali in grado di decifrarle, nel processo di tutela che deve riguardarle. Si tratta delle comunità aziendali, di memoria olivettiana, o di quelle territoriali nel segno di un sano principio di sussidiarietà. La legge, per definizione generale ed astratta, non è stata in grado, da sola, di mettere a segno l’obiettivo. Ad esempio, sul terreno della parità di genere, non sono bastati i divieti di discriminazione contemplati dall’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori, gli obblighi di congedo parentale previsti dal Testo Unico sulla Maternità, le particolari garanzie per le lavoratrici, il Codice delle Pari Opportunità. La soluzione è la sostenibilità Ed allora: quali soluzioni? È il secondo interrogativo che merita risposta. A dover assumere centralità sono le politiche aziendali come quelle di sostenibilità, anche dette “ESG” (Environmental, Social and Governance) di welfare, di work life balance, di diversity e inclusion. Esse, infatti, grazie ad un moto di “prossimità”, possono gemmare policy aziendali cucite a misura dei bisogni, una evoluta cultura sulla sicurezza, azioni in grado di stimolare i talenti dei lavoratori, di curarne il benessere psicologico ed emotivo, policy innovative sullo smart working, nuovi role model, formazione sulle nuove soft skill, soprattutto di natura relazionale. Insomma, l’inclusione avrà successo se lo sguardo che le politiche poseranno sulla persona sarà olistico. In grado di comprenderne le molteplici sfaccettature che le attraversano. Contro ogni tentativo di omologarle in desuete ed astratte tassonomie. Riecheggiano, forti, come un auspicio, le parole di Taylor Cox, noto studioso di diversità, secondo cui “non è sufficiente includere le diversità per definirsi multiculturali, in quanto esiste una differenza tra contenere la diversità e valorizzarla che dipende essenzialmente dall’essere consapevoli di quali siano i limiti di un’organizzazione plurale. L’organizzazione multiculturale è quella organizzazione che non solamente ha preso consapevolezza di tali limiti, ma è anche riuscita a superarli”. Locandina dell'evento Per approfondire il tema, vedi "Diversità e Inclusione. Gli impatti nella realtà lavorativa e le nuove regole per la certificazione per la parità di genere” a cura di Ciro Cafiero.
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